L’industria che ruota attorno a ciò che indossiamo ogni giorno può causare gravi danni all’ambiente e alle comunità locali. E anche scegliere l’usato o il vintage non è esente da conseguenze. Ecco come il mondo della moda sta cercando di andare incontro alle esigenze dei clienti e alle necessità del Pianeta
Secondo i dati pubblicati alla fine del 2024 dalla startup francese ClimateSeed in occasione della Settimana della Moda di Milano, l’industria del fashion è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra, e il consumo di prodotti tessili, nel solo 2020, ha generato l’emissione di circa 270 chilogrammi di anidride carbonica per persona, per un totale di 121 milioni di tonnellate di gas serra.
Si tratta di numeri che evidenziano come l’intero settore abbia bisogno di un cambio di passo se si vuole arrivare a invertire una tendenza che in Europa porta ogni anno 5 milioni di tonnellate di abiti e calzature nelle discariche o negli inceneritori, un numero che rappresenta complessivamente l’80% dei materiali di questo settore che non trova un impiego per il riciclo.
INDICE DEI CONTENUTI
Fast Fashion e sostenibilità
A causare un’accelerazione del consumo di abbigliamento su scala globale è il modello del fast fashion, emerso negli ultimi decenni, caratterizzato da una grande quantità di produzioni a basso costo, che hanno provocato la moltiplicazione dei capi acquistati rispetto soltanto agli anni 80 e 90. Questa dinamica ha provocato un forte incremento dei rifiuti tessili e un impatto ambientale significativo.

Le opportunità dello Slow Fashion
La risposta al fast fashion si sta diffondendo il movimento del cosiddetto slow fashion, che mette in primo piano la produzione etica e sostenibile dei capi di abbigliamento, e che punta a privilegiare l’utilizzo dei materiali più durevoli e naturali, tra i quali il cotone biologico e la fibra di bamboo. Due gli obiettivi principali dello slow fashion: ridurre l’impatto ambientale della moda e garantire condizioni di lavoro dignitose lungo tutta la filiera produttiva.
L’economia circolare come ricetta per ridurre l’impatto della moda
Uno dei rimedi all’impatto ambientale crescente del mondo del fashion è l’utilizzo nel settore dei principi dell’economia circolare, puntando quindi alla riduzione degli sprechi di materiali tessili, al loro riutilizzo e riciclo. Per quanto la soluzione possa sembrare semplice e di buon senso, però, non è ancora adottata su larga scala dal mondo della produzione. Stando ai dati della Ellen McArthur foundation, ad esempio, soltanto l’1% degli abiti usati viene riciclato.
Vintage e del second hand: i pro
Uno dei dati più interessanti che riguardano il mercato degli indumenti usati è che i giovani sono sempre più propensi a rivolgersi a questo mercato, consapevoli del fatto che mettono in pratica una scelta sostenibile e attenta alle esigenze dell’ambiente. A testimoniare il crescente successo del settore non c’è soltanto il proliferare di mercatini fisici, ma anche quello delle piattaforme online specializzate.
Se i vantaggi per la sostenibilità del second hand sono già molto pubblicizzati, come ad esempio l’opportunità di allungare il ciclo di vita dei prodotti, riducendo il bisogno di nuova produzione di capi di abbigliamento, o il contributo alla riduzione dei rifiuti tessili e della domanda di materie prime vergini, anche questo comparto ha un suo “lato oscuro”.
Il greenwashing e il prezzo della sostenibilità
A spingere i brand della moda verso comportamenti sempre più sostenibili sono le scelte degli utenti, che tendono a privilegiare chi adotta pratiche green e di responsabilità sociale. Per non perdere la fiducia dei consumatori, così, alcuni brand tendono a esagerare arrivando in alcuni casi a fornire informazioni ingannevoli pur di apparire sostenibili: è il fenomeno del greenwashing.
Il rovescio della medaglia, in un certo senso, è il fatto che molti consumatori, pur dichiarandosi attenti alla sostenibilità, non siano disposti a spendere un extra per acquistare prodotti più green rispetto a quelli proposti dal fast fashion. Un trend che evidenzia come il mondo della moda sostenibile debba ancora affrontare la sfida di riuscire a essere il più possibile accessibile per tutte le tasche.
Le sei raccomandazioni di The European House Ambrosetti
In uno studio pubblicato nel 2022 The European House Ambrosetti ha messo nero su bianco un vademecum con sei punti chiave che i governi e i player del mondo della moda dovrebbero seguire per guidare la transizione sostenibile del fashion e coglierne le opportunità. Al primo punto Teha consiglia di adottare al più presto gli strumenti volontari e obbligatori UE, per testarli e migliorarli.
Poi il consiglio di creare un’agenda annuale con priorità chiare e fondi pubblici mirati alle Pmi, privilegiando la costruzione di alleanze tra brand, produttori e istituzioni per diffondere buone pratiche.
Tra i suggerimenti anche la creazione di un osservatorio permanente sui dati ambientali e sociali della moda, e la promozione del cambiamento culturale già nei programmi scolastici e universitari. Infine, il documento evidenzia il ruolo delle imprese del lusso, che dovrebbero essere la leva per guidare l’innovazione e la scalabilità di modelli circolari sul resto del sistema produttivo del fashion.
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