Le aziende che investono di più in pratiche inclusive hanno un ritorno indiretto importante in termini di fatturato rispetto a chi non si impegna in questo campo. Le pratiche inclusive sui temi di genere e identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, (dis)abilità e credo religioso impattano quindi positivamente sulla reputazione del brand e sulla fiducia che consumatori e consumatrici ripongono nella marca, generando così un effetto di crescita economica e un rafforzamento della brand equity. Se si volesse quantificare questo effetto, la percentuale si è attestata al +23% nel 2019, in crescita rispetto al + 20% del 2018 e al +16,7% del 2017. È quanto emerge dalla ricerca del Diversity Brand Index, giunto alla sua terza edizione, che è stato presentato nei giorni scorsi durante il Diversity brand summit, in un’edizione 2020 completamente online a causa dell’emergenza Coronavirus. A organizzare l’evento sono la no profit Diversity, fondata da Francesca Vecchioni, e la società di consulenza strategica Focus Mgmt, in collaborazione con la Commissione Europea e con il patrocinio del Comune di Milano.
I CONSUMATORI SCELGONO I BRAND INCLUSIVI
Le evidenze dello studio confermano che le scelte dei consumatori e degli utenti sono influenzate in modo decisivo dalla percezione di inclusione che i brand riescono a trasmettere e dai valori che veicolano. Così per il 63% degli italiani (era il 51% l’anno precedente) la scelta ricade sui brand che considerano o percepiscono come più inclusivi. Importante in questo caso il valore del passaparola: nel 2019 è risultato centrale per l’89% dei consumatori, il 4,7 in più rispetto al 2018, mentre si avvicina allo zero il numero di detrattori per le imprese che investono in attività di promozione della diversità e dell’inclusione. Analizzando poi le caratteristiche della platea dei consumatori che si rivolgono alle aziende che investono in D&I, cresce il segmento degli “arrabbiati” e nasce quello degli “arrabbiatissimi”, mentre calano gli “idealisti” e scompaiono gli “indifferenti”. Interessante anche il passaggio, per molti, dalla consapevolezza al coinvolgimento nei confronti dei temi dell’inclusione.
DIVERSITY BRAND INDEX: SORGENIA TRA LE PRIME 20
Basata su un campione rappresentativo di 1.043 persone, dalla ricerca sono emersi 482 brand che gli intervistati hanno indicato come “maggiormente inclusivi”, con un +6,4% rispetto all’anno precedente. Delle 50 aziende più citate provenienti da tutto il mondo le aziende italiane sono state 18, pari al 36% del totale, con una presenza di spicco nelle categorie Consumer Service, Fmcg (fast moving consumer group), Media e Utilities.
Passando all’elenco delle aziende più inclusive nel 2019, a ricevere il riconoscimento sono state Absolut, BNL, Carrefour, Coca Cola, Danone, Decathlon, Durex, Freeda, Google, Hera, Huawei, Ikea, Jack Daniel's, Mattel, Netflix, Pastificio Garofalo, Rai, Sorgenia, Tim, Vitasnella e Vodafone. Sono state selezionate in base al loro posizionamento nel mercato e alle loro iniziative e attività realizzate in Italia nel 2019: tra queste i servizi per clienti sordi, i supermercati senza barriere che includono persone con disabilità, videogiochi per riflettere sui temi della diversity & inclusion, la prima app che traduce in tempo reale i libri di testo in lingua dei segni.
DIVERSITY BRAND SUMMIT 2020: STATI GENERALI POST COVID-19
Ma l’evento digitale non si è limitato al riconoscimento: il Diversity Brand Summit è stato anzi un’occasione per riflettere su come i brand stanno affrontando il difficile momento conseguente all’emergenza Coronavirus, per capire come la pandemia possa rappresentare un’occasione per superare difficoltà come digital divide, gender gap e aging.
Il Diversity Brand Summit ha aperto la due giorni “Welcome to the new era. Diversity & Inclusion: Stati Generali post Covid-19”, in un’edizione digitale organizzata in partnership con Rödl & Partner ed extra.it. Tra i relatori l'autrice e strategy advisor Frances West, Daria Colombo, delegata alle Pari Opportunità del Comune di Milano, Marco Bettucci, docente di Sda Bocconi e Partner di Asset, Alberto Macciani, esperto di Brand e Strategia di impresa, Sandro Castaldo, professore dell'Università Bocconi e Nicola Palmarini, director dell'UK's National Innovation Centre for Ageing.
DIVERSITY: IN VIA D'ESTINZIONE LA CATEGORIA DEGLI "INDIFFERENTI"
"In questi ultimi tre anni - afferma Francesca Vecchioni, Presidente di Diversity - è aumentata la polarizzazione delle persone nei confronti della diversità. La società assorbe il clima rappresentato dai modi e toni del discorso pubblico, come da quelli della politica. L'impatto sull'inclusione sociale è facilmente immaginabile. Eppure nella realtà siamo tutte e tutti collegati, non esistono spazi vuoti, siamo un'immensa rete sociale come le tessere di un infinito domino. Ogni persona ne ha a cuore almeno un'altra, ogni idea ne porta con sé un'altra, ogni azione innesca la successiva. E proprio come le tessere di un domino anche ogni azienda è coinvolta da queste dinamiche. Proprio chi ha la visione di queste connessioni e il coraggio di attivarle, inverte il senso della polarizzazione da negativo a positivo”.
IL PASSAPAROLA PREMIA LE AZIENDE PIÙ INCLUSIVE
“La relazione sequenziale tra impegno delle aziende sulla D&I, percezioni dei consumatori, reputation, trust, loyalty e Net Promoter Score è confermata e rafforzata rispetto allo scorso anno - aggiunge Sandro Castaldo, founder di Focus MGMT e Professore Ordinario presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi - I valori del passaparola sono emblematici: l'impegno delle aziende in materia di inclusione non trova sostanzialmente detrattori, evidenziando come non vi siano controindicazioni nel parlare di diversità e inclusione al mercato finale. Consumatrici e consumatori sono in grado di distinguere il diversity washing dall'impegno reale. La ricorrenza di molti brand all'interno della TOP 50 del Diversity Brand Index ne è la dimostrazione: solo i brand realmente ingaggiati sulla D&I resistono nel tempo e si differenziano, soprattutto dopo la disruption generata dal COVID-19”.
“Analizzando le iniziative candidate dalle aziende, emergono sostanzialmente 3 macro-aree all'interno delle quali è possibile classificarle: Customer Experience; Advertising, local marketing, PR & Event; Attività interne - conclude Emanuele Acconciamessa, Coo di Focus MGMT - Possiamo così identificare tre step evolutivi per l'azienda, tra loro spesso sequenziali: interno, comunicazione esterna, personalizzazione diversity based. La continuità di effort in termini di advertising si abbina oggi ad un investimento in customer experience, dimostrando l’evoluzione delle aziende più attente alla D&I: dopo aver lavorato internamente sulla D&I, non basta comunicare all’esterno la rilevanza dell’inclusione, è necessario adattare la value proposition alle specificità di ogni forma di diversità, creando soluzioni, servizi e prodotti in grado di far sentire tutte e tutti coccolati. L'emergenza Covid-19 dimostra come una percentuale crescente di aziende abbia compreso questo need".