La Grande Barriera Corallina, patrimonio a rischio

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Acque sempre più calde e acide a causa dei cambiamenti climatici indotti dall’inquinamento. Così uno dei “tesori” del pianeta si è ammalato e potrebbe sparire

La “Great Barrier Reef” in prossimità delle coste a Nord-Est dell’Australia è la più grande estensione di corallo che esista oggi sul pianeta terra, ma i cambiamenti climatici stanno mettendo seriamente a rischio la sua sopravvivenza. Patrimonio mondiale dell’Unesco dal 1981, è un insieme di più di 2.900 barriere coralline singole, in un’area caratterizzata da più di 900 isole: si estende per oltre 2.300 kilometri, su una superficie approssimativa di 344.400 km quadrati. Gli allarmi sulla sopravvivenza della “Grande barriera” si susseguono da anni, e provengono dalle fonti più autorevoli; nel frattempo il Governo australiano si è impegnato nel tempo con stanziamenti considerevoli (come i 500 milioni di dollari investiti nel 2018) per tutelare la riserva, che è anche uno dei più antichi ecosistemi del pianeta. Nonostante queste azioni, però, si registra anche un aumento costante e progressivo delle emissioni di gas serra in Australia negli ultimi 4 anni.

Di cosa parliamo?

Il “necrologio” che ha attirato l’attenzione sul caso

Di allarmi se ne erano susseguiti molti negli anni, ma quello che ha acceso con più decisione i fari sulla situazione della Great barrier reef è stato pubblicato, sotto la forma “originale” di un necrologio, dal Magazine Outside nel 2016, che annunciava la morte di un patrimonio naturale che proliferava in Australia da 25 milioni di anni, in conseguenza della temperatura dell’acqua sempre più alta e a causa della crescente acidità dovuta all’inquinamento. A queste cause si aggiungono tempeste marine sempre più severe, che progressivamente danneggiano la vegetazione marina.
Ma prima di Outside i campanelli d’allarme non erano mancati. Già nel 2014 le Nazioni Unite, attraverso un report dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (Ipcc), redatto da un gruppo di oltre 300 scienziati e pubblicato a Yokohama il 31 marzo di quell’anno, aveva attirato l’attenzione sulla distruzione delle barriere coralline. Esattamente un anno dopo, ad aprile 2015, Greenpeace denunciava come nei precedenti 27 anni fosse stato distrutto o deteriorato oltre il 50% della barriera.

Tutte le cause del disastro

Come dicevamo, le cause scatenanti del deterioramento della Great barrier reef sono essenzialmente l’aumento della temperatura delle acque e l’acidificazione degli oceani, entrambi fenomeni legati al cambiamento climatico causato dall’uomo.
“Nel continuo e naturale scambio di gas – compresa la CO2 – fra idrosfera e atmosfera, si stabilisce un equilibrio fra la parte che viene disciolta in acqua e quella che si trova allo stato libero in atmosfera – spiega in un’intervista a SorgeniaUp Filippo Thiery, fisico e divulgatore scientifico, meteorologo di Geo Rai3 – Laddove la concentrazione di un gas in atmosfera aumenta, come accaduto vertiginosamente alla CO2 da un secolo a questa parte in conseguenza delle emissioni umane, aumenta anche la concentrazione dello stesso gas disciolta in acqua, per tenere in equilibrio il bilancio. Il problema è che una parte dell’anidride carbonica disciolta negli oceani reagisce con l’acqua per dare acido carbonico, e questo risulta letale per tutti quegli organismi, come molluschi e coralli, il cui ciclo di vita è basato proprio sul carbonato di calcio”.
“Dall’inizio della rivoluzione industriale, il tasso di acidificazione medio delle acque oceaniche è aumentato di circa il 30%, peraltro a una velocità 100 volte superiore rispetto ai cambi avvenuti negli ultimi 55 milioni di anni, con conseguenze drammatiche sulla biodiversità di preziosi ecosistemi oceanici – prosegue Thiery – Non ci sono soluzioni diverse dall’abbattimento delle emissioni, con la transizione a un modello energetico basato sulle fonti rinnovabili e un drastico contenimento degli sprechi, come sarebbe garantito a 360 gradi da un modello di sviluppo sostenibile”.

Le rilevazioni più recenti

Dal 2016 a oggi la situazione della grande barriera corallina australiana è rimasta sotto i riflettori, e gli esperti hanno monitorato la situazione evidenziando le criticità anno dopo anno. Nello stesso 2016 è stata la volta di uno studio pubblicato dalla James Cook University, con una vasta ricognizione subacquea che ha evidenziato come anche le aree tradizionalmente più incontaminate della barriera, quelle settentrionali, fossero state seriamente danneggiate, con tanto di “sbiancamento” della vegetazione. Un fenomeno che si era già verificato sia nel 2016 sia nel 2017, come documentato dall’ARC Centre of Excellence for Coral Reef Studies, composto da scienziati del Consiglio di ricerca australiano. “È la quarta volta che la Grande barriera corallina subisce uno sbiancamento così severo – spiegava nel 2017 James Kerry, biologo marino che partecipò allo studio nel 1998, 2002, 2016 e nel 2017 – I coralli decolorati non necessariamente sono coralli morti, ma nella regione centrale interessata pesantemente possiamo anticipare che si registreranno alti livelli di perdita dei coralli. Uno sbiancamento massiccio che si verifica con 12 mesi di intervallo offre zero possibilità di recupero per i coralli danneggiati l’anno scorso”.

Il deterioramento prosegue nonostante gli allarmi

Se gli studiosi e l’opinione pubblica si sono mobilitati per la Barriera corallina australiana, che è uno dei cinque luoghi che i nati nel 2020 rischiano di non vedere, il deterioramento non si è per questo arrestato. A certificarlo è da ultimo, ad agosto 2019, il rapporto che l’Autorità del parco marino della Great barrier reef pubblica ogni cinque anni, e che ha abbassato il rating dello stato di salute della barriera. Se prima era “cattivo”, infatti, ora è divento “molto cattivo”.
“Le gravi ripercussioni delle temperature record alla superficie dell’acqua hanno deteriorato lo stato dell’habitat della scogliera da cattivo a molto cattivo. Il riscaldamento climatico si sta aggravando e rappresenta la minaccia più grave per le prospettive della regione sul lungo periodo”, spiega il report, sottolineando come sia sempre più necessaria “un’azione mondiale significativa per arginare il riscaldamento climatico, unico modo per rallentare il degrado dell’ecosistema e il valore patrimoniale della barriera”.
Tra le cause della distruzione dei coralli il rapporto cita anche l’azione di una particolare specie di stella marina, la Acanthaster porpora, che si nutre di coralli e che si sta diffondendo aggressivamente nell’area interessata in concomitanza con l’aumento dell’inquinamento. Secondo quest’ultimo studio in parallelo alla distruzione dei coralli sta drasticamente diminuendo anche la nascita di nuovi coralli, mentre il fenomeno dello “sbiancamento” interessa ormai 1.500 chilometri dell’area.