Biodiversità: l’importanza di conservarla

Scritto da Rete Clima
Ente non profit che accompagna le aziende in percorsi di sostenibilità e di decarbonizzazione

Nonostante sia molto difficile esprimere in una definizione la complessità che il termine “biodiversità” racchiude, questa viene definita convenzionalmente come la varietà di tutte le forme di vita presenti sulla Terra, il che comprende le specie, la loro variabilità genetica e l’interazione di esse all’interno degli ecosistemi. La Convention on Biological Diversity (CBD) specifica che questa varietà non si riferisce solo a forme e strutture ma prende in considerazione anche variabili come l’abbondanza, la distribuzione spaziale e temporale, la frequenza delle specie, la presenza di habitat in un ecosistema, i rapporti tra gli habitat e le specie e molto altro. Al di fuori dell’ambito ambientale si è anche iniziato a considerare parte della biodiversità terrestre la diversità culturale umana, le interazioni che si creano tra gli uomini e tra essi e gli ecosistemi in cui essi vivono. Questo fa capire come questo concetto sia estremamente complesso e come non possa in alcun modo essere banalizzato.

Negli anni, a partire dalla Direttiva Uccelli dell’Unione Europea relativa alla conservazione delle specie migratorie del 1979, passando per la Direttiva Habitat e arrivando all’attuale Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, si è sempre cercato di far coesistere le attività umane con la grande diversità biologica presente sul Pianeta, con risultati non sempre soddisfacenti. Infatti, nonostante le Direttive, le Leggi e i Decreti la biodiversità continua a decrescere con un tasso pericolosamente alto.

Facendo un passo indietro è bene precisare perché la biodiversità sia così importante, non soltanto per la sopravvivenza dell’uomo, ma per la vita presente sulla Terra. Possiamo considerare la biodiversità di specie e di habitat come un’assicurazione della perpetrazione della vita stessa.

Semplificando molto, immaginiamo la Terra come un una matrioska al cui interno ci sono diversi ambienti: il mare, le profondità oceaniche, il deserto, le montagne, le foreste. All’interno di ognuno di questi ambienti sono presenti diversi habitat che ospitano animali e piante che si sono adattate a vivere in quelle circostanze e che interagiscono con l’ambiente. Andando ancora più all’interno ci sono le condizioni di adattabilità genetica delle specie, che consentiranno ad un determinato tratto genetico di sopravvivere o meno a determinate condizioni. Se i presupposti all’interno di un habitat cambiano, sopravvivranno le specie adattate o con profili genetici idonei al cambiamento. Allo stesso modo se i presupposti globali cambiano, resisteranno solo gli habitat che sono idonei alle nuove circostanze.

  • Maggiore è il numero di specie presenti nell’ambiente, maggiore è la probabilità che alcune di esse posseggano strategie di adattamento e che sopravvivano al cambiamento.
  • Maggiore è il numero di individui, maggiore è la probabilità che alcuni di essi abbiano dei tratti genetici che gli permettano di sopravvivere al cambiamento.
  • Maggiore è il numero di habitat, maggiore è la probabilità che alcuni di essi siano in grado di ospitare la vita a seguito di un cambiamento.

È tutto racchiuso nell’obiettivo principe dei sistemi biologici: perpetuare la vita.

Per l’uomo l’importanza della biodiversità si traduce in qualcosa di ancora più pragmatico: l’assicurazione di trovare cibo, fibre, acqua e medicine fondamentali per la sua sopravvivenza.

Al momento attuale, a seguito di decenni di ricerche, sappiamo dell’esistenza di 1,8 milioni di specie sulla Terra. Possono sembrare tante, ma in realtà si è stimato che ne esistano dai 4 fino al 100 milioni e di queste ne vengono perse almeno 50 giornalmente, ma potrebbero essere molte di più, vista la scarsissima conoscenza che abbiamo di questo argomento. È chiaro che l’estinzione è un processo naturale (una specie in media vive circa un milione di anni), ma i tassi di estinzione attuali sono estremamente più alti di quelli naturali. Le cause di questa accelerazione estintiva sono da ricondurre, ancora una volta, alle attività antropiche.

I fattori antropici principali che portano alla progressiva perdita di biodiversità possono essere riassunti in questo modo:

  • Cambiamenti climatici

Come detto precedentemente, l’alterazione delle condizioni climatiche porta ad una normale selezione delle specie più adattate. Tuttavia, l’innalzamento repentino delle temperature a causa del riscaldamento globale sta mettendo in seria difficoltà le specie, soprattutto vegetali, che hanno una scarsa possibilità di movimento. Le condizioni di elevata siccità a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, piuttosto che le precipitazioni estremamente abbondanti e violente, gli incendi e le tempeste di vento sempre più frequenti, sono tutti fattori che incrementano la vulnerabilità soprattutto delle specie più rare e meno adattabili.

  • Frammentazione e perdita di habitat

Il cambiamento di uso del suolo è probabilmente la principale causa di perdita di biodiversità. Già trent’anni fa, attraverso la Direttiva Habitat, l’UE aveva capito che per tutelare le specie, soprattutto quelle rare e in via d’estinzione era fondamentale passare per la tutela del loro habitat. Tuttavia, nonostante ciò, nel mondo, i processi di urbanizzazione, deforestazione e agricoltura intensiva stanno progressivamente facendo sparire gli ambienti naturali. Questo fenomeno rende le popolazioni di specie residue estremamente vulnerabili ed isolate, limitando lo scambio genetico, creando gravi problemi di inbreeding tra gli individui e intaccando la vitalità degli habitat stessi. Serve infatti comprendere come all’interno di un sistema naturale, le condizioni siano in un equilibrio dinamico, ma stabile, di cui non conosciamo neanche lontanamente tutte le funzionalità: la perdita di una singola specie potrebbe infatti essere in grado di portare al collasso, per effetto cascata, interi ecosistemi.

  • Specie esotiche invasive

Nonostante il problema delle specie aliene sia ancora troppo poco conosciuto dalla collettività, questo è una delle principali cause di perdita di specie negli ambienti naturali e semi-naturali. È infatti stato valutato che circa il 20% dei casi di estinzione di uccelli e mammiferi è da attribuirsi all’azione diretta di animali introdotti dall’uomo (ISPRA). Le specie esotiche invasive, o specie aliene o alloctone, sono specie di piante o animali che vengono introdotte dall’uomo, in maniera accidentale o volontaria, e che colonizzano nuovi ambienti, in cui non hanno predatori naturali. Questo fenomeno fa si che le specie alloctone, che in genere hanno delle caratteristiche tali da renderle molto competitive e aggressive, nonché generaliste (quindi senza particolari esigenze trofiche ad esempio), prendano il posto progressivamente delle specie autoctone, portandole ad estinguersi localmente.

  • Prelievo venatorio

La pesca e la caccia indiscriminate vanno spesso ad aggravare su specie e habitat già fragili e indeboliti, portando a drastiche riduzioni di popolazioni, che possono facilmente portare gli individui residui alla morte e quindi all’estinzione della specie.

L’uomo è responsabile della conservazione della biodiversità sulla Terra poiché ne sta alterando inesorabilmente la tendenza. I fenomeni evolutivi che hanno portato alla creazione di una vita così ricca sul Pianeta hanno necessitato di miliardi di anni e non è detto che i processi di desertificazione e scomparsa di ogni forma di vita da un habitat siano reversibili.

La perdita di biodiversità è un biglietto di sola andata per rendere il Pianeta un luogo inabitabile, non solo per l’uomo ma per ogni essere vivente, di conseguenza è necessario agire concretamente e assumere la consapevolezza che la diversità biologica non solo è la nostra assicurazione sulla vita, ma è l’assicurazione sulla vita del pianeta stesso e abbiamo il dovere di conservarla.