Da scarto a risorsa: a Bergamo l’arte parte dal riciclo

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

L’esperienza di Emilio Maifredi, in arte Zangurru, che nell’oratorio del quartiere popolare di Monterosso organizza con l’A.S.D. Benessere Creativo corsi per i ragazzi e gli adulti: “Ci piacerebbe aprire una bottega aperta a tutti”

La sostenibilità come tema di aggregazione per le nuove generazioni, come occasione per stare insieme e per imparare, per confrontarsi e per dare un segnale di presenza e di impegno in un quartiere popolare di Bergamo, Monterosso.
Nasce con queste premesse l’idea di Emilio Maifredi, 56 anni, in arte Zangurru, ospitata dall’oratorio locale. Il progetto nasce dall’intuizione di Emilio, operaio metalmeccanico part-time, che nel tempo libero dalla fabbrica si dedica con entusiasmo a questa iniziativa da circa vent’anni, insieme ai compagni di strada che si sono aggiunti nel tempo e da tre anni anche con l’A.S.D. Benessere Creativo”. “Quando abbiamo iniziato questi temi non andavano ancora di moda come oggi, ma evidentemente abbiamo fatto una scelta lungimirante – ci spiega Emilio – Nel tempo siamo riusciti a coinvolgere attorno a questo progetto molti giovani e molti abitanti del quartiere. E per il futuro abbiamo tante idee che ci piacerebbe riuscire a realizzare”.

Di cosa parliamo?

Come è strutturata l’ASD Benessere Creativo?

Abbiamo essenzialmente due campi di attività: ginnastica posturale ed i laboratori creativi, che proponiamo alle scuole, alle associazioni del quartiere e ai ragazzi che frequentano gli oratori. Proprio il laboratorio artistico e di falegnameria è l’attività di cui mi occupo personalmente, utilizzando esclusivamente materiali di scarto da riciclare. Questo non perché siano più “economici” di quelli che potremmo acquistare, ma per dare il segnale che riciclare fa bene all’ambiente, ci consente di non creare nuovi rifiuti e di lavorare su oggetti che hanno già avuto una “vita precedente”, trasformandoli in opere d’arte. È anche l’occasione per educare i ragazzi alla manualità e alla creatività, ad attività tradizionali che si stanno perdendo, come ad esempio la falegnameria. Riusciamo a riciclare il 98% dei materiali che prendiamo, e il poco che resta lo avviamo allo smaltimento. E gestiamo anche due pagine Facebook, attraverso le quali ci facciamo conoscere.

Che feedback avete ricevuto nel tempo dagli abitanti del quartiere?

Ci troviamo in un quartiere dove siamo benvoluti e tutti ci rispettano per il nostro impegno. C’è da dire anche che nella nostra zona c’è una rete sociale che conta su una quindicina di associazioni e che funziona particolarmente bene: ci incontriamo regolarmente e ci confrontiamo sulle emergenze e sulle necessità del nostro territorio, cercando di stare sempre sul pezzo. La nostra forza finora è stata quella di voler coinvolgere tutti, non soltanto i ragazzi che vivono situazioni di disagio, e questo ci ha portato a formare gruppi sempre molto uniti e solidali, in cui nessuno è mai stato escluso e tutti sono sempre stati trattati alla pari.

Tra i progetti che avete realizzato finora a quale è più legato?

Uno di quelli che è riuscito meglio, e a cui sono più legato dal punto di vista sentimentale, lo abbiamo realizzato durante l’emergenza Covid-19. Nel periodo più grave del lockdown, e noi qui a Bergamo ne abbiamo subito conseguenze molto gravi, ci siamo posti il problema di come riuscire a far stare insieme i ragazzi nonostante le restrizioni. E abbiamo pensato di superare questa difficoltà realizzando dei kit, ad esempio per costruire modellini di aereo o altri giochi che potevano piacere ai bambini. Distribuivamo i kit nella panetteria locale, e le mamme che iscrivevano i loro figli al laboratorio prendevano il nostro materiale insieme al pane. Poi la sera, grazie a una videoconferenza di due ore, costruivamo i modellini insieme ai bambini e ai ragazzi collegati da remoto. La cosa bella è che insieme a loro c’erano spesso a partecipare in collegamento anche i nonni o i genitori. Alla fine siamo arrivati a scambiarci i consigli sulle ricette per la cena e a socializzare, a sentirci tutti meno soli e a mettere in secondo piano per qualche ora lo scenario drammatico in cui ci trovavamo.

Che progetti avete per il futuro?

Ci piacerebbe riuscire ad aprire una bottega nel nostro quartiere, in cui poter esporre le nostre creazioni. Al momento lo facciamo nei mercatini, ma le difficoltà logistiche sono tante, e in ogni caso ci piacerebbe dare vita a un nuovo luogo di incontro sul nostro territorio: potrebbe essere un ritrovo di scambio di esperienze, di idee, di tecniche diverse e creatività.
Ma non è così così semplice, perché i costi sono alti, anche affrontandoli in gruppo con altre associazioni. Un’idea che ci piacerebbe esplorare è quella di ridare vita a qualche negozio – la maggior parte dei quali sono chiusi da anni – situati ai piani terra degli stabili di edilizia popolare. Per questo abbiamo tentato un confronto con le istituzioni locali ma al momento non siamo ancora riusciti a ottenere risultati. Ecco, dalle istituzioni mi sarei aspettato un po’ di attenzione in più. Ho conosciuto realtà simili in altre città italiane dove viene incentivato l’affitto di negozi a canoni calmierati a realtà che favoriscono attività di chi fa riciclo in varie forme. Oltre a questa prospettiva, più nell’immediato siamo impegnati a organizzare, oltre ai progetti sulla lavorazione del legno e della ginnastica, anche corsi di pittura e di ceramica, sia per i bambini sia per gli adulti. L’obiettivo è creare un polo culturale nel quartiere, un luogo d’incontro dove al centro di tutto ci siano la manualità e la creatività. Ci piacerebbe anche, grazie alla collaborazione di giovani qualificati, realizzare una vera e propria vetrina online per le nostre creazioni, per avvicinare anche chi non è nella nostra città.

Parliamo di te Emilio, come nasce questa tua sensibilità verso il sociale e la sostenibilità?

Ho iniziato a fare volontariato negli anni 80, in una comunità di recupero, dove tra le altre iniziative c’era un laboratorio di falegnameria. La loro attività mi ha affascinato da subito, e così andavo a fare qualche turno quando potevo. Da quel momento, sperimentando, ho imparato un sacco di cose, e soprattutto nel tempo ho deciso anche di dare ascolto alla mia parte creativa, ma sempre tenendo come stella polare il riciclo e il riuso degli scarti. Ormai se dovessi comprare qualcosa per le mie opere mi sentirei in colpa. E poi è anche un discorso di percorso artistico: se di solito il percorso creativo parte da un’idea, per realizzare la quale si reperiscono i materiali adatti, io ho deciso di seguire la strada opposta, le mie creazioni partono dai materiali che riesco a trovare, e attorno ai quali costruisco le idee.