La Grande Muraglia Verde d’Africa: 8mila km di alberi per il benessere del Pianeta
Scritto da
Ettore Benigni
Giornalista
L’iniziativa, sposata nel 2007 dall’Unione Africana, interessa 22 Paesi e si propone di dare vita entro il 2030 a una nuova stagione di sostenibilità per il continente e per il Sahel
Una grande muraglia verde che attraversa l’Africa: 8mila chilometri di alberi che si susseguono sul territorio di 22 Paesi della regione africana del Sahel per portare nel continente e nel Pianeta sostenibilità e condizioni di vita migliori. È il progetto “Great Green Wall”, adottato nel 2007 dall’Unione Africana e guidato dalla Commissione dell’Unione Africana e dell’Agenzia panafricana del Grande Verde.
L’iniziativa mira al miglioramento della qualità di vita di milioni di persone attraverso la creazione di un vasto sistema di paesaggi produttivi verdi tra il Nord Africa, il Sahel e il Corno d’Africa. Tra i Paesi coinvolti figurano Algeria, Burkina Faso, Benin, Capo Verde, Gibuti, Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan, Gambia e Tunisia.
Di cosa parliamo?
Gli obiettivi dell’iniziativa
L’obiettivo, per il quale sono stati raccolti finora più di 8 miliardi di dollari di finanziamenti, è di ripristinare entro il 2030 100 milioni di ettari di terreni degradati, contribuendo al sequestro di 250 milioni di tonnellate di CO2 e creando 10 milioni di posti di lavoro green.
Si tratta, in concreto, di dare progressivamente vita a un vasto sistema di paesaggi produttivi: un modo per aiutare le popolazioni locali nel loro percorso di crescita, grazie al fatto che sarà possibile mettere a loro disposizione terreni fertili, contribuendo così alla sicurezza alimentare e idrica e alla resilienza climatica delle aree coinvolte. In altre parole, una strategia per combattere gli impatti del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, impedendo che il deserto del Sahara si estenda ulteriormente in una delle regioni più povere del mondo.
L’attenzione allo sviluppo rurale
Dal 2005, quando l’iniziativa è stata formalizzata per la prima volta, i cambiamenti strategici per migliorarla sono stati diversi. Quello più importante è il fatto che si è passati dall’immaginare una semplice “muraglia” di alberi a mettere a punto un progetto più complesso e articolato, che mirasse non soltanto all’aspetto della piantumazione ma potesse diventare una vera e propria iniziativa di sviluppo rurale, contribuendo alla crescita delle comunità interessate dal progetto. Questo ha portato, finora, a ripristinare complessivamente circa 18 milioni di ettari di terreni degradati.
La storia della grande muraglia verde
A proporre per primo l’idea del progetto fu 1952 un biologo britannico, Richard St. Barbe Baker, che deve la sua fama all’attivismo per la riforestazione. L’idea originaria per contenere il deserto, però, era molto più limitata rispetto a quella di oggi: si trattava di una cintura di 50 chilometri di alberi.
Di barriera verde si riparlerà esattamente 50 anni dopo, nel 2002, durante la giornata contro la desertificazione e la siccità al summit di N’Djamena, in Ciad, mentre l’approvazione del progetto risale al conferenza dei capi di Stato e di governo della Comunità degli stati del Sahel e del Sahara di Ouagadougou, in Burkina Faso, nel 2005, prima che nel 2007 arrivasse l’endorsement dell’Unione africana.
Una “world restoration flagship” dell’ONU
A riconoscere l’importanza della grande muraglia verde sono anche le Nazioni Unite, che hanno inserito il progetto tra le prime dieci “World restoration flagships” del decennio dedicato al ripristino degli ecosistemi che si concluderà nel 2030. Obiettivo di questa iniziativa dell’ONU è dimostrare come portare alla loro forma migliore i paesaggi degradati possa rivelarsi utile per combattere contemporaneamente il cambiamento climatico, la perdita di natura e biodiversità e l’inquinamento.
Questa iniziativa sta già facendo la differenza nella vita di molte persone in tutta l'Africa, anche nei Paesi soggetti a conflitti. Dimostra inoltre gli enormi benefici del ripristino in paesaggi fortemente a rischio a causa dei cambiamenti climatici.
– Mirey Atallah, responsabile della sezione Natura per il clima del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP)