Second hand economy: l’usato va di moda, tra crisi economica e sostenibilità

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

In un volume di Pietro Luppi e Alessandro Giuliani la fotografia di un settore che acquista importanza e che vale 23 miliardi di euro, guadagnandosi un ruolo centrale nell’economia circolare. A dare la spinta più importante al fenomeno sono le nuove generazioni

La considerazione del mercato dell’usato è radicalmente cambiata negli ultimi anni, diventando un fenomeno di moda per le nuove generazioni. E questo sta spingendo il settore a fare numeri che mai aveva registrato in passato, fino a raggiungere un valore, nel 2021, di 24 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil italiano. A fotografare la situazione in un libro edito da Edizioni Ambiente, “La rivincita dell’usato. Le nuove prospettive del primo pilastro dell’economia circolare” sono Pietro Luppi e Alessandro Giuliani, che prendono in considerazione tutti gli aspetti del fenomeno, che occupa a vario titolo nel nostro Paese quasi 100mila persone e riguarda la moda, l’abbigliamento, i mobili e l’arredamento, l’elettronica, l’oggettistica, i libri e il mondo della mobilità.

Pietro Luppi è il fondatore dell’associazione Occhio del Riciclone e dirige l’osservatorio del riutilizzo. Alessandro Giuliani è fondatore di Leotron e gestisce i franchising dell’usato Mercatopoli e Baby Bazar, e il network Niu.eco.

Di cosa parliamo?

Tra sostenibilità ambientale ed economia circolare

Complessivamente grazie al circuito della second hand economy e a tutte le sue ramificazioni ogni anno più di mezzo milione di tonnellate di materiali non finiscono in discarica ma trovano una nuova vita. Al centro ci sono due ordini di vantaggi particolarmente apprezzati dai più giovani, ma che si stanno facendo strada anche in modo trasversale tra le fasce d’età: l’attenzione alla sostenibilità ambientale e all’economia circolare, e l’occasione di trovare prodotti di buona qualità a prezzi più accessibili rispetto al nuovo. Una circostanza particolarmente apprezzata in un momento in cui l’inflazione è particolarmente alta, i prezzi salgono e il potere d’acquisto dei singoli e delle famiglie si contrae. Al centro di tutto c’è un cambiamento di percezione, soprattutto per i Millennials e la Generazione Z, le persone nate nei due decenni a partire dal 1990, che non vedono più i prodotti usati come una scelta “second best”, cioè la seconda miglior soluzione dopo il nuovo, ma come una scelta “smart & cool”. A dare poi la spinta decisiva alla compravendita dell’usato sono intervenuti negli ultimi anni gli strumenti digitali e l’e-commerce, che hanno contribuito ad abbattere diverse barriere logistiche e a rendere il mercato sempre più accessibile a tutti via Internet.

Un mercato in espansione

A restituire l’idea delle dimensioni che sta acquistando il fenomeno può bastare un semplice calcolo: le 500mila tonnellate di prodotti di seconda mano che vengono venduti e acquistati in Italia nell’arco di un anno corrispondono a circa 8 kg per persona.
Sempre per fare un paragone simbolico, se si volesse considerare il fatturato complessivo del settore in Italia come se venisse prodotto da un’unica azienda, questa prenderebbe un posto importante nel panorama nazionale, tra il 50esimo e il 90esimo posto per ricavi, attestandosi sullo stesso piano di eccellenze del Made in Italy come Ferrari, Barilla, Rai, Fincantieri o Luxottica. Il riutilizzo si trova inoltre in terza posizione nel quadro nazionale per numero di addetti, trainato dall’abbigliamento, che conta su 50mila imprese e dà lavoro a circa 80mila persone, per un fatturato approssimabile sui 950 milioni di euro l’anno.
Un capitolo a parte lo merita il comparto dei negozi dell’usato che lavorano in conto terzi: il settore fattura complessivamente su 3mila punti vendita in tutta Italia, con superfici medie di esposizione che oltrepassano i 500 metri quadrati. Il fatturato in questo caso è di circa 400 milioni di euro l’anno, che raddoppiano se si considerano anche le commissioni che vengono corrisposte agli intermediari.

Recupero e usato online

Se si analizzano più da vicino le filiere, quella del recupero degli indumenti usati e scartati, che vengono selezionati dai contenitori stradali o tramite le parrocchie, ci troviamo di fronte a una rete che coinvolge raccoglitori, selezionatori e grossisti: si tratta in Italia di circa duemila persone, che arrivano a generare valore per 160 milioni di euro. Un ulteriore quota di valore è generata all’estero nelle fasi di vendita all’ingrosso e al dettaglio.
Spostando l’attenzione all’usato online, gli operatori del settore arrivano a fatturare complessivamente in un anno 230 milioni di euro, andando anche a sovrapporsi alle tradizionali bancarelle o ai punti vendita fisici, come dimostrano le piattaforme che recentemente hanno guadagnato l’attenzione dei consumatori, come Vinted o il Marketplace di Facebook.
A dimostrare la vitalità del comparto ci sono anche i dati dell’ultimo report di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, sui rifiuti urbani. Dai dati emerge che secondo dal 2010 al 2019 si è assistito a un raddoppio dei rifiuti tessili raccolti in modo differenziato, con un passaggio da 80mila a 158mila tonnellate. Di pari passo è cresciuto in modo costante il numero delle amministrazioni comunali che dedicano un servizio di raccolta ad hoc al tessile: oggi sono il 73% del totale, ma si arriverà al 100% grazie al fatto che questo genere di raccolta è diventata obbligatoria da inizio 2022.
Un contributo importante all’aumento dei volumi delle raccolte è identificabile anche nella crescita costante del fast fashion, abiti dai costi contenuti e dalla durata breve, anche se in questi casi si tratta spesso di materiali difficilmente riutilizzabili.

Una seconda vita all’estero

Una parte consistente di quello che viene raccolto in Italia trova poi una seconda vita sui mercati esteri, soprattutto nell’Est europeo, in Nord Africa e nell’Africa sub-sahariana: Soltanto la Tunisia e l’Est europea assorbono quasi un terzo delle esportazioni italiane del settore. Quanto ai principali centri di lavorazione nel nostro Paese, si trovano a Napoli e a Prato. Un momento di cambiamento, secondo l’analisi di Luppi e Giuliani, si prevede possa verificarsi con il 2025, quando in Europa sarà obbligatoria la raccolta della frazione tessile: questo porterà, secondo lo scenario prefigurato dal libro, a un aumento della raccolta e a un calo dei prezzi, che renderà necessari investimenti sulle tecnologie per il riciclo.