Shopping online: quanto inquinano i resi?
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La Redazione di Sorgenia
Il packaging è responsabile del 75% delle emissioni prodotte dallo shopping online, i resi contribuiscono con un’impronta compresa tra il 3 e il 9%
Le restrizioni alla circolazione e alla vita quotidiana imposte dalla pandemia e dai lockdown hanno abituato i consumatori ad acquistare online anche ciò che prima sceglievano in negozio. Questa comodità ha un costo, non solo economico ma anche ambientale. A inquinare è tutto l’iter degli acquisti online, a partire dal packaging con il quale vengono spediti i prodotti, al trasporto fino alle case degli acquirenti o alla destinazione scelta per l’arrivo della merce (il cosiddetto “ultimo miglio”) e, nel caso in cui il prodotto acquistato non sia di nostro gradimento, il reso (e quindi un nuovo packaging e un nuovo viaggio). Quest’ultimo fenomeno è cresciuto negli ultimi anni, in maniera più che proporzionale alla crescita dell’e-commerce.
Di cosa parliamo?
Quanto inquina l'e-commerce
Secondo una ricerca di Capgemini l’information technology genera il 4% delle emissioni di CO2 a livello globale. Secondo le previsioni tale cifra aumenterà di tre volte entro il 2025 rispetto ai livelli del 2010. Sempre nel 2025 il solo It nel mondo delle imprese avrà una carbon footprint equivalente a 463 milioni di veicoli per anno. In questi dati rientra anche l’inquinamento prodotto dall’e-commerce. Quest’ultimo inquina anche per un’altra ragione: l’aumento delle consegne di ultimo miglio fa crescere il numero di furgoni per la consegna delle merci. Con “ultimo miglio” si intende l’ultima porzione di tragitto percorso da un pacco prima di essere consegnato all’acquirente. Questo può essere un negozio, nel caso in cui si sia scelta la consegna in negozio, un locker, la propria abitazione privata o un ufficio.
I numeri (dell'e-commerce) non mentono
Gli acquisti online sono diventati ormai una consuetudine tanto che anche i piccoli commercianti o i piccoli brand si ritrovano “costretti” ad affiancare ai punti vendita fisici anche gli e-commerce. Secondo i dati dell’Osservatorio eCommerce B2C 2022 della School of Management del Politecnico di Milano il valore totale raggiunto dagli acquisti online nel nostro Paese nel 2022 è stato di 48,1 miliardi di euro, in crescita del 20% rispetto al 2021. Ad essere acquistati sono soprattutto prodotti. “L’andamento del mercato è frutto di due dinamiche differenti. Gli acquisti di prodotto continuano a crescere, sebbene con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto a quello dello scorso anno (+18%), e toccano i 33,2 miliardi di euro – ha detto Riccardo Mangiaracina, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c -. Gli acquisti di servizi, invece, portano a termine il percorso di ripresa (+59%) e raggiungono i 14,9 miliardi di euro. Grazie alla crescita del comparto Turismo e trasporti (soprattutto nei mesi estivi), si compensano (finalmente) le perdite generate durante l’emergenza sanitaria”.
Il fenomeno dei resi
La smaterializzazione delle vendite ha avuto un impatto considerevole sulla supply chain e ha generato l’esplosione del fenomeno dei resi. I resi altro non sono che oggetti che abbiamo acquistato e che, una volta arrivati a casa, non vogliamo più. Secondo una ricerca di Statista, in media il 43% dei consumatori italiani rispedisce indietro un acquisto. Peggio va in Germania, dove a fare due volte il percorso magazzino – acquirente, acquirente – magazzino è il 53% della merce, in Olanda il 52% e in Francia il 45%. I resi sono frequenti soprattutto nel settore della moda, in particolare le scarpe sono tra i prodotti più restituiti.
Come funziona il ciclo dei resi
Per i rivenditori i resi sono responsabili di un processo lungo e costoso formato da vari passaggi: rivalutare il prodotto reso, ri-stoccarlo, ri-etichettarlo, disinfettarlo (quando possibile) e poi rimetterlo in vendita. L’onerosità (in termini di tempo e soldi) spesso invoglia le aziende a mandare il prodotto reso direttamente al macero, soprattutto se ha uno scarso valore economico, aumentando in questo modo l’impronta ambientale. Nel corso della pandemia, i volumi d’affari di Rebond Returns, un’azienda specializzata nella gestione dei resi per i grandi operatori dell’ecommerce, sono aumentati del 63%.
Il costo economico dei resi
Ecco cambiare idea ha un costo. Economico per le aziende, perché se il reso è gratuito per gli acquirenti non lo è per i commercianti che, secondo i dati di SendCloud, pagano circa 6 euro per la restituzione di ogni prodotto. I piccoli commercianti soffrono moltissimo questa tendenza: l’adeguamento forzato all’esperienza di shopping fornita dai grandi rivenditori non è semplice per chi non ha i mezzi per far fronte allo sfrenato ricorso al reso.
Il costo ambientale dei resi
I resi, però, hanno un salatissimo costo ambientale. Lo ha spiegato bene Quantis, società di consulenza ambientale, nel suo report “Sostenibilità: aggiungi al carrello. E-commerce nel settore fashion in Italia: buone prassi di sostenibilità nel contesto omnicanale”. Lo shopping online, in tutte le sue fasi (dalla ricerca del prodotto su siti web e-commerce all’acquisto), genera il 7% delle emissioni di gas serra prodotte in tutte le fasi di acquisto online. In termini percentuali il packaging di consegna è responsabile del 75% delle emissioni di gas serra, la logistica di spedizione e consegna contribuisce al 15% delle emissioni di gas serra. I ricercatori di Quantis hanno stimato che il tasso di reso medio si attesti al 14%: ciò significa che la fase di reverse logistics contribuisce al 3% delle emissioni di gas serra. Le cose peggiorano se analizziamo i player e-commerce puri, per i quali il tasso di reso potrebbe arrivare al 50%, l’impatto di questa categoria sale a circa il 9% delle emissioni di gas serra per ordine di acquisto. “Per il settore moda – si legge nello studio -, nell’82% dei casi i resi non presentano difetti e possono essere reimmessi a stock e rivenduti, altrimenti vengono preferibilmente rivenduti come B-Stock attraverso lo stesso sito e-commerce o altri portali, oppure donati”.
Perché facciamo i resi?
Le ragioni possono essere innumerevoli. Quel capo d’abbigliamento, che su Instagram ci sembrava perfetto, una volta spacchettato ha perso la sua allure. Quel paio di scarpe che ci sembrava molto adatto al nostro nuovo outfit in realtà ci sta stretto. Oppure può esserci arrivato un oggetto difettoso, possiamo non avere più necessità di quel bene perché ne abbiamo trovato uno più adatto a noi in un negozio fisico, oppure, semplicemente, non lo vogliamo più. La possibilità di fare un reso gratuito, facile e veloce anche dopo diversi giorni dall’acquisto rappresenta un punto di forza per gli e-commerce perché spinge anche gli utenti più indecisi e dubbiosi a portare a termine l’acquisto senza pensarci più di tanto.
Come evitare i resi: 5 consigli
Il primo, e sempre valido, consiglio per evitare resi e limitare l’inquinamento è “non consumare”. Perciò buona norma è acquistare solo ciò che è strettamente necessario e indispensabile, oggetti sui quali difficilmente cambieremo idea. Un aiuto, in tal senso, può arrivare dalla regola delle 24 ore. Quando pensiamo di effettuare un acquisto, aspettiamo 24 ore se non avremo cambiato idea possiamo procedere. Per limitare il numero dei resi potremmo evitare di acquistare capi di abbigliamento (scarpe soprattutto) se non siamo sicuri della taglia e cercare lo stesso prodotto in un negozio fisico. Avvaliamoci delle esperienze degli altri: leggiamo le valutazioni e i commenti sul sito di e-commerce o sui forum dedicati per capire se è il prodotto che fa per noi. Una volta che il nostro pacco è arrivato a casa non distruggiamo l’imballaggio perché, se dovessimo decidere di restituirlo, potremo riutilizzarlo. Infine, prima di procedere con un reso, accertiamoci che qualcuno dei nostri amici non abbia bisogno di quel prodotto che noi non vogliamo più, potremo regalarlo, scambiarlo o venderlo senza danni per l’ambiente.
Altri consigli riguardano i commercianti:
- effettuare le consegne dell’ultimo miglio con cargo bike;
- ottimizzare le dimensioni dei contenuti e degli elementi del sito web;
- incentivare modalità di consegna alternative più efficienti;
- utilizzare packaging 100% riciclabili e promuovere la scelta di tempi di consegna più sostenibili.