Una giovane startup trentina ha ideato un prodotto innovativo per smartphone, recuperando il legno dagli alberi abbattuti nel 2018 dalla tempesta che sconvolse la foresta degli Stradivari
una tempesta dalla potenza terrificante. Parliamo di oltre 42 milioni di alberi abbattuti (il 3% della superficie forestale del Trentino), uno straordinario patrimonio ambientale distrutto in poche ore. Oltre all’incalcolabile danno economico per le zone colpite, non si può non pensare agli ormai innegabili cambiamenti climatici dovuti all’inquinamento.
Dalle ceneri di questo disastro, un gruppo di giovani imprenditori, Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo, ha capito che andava trovato un sistema efficiente e sostenibile per recuperare tutte quelle migliaia di tonnellate di legno caduto, sia per risollevare l’economia locale, sia per ripristinare l’equilibrio ambientale.
Nasce così Vaia, startup di Borgo Valsugana (in provincia di Trento) che recupera il legno degli alberi abbattuti dall’omonima tempesta per realizzare un prodotto artigianale e al tempo stesso rivolto alle nuove tecnologie: un piccolo ed efficiente amplificatore in legno per smartphone, una cassa passiva che non necessita di alcun di tipo di energia per propagare il suono.

Ogni pezzo è unico
Per la realizzazione degli amplificatori sostenibili di Vaia, è fondamentale il lavoro dei falegnami locali, che sanno intagliare ogni singolo pezzo seguendo le venature naturali del legno così rievocando, in un certo senso, il segno di rottura dell’albero in quella terribile notte del 2018.
Per questo motivo ogni singolo amplificatore è un oggetto di design unico al mondo, che diffonde un suono caldo e profondo, proprio grazie alla materia prima utilizzata: quei milioni di abeti rossi abbattuti, utilizzati anche dai liutai per realizzare pregevoli strumenti musicali.
Attualmente i piccoli cubi sonori di Vaia sono stati richiesti, oltre che nel nostro Paese, anche in Spagna, Francia, Svizzera e persino negli Stati Uniti e negli Emirati Arabi. Una curiosità: il pezzo n.1000 è stato donato al Museo delle scienze di Trento.

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