Shopping online? Sì, ma per molti italiani deve essere sostenibile
Scritto da
Ettore Benigni
Giornalista
Nella contrapposizione tra fast fashion e slow fashion l’attenzione all’impatto ambientale di ciò che indossiamo diventa sempre più importante. E così si fanno strada i tessuti sostenibili e il second hand
Gli italiani sono sempre più consapevoli di quanto le loro abitudini impattino sull’ambiente, e per questo iniziano a rivolgere la loro attenzione ad alcuni piccoli cambiamenti nelle loro abitudini di cittadini e di consumatori compiendo scelte responsabili per la sostenibilità. Certo, si tratta spesso di una “sensibilità” ancora embrionale, che ha grandi margini di sviluppo, ma il fatto che di fronte a una scelta qualunque nella nostra vita quotidiana si prenda ormai costantemente in considerazione il rispetto della natura è un principio che fino a pochi anni fa non era così scontato, e che può dare su larga scala benefici importanti per l’ambiente.
Parliamo di economia circolare, di riciclo e riuso, e di acquisti e shopping sempre più orientati alla responsabilità, in cui si prende in considerazione anche la possibilità di spendere qualcosa in più per acquistare un prodotto che non è dannoso per l’ambiente.
A dimostrare questa nuova consapevolezza convergono diversi studi e ricerche realizzati negli ultimi anni, che dimostrano come gli italiani prendano sempre più sul serio il proprio ruolo di consumatori, e si pongano l’obiettivo di influenzare con le proprie scelte le strategie delle aziende nella direzione della sostenibilità, premiando sempre più spesso le realtà maggiormente virtuose anche a scapito di quelle che concentrano la propria attenzione soltanto sul parametro del prezzo e della convenienza economica immediata.
Di cosa parliamo?
Shopping online: sempre più italiani scelgono prodotti e aziende sostenibili
È il caso, ad esempio, di una recente survey realizzata da Nielsen-Sendcloud, secondo cui il 43% degli italiani che effettuano acquisti online teme che l’incremento dei volumi di vendita nel campo dell’e-commerce rappresenti una minaccia per l’ambiente. Dalla ricerca emerge che il 72% dei consumatori è dell’opinione che gli shop online utilizzino troppi imballaggi, e il 77% sostiene che per questi scopi dovrebbero essere utilizzati materiali completamente riciclabili. A fronte di questi dati, lo studio sottolinea che il 42% del campione sarebbe disposto a pagare un costo extra per una spedizione più sostenibile dal punto di vista degli imballaggi e delle emissioni dovute al trasporto.
Interessante notare come sulle abitudini e sulle convinzioni dei consumatori abbia influito anche l’emergenza Covid-19: secondo la ricerca “Perspectives on retail and consumer goods” pubblicata ad agosto da McKinsey il 27% degli italiani durante la pandemia ha orientato le proprie scelte su prodotti sostenibili o eco/friendly, il 23% ha scelto prendendo in considerazione anche la sostenibilità del packaging, il 21% si è fatto influenzare dalle iniziative di comunicazione delle aziende che pubblicizzano le proprie scelte sulla sostenibilità, il 20% ha preso in considerazione il modo in cui le società si comportano nei confronti dei propri dipendenti e della loro sicurezza.
Fast fashion contro slow fashion
Fast fashion
Con il termine fast fashion si indica quel comparto della moda a basso prezzo che punta su un cambiamento continuo delle collezioni in una sorta di circuito dell’usa e getta alimentato dai player internazionali della grande distribuzione. Un fenomeno che si dimostra particolarmente dannoso per l’ambiente, e rispetto al quale gli stessi player del settore stanno provando a correre ai ripari proponendo ad esempio capi realizzati con tessuti riciclati o a basso impatto ambientale, o utilizzando il cotone biologico. A caratterizzare il comparto sono i prezzi bassi, la velocità con cui vengono commercializzati i prodotti e il fatto che vengano costantemente proposte novità che mandano in soffitta l’invenduto, destinato spesso a essere distrutto.
Slow fashion
A questa “filosofia” si contrappone quella dello Slow Fashion, che viene adottata normalmente da aziende su una scala molto più ridotta, che privilegia la produzione di capi destinati a durare nel tempo in una concezione della moda meno frenetica rispetto a quella delle multinazionali del fast fashion. L’attenzione inoltre è sempre più spesso concentrata sulla qualità e sulle caratteristiche dei materiali, in un’ottica di economia circolare e di riciclo e riuso. Tra le caratteristiche principali dello slow Fashion si possono elencare:
- non prevede il lancio di più di due collezioni in un anno
- incentiva la manifattura e la produzione locale
- è sostenibile a livello ambientale
- è etica sotto il profilo sociale
La sfida in questo campo rimane però ancora quella culturale legata al prezzo: non è semplice infatti considerare il fatto che pagare un po’ di più per un capo che dura di più e che non inquina sia preferibile a pagare meno per indumenti destinati alla pattumiera nel giro di pochi mesi o poche settimane, con un sovrapprezzo in termini di impatto ambientale che non è immediatamente visibile ma che nonostante questo è particolarmente alto per le tasche di tutti e per la salute del pianeta.
La rivincita dei brand e dei capi sostenibili
La scelta alternativa al fast fashion è la moda sostenibile, che si pone l’obiettivo di muoversi in un sistema di principi e di valori, nel rispetto dell’ambiente e nella promozione del trattamento etico dei lavoratori e della responsabilità sociale. Quando si parla di moda sostenibile non si parla quindi soltanto di tessuti o materiali, ma dell’intero lifecycle di un prodotto, dalla prima progettazione alla selezione e alla produzione delle materie prime con cui sarà realizzato e poi alle tecniche di tintura e di finissaggio, dalle fasi di cucitura e di assemblaggio all’imballaggio e all’immagazzinamento, per arrivare fino al trasporto e al fine vita e riciclo del prodotto.
Uno dei principi fondamentali della moda sostenibile rimane in ogni caso il fatto che vengano utilizzati materiali e componenti riciclati, con un uso responsabile delle risorse naturali. Allo stesso tempo non si può parlare di moda sostenibile se non vengono assicurate condizioni di lavoro etiche a tutte le persone impegnate nella filiera. Quanto al consumatore che sceglie la moda sostenibile, ha anche lui le sue responsabilità, prima tra tutte quella di non ricorrere al fast fashion, di fare del proprio meglio per prolungare la durata degli indumenti evitando sprechi, e di riciclare, riutilizzare e donare i vecchi indumenti.
Le certificazioni della moda sostenibile sono essenzialmente due, e riguardano i tessuti: L’etichetta Gots (Global Organic Textile Standard) si applica ai prodotti di abbigliamento di origine biologica, e quella Oeko-Tex, che è la più diffusa in Europa.
Le fibre tessili ecologiche
Non si può parlare di moda sostenibile se non si utilizzano fibre tessili ecologiche, caratterizzate dalla produzione etica e dall’utilizzo di materiali che non siano di origine animale. Queste si dividono in tre tipi fondamentali:
Fibre naturali
Passando rapidamente in rassegna le fibre vegetali, parliamo in questo caso di canapa, caucciù, cotone biologico, lana biologica, lino, juta, ramia, sughero e tyrolwool.
Fibre artificiali
Quanto alle fibre artificiali, diversamente da quelle naturali vengono realizzate in laboratorio ricorrendo a processi chimici. La materia prima però è sempre di origine naturale e non da derivati del petrolio. Parliamo in questo caso del bamboo, delle bioplastiche, del Lyocell (che proviene dalla polpa estratta dagli alberi di eucalipto), del modal (alberi di faggio), dell’orange fiber (scarti di agrumi) e della viscosa, che può derivare da diverse materie prime vegetali.
Fibre sintetiche
Le fibre sintetiche si differenziano dalle precedenti perché vengono realizzate con materiali provenienti da prodotti petroliferi. Per essere considerati “ecologici” questi tessuti devono però quindi provenire esclusivamente dal riciclo di materiali già esistenti. Si tratta essenzialmente del NewLife (plastica riciclata da bottiglie) e dell’Econyl (scarti di plastica recuperati in mare).
La scelta della moda second hand
A mettere insieme la propensione verso la sostenibilità e l’aspirazione a trovare prezzi accessibili a tutte le tasche c’è una soluzione: il “second hand”. Acquistare vestiti usati infatti può essere considerata una pratica sostenibile, dal momento che si contribuisce al riciclo dei capi e non si mette sul mercato nulla di nuovo, quindi – ad esempio – senza causare l’emissione di anidride carbonica necessaria alla produzione di un capo. Allo stesso modo si contribuisce ad allungare la vita di indumenti che sono già sul mercato, e che se nessuno prendesse sarebbero destinati alla distruzione.