Nativi digitali tra rischi e opportunità

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Il poter disporre di device e connessioni in fibra sempre più rapide ed efficienti è un’occasione di crescita per le nuove generazioni. Purché possano contare su un’educazione che li renda consapevoli sull’uso delle nuove tecnologie.

Essere nati e cresciuti in un periodo storico caratterizzato dalla presenza di Internet è una grande opportunità per i cosiddetti “nativi digitali”, le generazioni cioè successive al 2020. E il poter contare su connessioni sempre più performanti come quelle abilitate dalla fibra è un’occasione per ridurre le distanze e per accedere in modo più semplice a conoscenze che prima erano molto più difficili da avvicinare. Un esempio concreto, guardando al lato positivo, viene dai mesi appena trascorsi, caratterizzati dalla pandemia, in cui gli strumenti digitali sono stati per tutti, e spesso a maggior ragione per i più giovani, un mezzo per rimanere in contatto con i loro coetanei durante il lockdown e per continuare il proprio percorso scolastico con la didattica a distanza. Tutte opportunità che hanno potuto essere sfruttate avendo come prerequisito la possibilità di accedere a Internet e avere le competenze di base per utilizzare le tecnologie e frequentare gli ambienti digitali in modo corretto e sicuro.

Di cosa parliamo?

Il ruolo di Parole O_Stili

Come sempre, però, questi aspetti positivi portano con sé un rovescio della medaglia, di cui è importante essere consapevoli e che bisogna tenere sempre ben presente per evitare che un’opportunità possa trasformarsi in un boomerang per i giovani e le loro famiglie. Si va dal condividere proprie immagini e dati sensibili senza la dovuta attenzione, a essere vittime o colpevoli di veri e propri reati quali stalking o cyberbullismo. Un campo in cui è fondamentale il ruolo dei genitori e quello della scuola, che devono essere ognuno per la propria sfera di competenza aperti a comprendere cosa sta succedendo e pronti al dialogo e al confronto per mantenere il loro ruolo educativo nei confronti delle nuove generazioni. Esperta in questo campo è Parole O_Stili, l’associazione fondata da Rosy Russo, che ha varato il “manifesto della comunicazione non ostile” e che proprio al rapporto tra giovani e digitale dedica diverse attività di formazione rivolte anche alle scuole e agli insegnanti. L’obiettivo è di non rimanere esclusi dalle modalità di comunicazione dei giovani, e aiutare i ragazzi a rivendicare i propri diritti anche nel mondo digitale, in ambienti che non siano “tossici” o contaminati e che li possano effettivamente accompagnare in un percorso di crescita personale.

I dati di Save the Children: 2 minori su 10 hanno difficoltà con le tecnologie

Si chiama “povertà educativa digitale”, e investe in pieno anche i ragazzi più giovani, le ultime generazioni di nativi digitali. Al tema ha dedicato un report Save the Children, e i dati raccolti dall’associazione e pubblicati all’inizio di giugno hanno evidenziato come il 20,1% dei minori – nonostante nell’ultimo anno abbia vissuto in una “dimensione digitale” a causa della pandemia – abbia lacune nella conoscenza e nell’utilizzo degli strumenti tecnologici. Un fenomeno che porta alla “privazione delle opportunità di apprendere, sviluppare, sperimentare e far crescere liberamente – si legge nella ricerca – capacità, talenti e aspirazioni attraverso un utilizzo responsabile, etico e creativo degli strumenti digitali”.

Dallo studio, ad esempio, è emerso che due minori su dieci non sono in grado di scegliere una password sicura, uno su dieci invece non sa condividere lo schermo durante una videochiamata, quasi tre su dieci non sono capaci di inserire un link in un testo o di scaricare un file dal sito della scuola, quasi 4 su 10 non riescono a utilizzare un browser per l’attività didattica. In più, l’82% afferma di non aver mai utilizzato un tablet a scuola prima della pandemia.

Il ruolo delle famiglie

Un dato interessante emerso dalla rilevazione di Save the Children è il fatto che la condizione socioeconomica delle famiglie influisce in maniera diretta sulle competenze alfabetiche digitali dei ragazzi: più i genitori possono contare su un livello di istruzione alto e meno incide sui giovani la povertà educativa legata alle competenze digitali necessarie per utilizzare gli strumenti tecnologici. In generale, dal campione considerato per realizzare lo studio emerge che il 30,4% dei ragazzi non ha disposizione un tablet a casa e che il 14,2% non ha la possibilità di utilizzare un Pc. Sono infine più della metà, per l’esattezza il 54% del totale, le famiglie in cui non c’è un dispositivo a disposizione di ogni persona in casa. Altro elemento da non sottovalutare è il poter disporre di una connessione ultraveloce come la fibra, che consente una maggiore stabilità di navigazione anche quando ci sono più dispositivi connessi.

L’impatto sociale della povertà educativa non ha confini

Sarebbe sbagliato, in ogni caso, pensare che ci siano differenze socio-economiche che caratterizzino la povertà educativa digitale: se questo è un tema rispetto all’accesso alle tecnologie, la dimensione sociale del fenomeno non conosce invece barriere di questo genere. Quando si tratta della capacità di conoscere e applicare le “regole” su come sia meglio comportarsi nel mondo virtuale, o di come sia meglio muoversi per cogliere le opportunità ed evitare i pericoli, i problemi sono trasversali e riguardano allo stesso modo tutti.

La ricerca di Save the Children dimostra infatti come una buona parte degli studenti intervistati non sia informato sulle regole per lutilizzo della propria immagine da parte dei social, o sull’età minima per avere un profilo, o su come sia possibile rendere accessibile il proprio profilo soltanto agli amici. Più della metà, inoltre, non è consapevole delle conseguenze della condivisione di contenuti offensivi sui social, e non saprebbe come reagire di fronte all’uso improprio delle immagini altrui. Quanto alle fake news, emerge che più della metà del campione non è in grado di riconoscerle.
In questi ultimi anni abbiamo assistito a un’accelerazione del progresso tecnologico, così come della connessione: crescono, infatti, progressivamente non solo le performance in primis di quella in fibra ma anche la sua diffusione in Italia. E in un mondo come quello di oggi in cui il digitale è una parte importante delle nostre vite, è assolutamente indispensabile che crescano allo stesso ritmo la possibilità di accesso e lo sviluppo di una cultura digitale fin dall’età scolare.

L’AbCD: autovalutazione di base delle competenze digitali

In occasione del rilancio della campagna Riscriviamo il Futuro e del nuovo rapporto di ricerca, Save the Children ha elaborato il nuovo strumento AbCD – Autovalutazione di base delle Competenze Digitali. L’obiettivo è stato quello di misurare l’assenza, da parte dei minori, delle competenze di base per ciascuna delle quattro dimensioni della povertà educativa digitale:

  1. apprendere per comprendere – sulla conoscenza degli strumenti e delle applicazioni, le loro caratteristiche e funzionalità;
  2. apprendere per essere – sulla capacità di costruirsi un’identità digitale, del limite che c’è tra spazio pubblico e privato e delle conseguenze delle proprie azioni digitali nei confronti di sé stessi e del proprio benessere;
  3. apprendere per vivere assieme – per comprendere, accettare e rispettare la diversità delle identità, degli stili di vita, delle culture altrui nel mondo digitale e prevenire discriminazioni, intolleranza e cyberbullismo;
  4. apprendere per vivere una vita attiva ed autonoma – per l’accesso ad una conoscenza vasta e globale e alle opportunità di partecipazione attiva nel mondo digitale.

 

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