Ambiente

Abbassare il battito in profondità: la strategia delle balene

Scritto da 14 Agosto 2025 • 1 min di lettura

Nel nostro mondo umano, lo stress accelera: il cuore batte più forte quando siamo sotto pressione, in ritardo, sovrastimolati. Ma nelle profondità dell’oceano, accade l’opposto: la balena, immersa nel buio e nella pressione abissale, abbassa il ritmo, rallenta il cuore, conserva l’energia. È una risposta fisiologica tanto elegante quanto essenziale, chiamata bradicardia da immersione.

Da 30 o più battiti al minuto in superficie, il cuore di una balena può scendere a 2 o 4 battiti al minuto durante le immersioni. Un adattamento straordinario che permette a questi colossi del mare di risparmiare energia e ossigeno, sopravvivendo per minuti – e in alcuni casi ore – senza respirare, ma con un’efficienza vitale che noi – forse – dovremmo invidiare. In un mondo che ci spinge ad accelerare, le balene ci insegnano il valore del rallentare per sopravvivere. Nel mondo naturale, ogni battito conta.

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Rallentare per risparmiare

Le balene, come tutti i mammiferi marini, devono periodicamente risalire in superficie per respirare. Eppure, alcune specie sono in grado di restare sott’acqua per oltre un’ora, come lo zifio di Cuvier, che detiene il record di immersione (fino a 3.000 metri e oltre 2 ore sotto la superficie, secondo Revell et al., 2019).

Il segreto sta nel modo in cui il loro corpo gestisce l’ossigeno disponibile. Durante l’immersione, il cuore rallenta per conservare l’ossigeno nei tessuti più vitali, come il cervello e il cuore stesso, mentre le aree meno cruciali – muscoli, pelle, sistema digestivo – ricevono meno sangue. Questo adattamento, simile a quello osservato in alcune foche e pinguini, è regolato da meccanismi autonomi e attivati dall’immersione stessa, riducendo il consumo metabolico senza compromettere le funzioni essenziali.

La bradicardia non è solo una risposta a breve termine, ma parte di un’intera strategia di efficienza metabolica. Le balene accumulano ossigeno non solo nei polmoni, ma anche nel sangue (grazie a concentrazioni elevate di emoglobina) e nei muscoli (attraverso la mioglobina). Ma ciò che rende efficace l’immersione prolungata è il modo in cui viene usato questo ossigeno: lentamente, razionalmente, con un ritmo cardiaco quasi impercettibile.

In un certo senso, la balena ci ricorda che non sempre sopravvive chi consuma di più, ma chi riesce a fare di più con meno. In ambienti estremi come l’oceano profondo, la lentezza è una forma di potere.

Natura resiliente, cuore resistente

Uno studio pubblicato su PNAS (Goldbogen et al., 2019) ha documentato per la prima volta la frequenza cardiaca di una balenottera azzurra in natura, usando sensori non invasivi. I risultati hanno confermato quanto già ipotizzato: durante le fasi più profonde dell’immersione, il cuore batte una volta ogni 10 secondi o più, per poi accelerare rapidamente al ritorno in superficie. Questo meccanismo di “rallentamento e ripartenza” consente immersioni profonde senza compromettere l’equilibrio fisiologico.

Questa resilienza cardiovascolare è frutto di un’evoluzione durata milioni di anni. In un mondo che cambia – con oceani sempre più caldi, acidi e rumorosi – il cuore delle balene resta un esempio pulsante di adattamento estremo.

Comprendere la bradicardia delle balene non è solo un esercizio di fisiologia animale: è anche un invito a rallentare, osservare e rispettare. In un’epoca in cui il nostro ritmo accelera senza sosta, questi colossi silenziosi ci ricordano che la vita più profonda si muove al ritmo più lento. E che la resilienza spesso nasce proprio dalla capacità di fare silenzio, trattenere il respiro e attendere il momento giusto.