Climate change, il divario tra domanda e offerta di acqua è destinato a crescere

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

A evidenziarlo è una ricerca che analizza due scenari possibili della crescita delle temperature di 1,5° o di 3° rispetto al periodo preindustriale, che porterebbero rispettivamente a un aggravamento del “water gap” rispettivamente del 6% e del 15%

I cambiamenti climatici sono destinati ad aggravare, nel tempo, il divario che già oggi esiste tra la disponibilità di acqua e la domanda che se ne registra su scala globale. Sono queste, in sintesi, le conclusioni a cui giunge uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Nature e realizzato da due ricercatori italiani, Lorenzo Rosa, staff associate di Carnegie, e Matteo Sangiorgio del Politecnico di Milano. Il documento sottolinea tra l’altro che per superare il water gap aggravato dal riscaldamento globale sarà necessario adottare strategie di gestione idrica particolarmente incisive.

Di cosa parliamo?

Cos’è il water gap

Lo studio pubblicato da Nature parte dall’assunto che l’acqua è una sostanza fondamentale per la vita sul nostro Pianeta e per una parte importante delle attività umane. La disponibilità di acqua, in sostanza, è necessaria per la salute dell’uomo, per la resilienza dell’ambiente, per lo sviluppo economico e per la sicurezza alimentare ed energetica.

Purtroppo, però, in diverse aree della Terra la necessità di acqua è superiore alla sua disponibilità, e questa è destinata a diventare sempre più una delle principali sfide che l’umanità dovrà affrontare nel secolo in corso. Il fenomeno si chiama water gap, e si verifica quando nell’arco di un mese il consumo di acqua supera la disponibilità idrica naturale.

Oggi, secondo i dati contenuti nella ricerca, sono 4 miliardi gli esseri umani che risiedono in regioni dove si sta registrando la scarsità di acqua, con il problema che riguarda circa la metà dell’agricoltura irrigua mondiale. Protraendosi nel tempo, spiega lo studio, questo fenomeno rischia di creare danni strutturali particolarmente seri, come il progressivo esaurimento delle acque sotterranee, dei fiumi, dei laghi, delle falde acquifere e di altre riserve naturali di acqua.

Un approccio “integrato” per lo studio del water gap

Finora il mondo della ricerca aveva indagato il fenomeno della carenza di acqua seguendo due direttrici principali: da una parte tentando di quantificare il depauperamento delle acque sotterranee o in generale della disponibilità idrica ambientale su scala globale, e dall’altra cercando di documentare l’uso insostenibile dell’acqua a livello regionale. Il nuovo studio si pone invece l’obiettivo di integrare questi due punti di vista per comprendere a fondo la portata del problema e soprattutto per fornire uno strumento utile a mettere a punto piani e politiche di gestione idrica basati sui dati.

Due gli scenari presi in considerazione dai ricercatori: quello di un aumento della temperatura media attuale rispettivamente di 1,5 e 3 gradi centigradi, arrivando a prevedere l’effetto di questi scenari sull’esaurimento delle acque sotterranee e di quelle superficiali, e sul fabbisogno idrico degli ecosistemi acquatici.

I risultati della ricerca

Dal lavoro di Lorenzo Rosa e Matteo Sangiorgio emerge che il water gap globale ammonta nella situazione attuale a circa 458 miliardi di metri cubi di acqua all’anno. Ma questo numero sarà destinato a crescere del 6% con un aumento delle temperature pari a 1,5° e del 15% se l’innalzamento dei valori medi del termometro arriverà a 3°. In un contesto che già mostra criticità come quella attuale, però, secondo i ricercatori anche aumenti relativamente modesti del deficit idrico potrebbero mettere sotto pressione gli ecosistemi, causando gravi carenze per l’agricoltura, con conseguente insicurezza alimentare.

Le possibili soluzioni

Per limitare i danni causati del water gap i due ricercatori danno alcune indicazioni utili ai gestori delle risorse e ai legislatori, affermando che sarà importante considerare una serie di contromisure per aumentare le forniture idriche: parliamo ad esempio di un’attenzione sempre più focalizzata sulla resilienza delle infrastrutture di stoccaggio e trasporto dell’acqua, o di iniziative per la desalinizzare l’acqua salata. A questo si aggiunge il riutilizzo delle acque reflue trattate e l’organizzazione di servizi e infrastrutture di trasporto dell’acqua da altre aree in cui la risorsa è più abbondante. Gli agricoltori, infine, dovrebbero prepararsi al nuovo scenario studiando il passaggio a colture a minore intensità idrica, oltre che investendo sistemi di irrigazione più efficienti grazie all’utilizzo della tecnologia.