Co.ffee Era, l’economia circolare parte dai fondi di caffè

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Il progetto sviluppato da Krill Design che ha vinto un bando al Comune di Milano: elementi di arredo stampati in 3D dagli scarti alimentari di bar e ristoranti vengono venduti dagli esercizi commerciali del territorio e acquistati dai residenti

La sperimentazione è iniziata nei quartieri milanesi di Bovisa, Dergano e Villapizzone, grazie a un bando del Comune di Milano vinto da Krill Design, la startup che deve la sua fama alle lampade realizzate in bioplastica con procedimenti di stampa 3D, grazie al riutilizzo di scarti alimentari, nello specifico dal trattamento dell’amido di mais.
Con il tempo Krill design ha proseguito nella ricerca e messo a punto un procedimento per realizzare biomateriali da altri scarti alimentari, come i fondi di caffè o le bucce delle arance. Il nuovo progetto, che si chiama Co.ffee Era, si basa ancora una volta sull’economia circolare, e dopo questa prima sperimentazione nell’hinterland milanese può essere esteso su tutto il territorio nazionale.

Di cosa parliamo?

Con Co.ffee Era il caffè al bar entra nell’economia circolare

Ma cos’è in pratica Co-ffee Era? Si tratta di raccogliere i fondi di caffè dai bar e dai ristoranti che aderiscono all’iniziativa, di creare biomateriali da questi scarti e di trasformarli in oggetti di design realizzati con il metodo della stampa 3D: complementi di arredo che poi vengono esposti e messi in vendita nei negozi di vicinato, e acquistati dai cittadini.
“Krill design – spiega Giulia Giglio, key account manager dell’azienda – è una startup innovativa nata a Milano nel 2018, e realizza progetti di economia circolare trasformando gli scarti organici omogenei delle aziende, dai quali viene ricavato un polimero biodegradabile e compostabile che viene utilizzato per la produzione di oggetti grazie alle stampanti 3D”.

L’idea alla base di Co.ffee Era è quella di realizzare un progetto di economia circolare partendo dalla comunità locale che consuma il caffè al bar: “Gli scarti di questo processo, quindi i fondi del caffè, li trasformiamo in un bio polimero, grazie all’aiuto degli studenti del Politecnico di Milano che ha sede proprio nel quartiere di Bovisa, che hanno disegnato il concept degli oggetti. Quegli stessi materiali così, se non fossimo di nuovo nel pieno di un’emergenza sanitaria – prosegue Giulia – sarebbero tornati nei locali per essere rivenduti agli stessi cittadini. Ora, non potendo contare sul supporto dei negozi a causa dei periodi di zona rossa, chiudiamo il cerchio con un altro canale di vendita, la nostra vetrina di e-commerce, anche se gli esercizi commerciali erano già stati ingaggiati ed erano entusiasti di partecipare a questa iniziativa. Contiamo di iniziare con i punti vendita fisici appena le condizioni lo consentiranno”.
Gli oggetti in vendita variano dal vaso di fiori agli orologi alle lampade, un nuovo modello delle quali è in fase di lancio proprio in questo periodo.

Progetto di attivazione di microeconomie locali

Ma a vendere gli oggetti che provengono dalla lavorazione dei fondi del caffè non saranno soltanto i bar e i ristoranti che li hanno prodotti: “Anche gli altri negozi di quartiere hanno accolto bene l’iniziativa, si tratta infatti di un progetto di attivazione di microeconomie locali: il bar magari confina con una cartolibreria, che è interessata a valorizzare questi complementi d’arredo puntando sul fatto che vendono prodotti con materiali che provengono dal negozio adiacente. A Bovisa è successo proprio così”.

Il progetto inoltre sembra maturo per riscuotere interesse anche fuori da Milano: “Già soltanto con il format dell’iniziativa, a cui abbiamo dedicato un sito Internet – spiega Martina Lamperti, project manager & design coordinator in Krill Design – ci hanno contattato persone da altre zone della città e da altri Comuni, interessate a sviluppare questo progetto, che ovviamente ha tutte le possibilità per essere replicato ovunque”.

La risposta positiva sul territorio

Uno dei punti a favore di Co.ffee Era, come dicevamo, è che è stato accolto con entusiasmo sul territorio: “I bar ci chiamano per capire quando passeremo per la raccolta, e non abbiamo trovato nessuna ritrosia nemmeno dagli altri negozi, molti dei quali sono stati subito disponibili a ospitare gli espositori. Abbiamo registrato una grande partecipazione e grande ingaggio. La mappa di chi ha aderito al progetto è a disposizione di tutti sul sito, e va a disegnare una sorta di distretto della sostenibilità, che consente di affiggere un bollino sulle vetrine”.
Al di là della declinazione sul territorio, Krill Design continua anche a sviluppare le attività di ricerca e sviluppo sui biomateriali con le aziende, mentre all’orizzonte si inizia a intravedere la possibilità di aprire un flagship store che raccolga tutti i progetti realizzati nel tempo e accomunati da un marchio unico, che si tratti di derivati dal riciclo di bucce di arancia, di fondi di caffè, di scarti di patate di mele.

Design: la creazione artistica è centrale

In tutto questo, ovviamente, il design rimane centrale: “Il messaggio che ci teniamo a far passare – prosegue Martina – è che l’oggetto di uso comune che chiunque può avere in casa può essere bello nonostante arrivi da uno scarto, da una materiale cioè che poteva sembrare destinato alla pattumiera: in questo processo la creazione ‘artistica’ è centrale, è un valore aggiunto che ci teniamo a promuovere, e che va di pari passo con la sostenibilità ambientale e la sostenibilità sociale”.

Il coinvolgimento delle periferie

Un ulteriore valore aggiunto di progetti come Co.ffee Era è il coinvolgimento delle periferie e delle ex aree industriali in progetti innovativi: “Grazie alla stampa 3D puntiamo a coinvolgere i centri stampa locali dei tre quartieri per i quali è nato il progetto: vuol dire riportare la produzione, declinata in modo innovativo dal punto di vista tecnologico, in aree che storicamente sono state caratterizzate dalla manifattura tradizionale. A Bovisa ad esempio c’erano gli stabilimenti Falck le cristallerie Livellara: riportare la manifattura digitale in un quartiere storicamente manifatturiero – conclude Giulia – potrebbe essere uno spin-off del progetto con un impatto sociale da non sottovalutare”.