Risacca, i mille usi delle reti da pesca rigenerate
Scritto da
Ettore Benigni
Giornalista
Carlo Roccafiorita, cofounder della startup nata a Mazara del Vallo: “Grazie alla nostra sartoria sociale diamo nuova vita ai materiali utilizzati dai pescatori, che altrimenti diventerebbero rifiuti. Puntiamo a un equity crowdfunding per crescere su scala nazionale”
Risacca nasce dalla fusione di tre esperienze personali diverse, ma tutte accomunate dalla passione per l’economia circolare e dal senso di responsabilità verso l’ambiente. A fondarla sono stati tre giovani di Mazara del Vallo: Carlo Roccafiorita, Cristiano Pesca e Federica Ditta. Il primo ha alle spalle gli studi di architettura all’Università di Ferrara e una serie di esperienze legate all’autoimprenditorialità. Cristiano e Federica invece hanno lavorato in una multinazionale di stampa 3D e si sono specializzati nell’area di ricerca e produzione della fabbricazione digitale. Insieme hanno deciso di impegnarsi nella creazione di un progetto che nasce dal loro territorio e ha grandi potenzialità di crescita. A spiegare in quest’intervista come è nata l’idea e come si sta sviluppando è proprio Carlo Roccafiorita, che nel tempo si è specializzato in progetti di rigenerazione urbana connessa a processi che hanno un impatto positivo sul territorio, occupandosi più direttamente del brand e della comunicazione.
Di cosa parliamo?
Carlo, come è nata l’idea di dare vita a Risacca?
L’idea è nata tra le mura di Periferica, l’organizzazione che abbiamo fondato a Mazara del Vallo e che promuove la rigenerazione urbana attraverso processi sociali, culturali e artistici in grado di potenziare i legami tra la comunità e i territori. Tra i materiali che utilizzavamo durante i workshop di design della nostra summer school c’era anche la rete da pesca. Così ci siamo resi conto che si trattava di un materiale molto difficile da smaltire, e ci è sembrato strano che in una città portuale come la nostra non si fosse ancora trovato il modo di risolvere il problema. Studiando un po’ il fenomeno siamo venuti a sapere che ogni anno nel nostro territorio vengono dismesse 30 tonnellate di reti da pesca, due terzi delle quali vengono smaltite illegalmente, abbandonate nel territorio e in mare. Un problema particolarmente grave per l’ambiente, a partire dalla generazione di microplastiche. Studiando quello che si stava facendo in altre realtà ci siamo resi conto che il problema è globale, e abbiamo pensato di risolverlo sfruttando procedimenti innovativi. Forti della nostra esperienza abbiamo cercato di capire come il materiale potesse essere reintrodotto all’interno di un processo circolare. Per questo abbiamo siglato un protocollo d’intesa con le ditte di pesca individuali della zona, che ci consentisse di raccogliere le reti, dando in cambio alle aziende che ce le affidano una certificazione di sostenibilità.
Che tipo di utilizzo si può fare delle reti scartate dai pescatori?
Una volta prese le reti dai pescatori, ci occupiamo di stoccarle e di selezionarle in base allo stato e all’usura. Le reti che troviamo in condizioni migliori vengono riutilizzate per produrre sacche e zaini. Quelle più usurate vengono triturate, sottoposte alla lavorazione attraverso macchinari semi industriali che consentono di fondere e pressare la materia, trasformandola in farina di rete che poi servirà a realizzare altri oggetti, come bottoni, cover per gli smartphone, occhiali, penne, contenitori o stoviglie. Infine, la rete ancora più usurata viene trasformata, grazie a un protocollo stipulato con un’altra azienda, in pellet.
In questo percorso avete già realizzato la vostra prima campagna di crowdfunding…
Sì, dopo la fase di ricerca abbiamo immaginato di realizzare un laboratorio per il riciclo della plastica, di mettere in un container i macchinari semi-industriali necessari per la lavorazione, in modo da poter rimanere nelle aree in cui le reti vengono raccolte, nei porti, dando vita a un progetto di sartoria sociale. Abbiamo immaginato che questo potesse essere possibile a Mazara, ma anche – ad esempio – a Taranto o a Genova. Con questa idea abbiamo partecipato al Bando Impatto+ di Banca Etica, con cui siamo entrati in contatto grazie a Produzioni dal Basso e Fondazione Messina. Con il crowdfunding abbiamo raccolto circa 17mila euro, e grazie a questo budget abbiamo coperto i costi di gestione e abbiamo messo a punto la sartoria sociale, il primo strumento per il riutilizzo delle reti. Lo abbiamo aperto negli spazi di Periferica, il nostro parco culturale di Mazara, dove abbiamo adibito una stanza a questo scopo con i macchinari che servono per lavorare la rete, e dove produrremo la nostra prima collezione.
Intanto per l’Earth day 2022 giglio.com, una delle principali realtà dell’e-commerce della moda in Italia, ci ha contattato e ci ha proposto una partnership, chiedendoci di realizzare una edizione limitata di 50 pezzi in co-branding da mettere in vendita sulla loro piattaforma. Si tratta di sacche recuperate fatte a mano, 3 nuovi modelli che faranno parte della nuova collezione, delle pochette e di una “sailor bag”, una sacca che appartiene alla tradizione marinaresca. Finora è stata la collaborazione di co-branding che ha avuto più successo e ha venduto di più, perché in questo momento c’è un trend particolare che veicola il consumo verso prodotti sostenibili. E per noi è stata una operazione fondamentale di brand awareness.
Al di là del progetto di business però c’è un progetto sociale e culturale nella vostra attività. Su quali principi di basa?
I nostri prodotti sono la sintesi della nostra “missione”. Risacca nasce dalla presa di coscienza dell’urgenza ambientale, in un contesto che ha un rapporto strettissimo con il mare. Tutto parte dalla consapevolezza che siamo responsabili di ciò che potrebbe causare la morte dell’ecosistema marino e terrestre, e che dobbiamo assumerci la responsabilità di fare tutto ciò che è possibile per evitare questo scenario. Per questo è stato importante confrontarci con il mondo della pesca, prima con le ditte individuali di pesca locali e poi con Federpesca, che è l’associazione di categoria dei pescatori, con cui abbiamo stipulato un accordo che ci consentirà di entrare in contatto con le attività locali, di fare formazione per loro e di raccogliere le reti prima che diventino un rifiuto, quando sono ancora “scarto”, quindi una materia prima seconda.
Il Porto di Mazara è stato uno dei principali snodi del mercato ittico nazionale, oltre che uno strumento di integrazione che ha fatto incontrare culture diverse e distanti, che si sono unite attraverso il mare. Negli ultimi anni è entrato in crisi, per la difficoltà di rimanere competitivi in uno scenario sempre più insidioso. Dal periodo d’oro in cui qui erano registrati più di 500 pescherecci, ora ne sono rimasti circa 70, e ogni peschereccio che ha cessato l’attività ha causato sofferenze anche per l’indotto: una crisi economica memorabile. Il nostro impegno è quello di intervenire in questo ambito per cercare di accendere una lucina nel buio.
Che basi state ponendo per il futuro di questa vostra idea?
Ci siamo resi conto che con una tonnellata di rete in buono stato si possono fare 3mila borse, e che oggi una quantità del genere non abbiamo ancora i mezzi per gestirla. Per questo è importante avere definito le tre linee di trasformazione, riuso e riciclo, che ci consentono di gestire lo scarto a seconda dell’esigenze e delle possibilità. Dalle ditte prendiamo tutto, ma per la linea fashion è utilizzabile soltanto il 20%, che però rende decisamente di più in termini economici rispetto al resto. Così, pur proseguendo nell’attività di ricerca, la nostra priorità in questo momento è sullo sviluppo dei progetti legati al riuso, su cui finora abbiamo lavorato di più grazie anche alla sartoria sociale. Abbiamo in mente per il futuro di costituirci in un soggetto profit e di dare vita, immaginiamo a ottobre, a una campagna di equity crowdfunding, per poter realizzare un aumento di capitale grazie a nuovi partner, ed essere in grado di fare altri investimenti per sviluppare il progetto. In parallelo vogliamo metterci a disposizione anche di aziende terze che siano interessate alle nostre esperienze e abbiano bisogno di consulenza. Per i primi di giugno, invece, è previsto il lancio della nuova collezione.