I primi risultati scientifici mostrano come la gestione sostenibile rafforzi le foreste italiane. Dallo studio con l’Università di Milano emergono dati inediti sull’impatto degli interventi selvicolturali. La tecnologia Tree Talker svela come la cura attiva renda gli alberi più resistenti al cambiamento climatico e agli eventi estremi
Quando un anno fa, il 25 settembre 2024, Sorgenia ha lanciato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano il progetto #RigeneraBoschi, l’obiettivo era di sperimentare un modello di monitoraggio scientifico innovativo capace di misurare la salute delle foreste italiane in tempo reale. L’iniziativa, partita dal Parco Nord di Milano, ha unito tecnologia, ricerca scientifica e partecipazione delle comunità locali, con l’educazione ambientale e le attività di plogging che hanno coinvolto da subito decine di studenti.
Accanto alla dimensione educativa, l’elemento distintivo è stato l’impiego dei Tree Talker, sensori IoT grandi quanto uno smartphone, in grado di raccogliere dati sul flusso linfatico, la fotosintesi, la crescita e la stabilità meccanica degli alberi. Grazie a questi dispositivi è stato possibile monitorare in tempo reale la fisiologia delle piante e le loro reazioni agli eventi climatici estremi.
INDICE DEI CONTENUTI
I boschi monitorati
Cinque le aree coinvolte: il Parco Nord Milano in Lombardia, il Bosco di Forlì-Bertinoro in Emilia-Romagna, l’Unione dei Comuni Montana Colline Metallifere in Toscana, il Parco naturale regionale Bosco Incoronata in Puglia e il Parco nazionale del Pollino tra Calabria e Basilicata. In ciascun sito, i ricercatori hanno installato i sensori in due zone distinte: una lasciata alla libera evoluzione, l’altra sottoposta a una gestione forestale sostenibile, calibrata sul contesto ecologico e sociale.
Questa impostazione ha consentito di confrontare in maniera scientifica l’evoluzione di boschi gestiti e non gestiti, raccogliendo oltre 7.000 ore di monitoraggio per sito.
Crescita, stabilità e resilienza
Dai dati raccolti nel primo anno di attività – con l’esclusione di quelli sui Comuni montana Colline Metallifere, dove la gestione selvicolturale è programmata per novembre, emerge che, in quattro siti su cinque, gli alberi gestiti crescono di più rispetto a quelli non gestiti, con un picco del +43% nel Parco del Pollino. Non solo, gli alberi nei boschi curati mostrano una maggiore stabilità meccanica e una resilienza superiore agli stress ambientali.
In condizioni climatiche estreme, come caldo e siccità, le piante non gestite oscillano maggiormente, mentre quelle curate rispondono con movimenti più contenuti, dimostrandosi quindi meno vulnerabili. È l’evidenza di come la selvicoltura, se calibrata, possa diventare una medicina preventiva per le foreste.
Eccezioni e complessità ecologiche
Non mancano, tuttavia, i casi in controtendenza. Nel bosco dell’Incoronata in Puglia, la crescita risulta inferiore nell’area gestita rispetto a quella lasciata libera. Una possibile spiegazione riguarda la presenza di eucalipti invasivi solo nella parte gestita, che avrebbero limitato lo sviluppo delle querce autoctone.
“Le eccezioni e i dati incerti non devono spaventare: fanno parte della normale complessità ecologica e sono preziosi perché ci indicano dove concentrare nuove ricerche – spiega il Giorgio Vacchiano, docente di Gestione e Pianificazione Forestale presso l’Università degli Studi di Milano – È naturale che la gestione forestale tradizionale debba adattarsi a pressioni climatiche senza precedenti. Questi risultati confermano che solo con un approccio flessibile e adattativo potremo garantire boschi resilienti anche in futuro. Per la prima volta disponiamo di una risoluzione temporale senza precedenti e della possibilità di incrociare dati mai rilevati insieme prima, come crescita, fotosintesi, flusso linfatico, oscillazioni del fusto e deficit di pressione di vapore. Questo ci permette di osservare i boschi con uno sguardo nuovo e più integrato, capace di anticipare le loro risposte al cambiamento climatico”.
Acqua, fotosintesi e nuovi scenari
Le analisi dei flussi linfatici confermano pattern stagionali, con picchi primaverili e rallentamenti estivi dovuti alla siccità. Nei boschi con buona disponibilità idrica, come il Pollino, gli alberi gestiti mostrano una costanza superiore, mentre nei contesti più aridi emerge un compromesso tra disponibilità di luce e vulnerabilità alla mancanza d’acqua.
La fotosintesi segue dinamiche simili nei due tipi di aree, con una tendenza alla maggiore attività nei boschi gestiti durante l’estate, segno che gli interventi calibrati possono migliorare le condizioni complessive della pianta. Tuttavia, anche qui le eccezioni non mancano: nel sito di Forlì, le zone non gestite hanno evidenziato un rapporto migliore luce/fotosintesi, probabilmente per via di un’ombra protettiva che mitiga lo stress idrico.
L’impatto sociale e culturale
Parallelamente alla dimensione scientifica, RigeneraBoschi ha mantenuto forte il legame con i territori. Fin dalla prima fase, grazie a plogging, attività nelle scuole e incontri con le comunità locali, il progetto ha contribuito a rafforzare la consapevolezza del ruolo delle foreste come bene collettivo.
Per Sorgenia, il valore sta proprio nell’unire ricerca e divulgazione:
“I dati raccolti e analizzati ci restituiscono una prima fotografia dello stato di salute di alcune delle nostre foreste – afferma l’Ad Michele de Censi – Oggi disponiamo di risultati che saranno successive per capire come gli ecosistemi reagiscono agli stress climatici così da fornire un contributo per affrontare meglio emergenze legate acambiamento climatico e incendi. Oltre alla parte scientifica – conclude de Censi – continuiamo a lavorare a stretto contatto con le scuole in attività di educazione ambientale rivolte ai ragazzi, un’occasione per incontrare le comunità locali e accrescere la consapevolezza della collettività sul ruolo delle foreste nelle nostre vite”.
Una selvicoltura climatica intelligente
Il progetto, patrocinato dai Ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente, ha dimostrato che la selvicoltura ‘climaticamente intelligente’ può essere una risposta concreta al cambiamento climatico.
“Lo studio dimostra in maniera scientifica quello che sappiamo, cioè che gestire i nostri boschi con una selvicoltura ‘climaticamente intelligente’ è utile sia all’uomo che alla stabilità del bosco – evidenzia Antonio Brunori, segretario generale di PEFC Italia – Un bosco abbandonato non è ospitale per il turismo o per la sua fruizione ed è più soggetto a frane e incendi – conclude Brunori – mentre un bosco con attività di cura e tagli pianificati da dottori forestali è più resistente alle minacce esterne, fornisce materie prime per l’uomo ed è più ospitale per le attività ricreative. La multifunzionalità nella gestione è sicuramente la scelta più adatta per tutelare e valorizzare allo stesso tempo il nostro patrimonio forestale”.
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