Oliviero Tomasoni, il biofalegname che libera l’energia degli alberi

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Da 35 anni guida a Brescia la Bottega del legno, e ha costruito la sua attività mettendo in primo piano la sostenibilità: utilizza solo vernici e materiali naturali, e per ogni mobile che produce è in grado di ricostruire la storia dell’albero da cui provengono

Trentacinque anni fa Oliviero Tomasoni era impiegato come progettista in un’azienda, e lavorava il legno soltanto come hobby, per passione, mettendo in pratica gli insegnamenti ricevuti da un vecchio falegname. Poi quello che lui definisce “il colpo di testa”, la decisione di licenziarsi e dedicarsi a tempo pieno alla falegnameria. Specializzandosi nel tempo per la sostenibilità della sua attività, utilizzando quindi materiali esclusivamente naturali e legnami non provenienti dalla deforestazione. In quest’intervista Oliviero racconta la sua storia e la sua passione per un mestiere che – nel suo caso – mette in primo piano il valore dell’armonia con la natura.

Di cosa parliamo?

Oliviero, come è nata questa sua passione per applicare i principi del biologico alla falegnameria?

Il salto più importante risale a tre o quattro anni dopo aver aperto la mia attività, con la decisione di utilizzare esclusivamente materiali biologici per i miei mobili, dal legno alle vernici alle componenti per l’assemblaggio e per la lavorazione del legno. Tutto nacque dalla rivista Terra Nuova, che allora era un ciclostilato, e che ancora è un punto di riferimento quando si parla di agricoltura biologica, alimentazione naturale e consumo critico. Lì si è consolidata la mia scelta di vita, che ho voluto testimoniare anche attraverso il mio lavoro. Partendo ad esempio dall’utilizzare legno che non proviene dalla deforestazione, il più possibile locale e a chilometri zero. Il principio è di comprare il legno dai contadini quando decidono di tagliare gli alberi, scegliendolo, tagliandolo soltanto nei periodi di luna calante, quando la circolazione di linfa è ridotta, ed essiccandolo all’aria, senza utilizzare forni.

E perché la scelta dei materiali naturali?

L’idea mi è venuta quando ho dovuto realizzare una cameretta per un conoscente. Quando sono andato a ritirare i mobili in verniciatura, dopo averli caricati sul furgone, ricordo ancora che nell’abitacolo l’aria era irrespirabile per l’odore della vernice. E lì ho iniziato a pensare che quei mobili avrebbero dovuto arredare la stanza di un bambino, che sarebbe stato costretto a respirare quelle sostanze. E ho pensato che per fare bene il mio lavoro avrei dovuto evitare da quel momento in poi l’utilizzo di vernici e solventi derivati da petrolio. Trattare il legno con sostanze naturali è importante, perché il legno dentro una casa contribuisce a purificare l’aria e a regolare l’umidità.

Come è cambiato nel tempo il mestiere del falegname?

Io mi sento ancora oggi fortunato a fare il falegname, un mestiere che mette le persone, quando ne sono consapevoli, nella condizione di essere i “mediatori” tra gli uomini e la natura, tra il bosco e la casa. Lavorare con la giusta disposizione d’animo è fondamentale, perché un lavoro fatto controvoglia è un lavoro che trasmette negatività. Proprio come accade agli chef quando cucinano ma sono di cattivo umore. Purtroppo, in molti oggi non sono consapevoli di questi principi: a me ha insegnato il mestiere un maestro che lavorava l’albero e sapeva tutto dell’albero. Oggi invece questo aspetto culturale si è perso: molti falegnami non sanno distinguere un faggio da una quercia.
Il primo passo per imparare a fare il falegname, dal mio punto di vista, è quello di imparare a conoscere il bosco, perché tutto ciò che lavoriamo ha un’energia e il nostro compito è di fare in modo che questa energia venga preservata.

Lei trasmette un’alta considerazione degli alberi…

Gli alberi sono fondamentali, sono condensatori di energie: quelle della terra, dove hanno le radici, e del cielo, dove hanno le chiome. Il tronco è il punto in cui queste energie si incontrano e si fondono. Scegliendo il legno giusto si realizzano oggetti che trasmettono diversi tipi di energia, e che sono più o meno adatti ai luoghi in cui trovano posto.
Nel mio percorso studio l’energia degli alberi: ogni tipo ne ha una specifica legata ai pianeti, e bisogna esserne consapevoli quando si affronta un lavoro. Allo stesso modo è importante la scelta degli altri materiali che si utilizzano all’interno delle nostre case, dai detersivi alle pitture murali: se nelle abitazioni portiamo sostanze naturali non possiamo che fare bene anche a chi abita quegli ambienti. E infine è fondamentale che una volta arrivati alla fine del loro percorso di vita gli arredi possano tornare alla terra e contribuire alla crescita di nuovi alberi: dovranno essere quindi completamente biodegradabili e riciclabili.
Anche da queste convinzioni ho fondato nel 1992 l’associazione di architettura naturale Bioarca, con artigiani e architetti uniti da questa concezione ecologica. La mia idea era di creare un consorzio su queste basi, ma poi non siamo riusciti a concretizzarla, in molti hanno avuto paura di rischiare.

Forse oggi i tempi potrebbero essere più maturi?

Forse oggi quelle condizioni ci potrebbero essere, ma ci vorrebbe una nuova generazione pronta ad accettare questa scommessa. E che si uscisse finalmente dall’equivoco del “finto bio”, perché in giro di bio-furbi ce ne sono fin troppi. Io invece ho scelto la strada di certificare i miei lavori al momento della consegna, dando ai clienti la certezza di tutta la filiera, compreso il fatto che siano completamente naturali le vernici, le colle e gli stucchi, che ricaviamo dalla cera d’api. E niente che derivi dal petrolio, ma sughero, canapa, bioedilizia in legno.

A proposito di api, proprio al loro mondo è dedicata una delle sue ultime realizzazioni…

Sì, abbiamo dato vita con un gruppo di lavoro a un innovativo modello di arnia esagonale: ne abbiamo prodotti 15 esemplari che abbiamo distribuito in tutta Italia, e ora siamo impegnati a monitorarne i risultati, per apportare eventuali miglioramenti. Siamo partiti dalla constatazione che le arnie “tradizionali” non erano progettate al meglio per le esigenze delle api, e arrivavano addirittura a indebolirne l’energia. Così abbiamo adottato una serie di accorgimenti, partendo proprio dalla qualità del legno, pensando al benessere delle api.

Oggi la sostenibilità è finalmente diventata un argomento “di moda”. Nota una sensibilità attorno alla sua attività?

La crescita di sensibilità c’è senza dubbio stata. All’inizio la mia “nicchia” era soprattutto formata da persone che avevano già una spiccata attenzione su questi temi, e che avevano già avviato un percorso per vivere in armonia con la natura, anche – ad esempio – dal punto di vista alimentare. Ora invece si avvicinano anche persone che non hanno questo background, e che apprezzano i nostri “pezzi unici” e i principi del nostro lavoro. Io mi considero un artigiano, non mi occupo di produzione di serie, non riesco a fare due cose uguali. Perché la falegnameria è creatività, e mi piace realizzare progetti costruiti su misura sulle esigenze dei miei clienti. Il fatto che si parli sempre più di sostenibilità è in ogni caso una cosa positiva, anche se il problema da qui in avanti sarà la gestione della transizione. Quando intorno a un settore iniziano a girare tanti soldi, come sta accadendo con il Pnrr, immediatamente si fanno avanti anche i furbi. Tra i primi passi ci dovrà essere quello di fare di più per educare i più giovani a questi temi, è necessario che si diffonda una cultura della sostenibilità.

Cosa fa per trasmettere agli altri la sua passione, come ha fatto il suo maestro con lei?

Intanto sono impegnato in una serie di trasmissioni con una emittente televisiva locale, Telecolor: si chiama “Lo spirito degli alberi”, e potete trovarla anche su YouTube. E poi tutti gli anni accolgo diversi stagisti, dall’Italia e dall’estero. Sono in molti i giovani interessati a questo lavoro e a questo stile di vita, e mi è capitato di incontrare ragazzi e ragazze molto appassionati e portati.