Un nuovo abitante nei nostri mari
Se nuoti oggi lungo le coste orientali del Mediterraneo, potresti incontrare un pesce dal corpo allungato, le pinne eleganti e i colori mimetici: è il pesce coniglio, nome comune che indica due specie originarie del Mar Rosso (Siganus luridus e Siganus rivulatus). Questi pesci erbivori, noti per la forma delle pinne che ricordano le orecchie di un coniglio, sono tra i protagonisti più emblematici del cambiamento ecologico in corso nel Mediterraneo.
Ma come hanno fatto questi animali tropicali ad arrivare fin qui? E cosa ci dicono della resilienza – e della fragilità – degli ecosistemi marini?
INDICE DEI CONTENUTI
Un viaggio attraverso il Canale di Suez
L’arrivo dei pesci coniglio nel Mediterraneo è un esempio di migrazione lessepsiana, un processo che prende il nome da Ferdinand de Lesseps, il promotore del Canale di Suez. Dopo la sua apertura nel 1869, il canale ha creato una connessione artificiale tra il Mar Rosso e il Mediterraneo, permettendo a numerose specie tropicali di “colonizzare” le acque mediterranee.
I pesci coniglio sono tra le specie che si sono adattate con maggiore successo, complice anche il riscaldamento delle acque mediterranee. L’acqua del Mediterraneo in particolare nel bacino orientale, si sta riscaldando a un ritmo superiore alla media globale, con aumenti di temperatura che superano 1,5 °C rispetto alla media del secolo scorso (EMODnet, 2023). Questo riscaldamento favorisce la sopravvivenza e la riproduzione di specie originarie di mari tropicali, come quelle del Mar Rosso, che fino a pochi decenni fa non avrebbero potuto stabilirsi stabilmente nel Mediterraneo. Questo fenomeno legato al cambiamento climatico, associati all’assenza di predatori naturali, ha ampliato rapidamente l’areale del pesce coniglio, partendo dal bacino orientale e arrivando oggi fino a Grecia, Turchia, Libano, Israele e, più recentemente, anche alle coste italiane (ISPRA, 2021). Il pesce coniglio non è solo. Insieme a lui stanno arrivando decine di altre specie esotiche: il pesce palla maculato (Lagocephalus sceleratus), velenoso e altamente invasivo; la medusa nomade (Rhopilema nomadica); il granchio corridore (Percnon gibbesi). Tutti questi animali stanno colonizzando habitat lasciati vacanti da specie locali in difficoltà o alterati da pressioni umane come l’eccessiva pesca o l’inquinamento.
Questo fenomeno, noto come tropicalizzazione del Mediterraneo, è uno degli effetti più visibili del riscaldamento climatico sui mari europei. Aumentano le specie termofile (amanti del caldo), diminuiscono quelle native più sensibili ai cambiamenti, e gli equilibri ecologici si spostano. Il rischio maggiore non è solo la perdita di biodiversità autoctona, ma anche la semplificazione degli ecosistemi, che diventano meno resilienti a future perturbazioni.
Un erbivoro affamato (e molto efficiente)
A differenza della maggior parte dei pesci nativi del Mediterraneo, i pesci coniglio sono strettamente erbivori. Si nutrono di alghe bentoniche, e lo fanno con un’intensità tale da trasformare interi habitat. In molte zone costiere dell’Egeo e del Levante, la loro espansione ha causato un fenomeno noto come overgrazing: le alghe scompaiono e il fondale si trasforma in un deserto sottomarino, povero di biodiversità.
Uno studio pubblicato su Global Change Biology (Giakoumi et al., 2019) ha documentato l’effetto della presenza di Siganus sulla copertura algale: le comunità costiere passano da ambienti ricchi e strutturati a fondali spogli, con conseguenze profonde sulla catena alimentare marina.
Natura resiliente… O fragile?
Il successo del pesce coniglio è un esempio straordinario di adattamento ecologico: ha saputo occupare una nicchia libera, ha modificato il proprio comportamento in base all’ambiente e ha sfruttato le alterazioni climatiche e antropiche a proprio favore. Ma la sua presenza solleva anche interrogativi urgenti: che succede quando una specie resiliente altera profondamente un ecosistema? Resilienza e invasività possono coincidere, ma non sempre con effetti benefici per la biodiversità.
La gestione delle specie aliene marine è una delle sfide più complesse della conservazione in mare. Non si può “espellere” il pesce coniglio dal Mediterraneo, ma si può agire su più fronti: monitoraggio scientifico e citizen science, sensibilizzazione dei pescatori (che spesso lo considerano un pesce di poco valore), promozione del suo consumo alimentare (in alcune regioni è già molto apprezzato) e, più in generale, una visione ecosistemica della gestione marina.
La storia del pesce coniglio ci mostra che la natura sa adattarsi, ma anche che ogni adattamento ha un prezzo. In un mondo sempre più interconnesso e riscaldato, comprendere questi fenomeni è il primo passo per convivere in modo più consapevole con la trasformazione degli ecosistemi.
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