La scarsità d’acqua, una minaccia per la pace mondiale

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Secondo un rapporto ONU le crisi idriche aumentano le possibilità di conflitti. Dal report emerge che la cooperazione sulla gestione delle acque transfrontaliere può risultare efficace per il mantenimento della pace

C’è un legame stretto tra la pace nel mondo e le crisi idriche: dove queste si manifestano con più forza, infatti, aumenta il rischio di conflitti locali o regionali. A evidenziarlo è il Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo idrico mondiale 2024, pubblicato da Unesco per conto di UN-Water, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dell’acqua, coordinando le attività delle singole agenzie Onu e delle organizzazioni internazionali.

Di cosa parliamo?

Rafforzare la cooperazione

“Se vogliamo preservare la pace – spiega Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco – dobbiamo agire rapidamente non solo per salvaguardare le risorse idriche, ma anche per rafforzare la cooperazione regionale e globale in questo settore”. A fargli eco è Alvaro Lario, presidente del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e di UN-Water: “L’acqua, se gestita in modo sostenibile ed equo, può essere fonte di pace e prosperità – sottolinea – È anche la vera e propria linfa vitale dell’agricoltura, il principale motore socio-economico per miliardi di persone”.

2,2 miliardi di persone senza acqua

Stando ai dati contenuti nel nuovo report di UN-Water, oggi nel mondo ci sono 2,2 miliardi di persone che non hanno accesso a fonti di acqua potabile gestite in modo sicuro, mentre 3,5 miliardi non hanno a disposizione servizi igienici. Questa fotografia rende complicato il raggiungimento dell’obiettivo fissato dalle nazioni unite per il 2030, quello di fornire a tutta l’umanità questi servizi.

La siccità

Se si prende in considerazione l’arco di tempo che va dal 2002 al 2021, in questo periodo le persone complessivamente colpite dalla siccità sono state 1,4 miliardi. Ma un dato particolarmente eloquente è che la metà della popolazione mondiale – e questo soltanto nel corso del 2022 – ha avuto modo di sperimentare direttamente una grave carenza d’acqua per almeno una parte dell’anno, mentre il 25% ha affrontato livelli “estremamente elevati” di stress idrico. Dati che non sono destinati a migliorare, secondo le previsioni di UN-Water, a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Una spinta alle migrazioni

La scarsità di risorse idriche è secondo il rapporto di UN-Water una delle situazioni in grado di provocare fenomeni migratori, che a loro volta potrebbero mettere in difficoltà i servizi idrici nei luoghi di destinazione ed essere una miccia per l’esplosione di tensioni sociali.

Il ruolo degli accordi transfrontalieri

Mentre circa il 40% della popolazione mondiale vive in bacini fluviali e lacustri transfrontalieri – spiega il rapporto – solo un quinto dei Paesi ha stipulato accordi transfrontalieri per gestire congiuntamente queste risorse condivise in modo equo. Molti bacini transfrontalieri sono già situati in aree segnate da tensioni interstatali attuali o passate.

Tra le aree più vulnerabili alle tensioni interstatali legate all’acqua il report cita l’Africa, dove 19 dei 22 Stati presi in considerazione dallo studio soffrono di carenza idrica e due terzi delle risorse di acqua dolce del continente sono al confine tra Stati diversi. Su 106 di questi casi monitorati – spiega UN-Water – la cooperazione interstatale è stata formalizzata solo in sette casi.

I progressi nella cooperazione

Il report dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’acqua cita la cooperazione sulla gestione delle acque transfrontaliere come una delle leve più efficaci per il mantenimento della pace, dal momento che contribuisce a creare le condizioni per un dialogo tra tutte le parti e a istituire i quadri giuridici necessari a risolvere le controversie, prevenendo conflitti più ampi.

Due esempi di cooperazione in Africa ed Ex-Jugoslavia

Per citare un paio di esempi, parliamo di situazioni come quella dell’accordo quadro sul bacino del fiume Sava, firmato nel 2002 da Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia e Slovenia: il primo accordo multilaterale orientato allo sviluppo nell’Europa sud-orientale.

“A due decenni dalla sua adozione – spiega Un-Water – è diventato un fattore chiave di stabilità nella regione e ora funge da esempio di buone pratiche per altre regioni del mondo”.

Altro esempio indicativo è quello del Lago Ciad, che ha visto la propria portata diminuire del 90% nell’arco degli ultimi 60 anni. Negli ultimi anni, Camerun, Ciad, Repubblica Centrafricana, Libia, Niger e Nigeria hanno dato un nuovo impulso alla Commissione del Bacino del Lago Ciad, con l’obiettivo di garantire l’uso più efficiente delle acque del bacino, coordinare lo sviluppo locale e prevenire l’insorgere di controversie tra questi Paesi e le comunità locali.

“Questi due esempi evidenziano il fatto che, anche in situazioni complesse, gli Stati hanno i mezzi per attuare politiche di accesso all’acqua e di gestione condivisa delle risorse che siano giuste ed eque – conclude UN-Water – grazie alla cooperazione internazionale e al sostegno del sistema delle Nazioni Unite”.