Haenyeo, le pescatrici di Jeju simbolo della tenacia delle donne coreane
Scritto da
Ettore Benigni
Giornalista
Un mestiere tramandato attraverso le generazioni, che è valso loro il riconoscimento Unesco di patrimonio immateriale dell’umanità. Ma i cambiamenti climatici adesso minacciano la loro attività
Le Haenyeo, pescatrici da generazioni nell’isola di Jeju, in Corea del Sud, sono un simbolo della forza e della tenacia delle donne coreane. Riescono a immergersi senza bombole, in apnea, per più di due minuti, nuotando in profondità per prendere crostacei, polpi, molluschi e frutti di mare. Il loro mestiere, tramandato da madre in figlia, è valso loro il riconoscimento nel 2017 di patrimonio immateriale dell’umanità concesso dall’Unesco.
Negli ultimi anni, però, l’attività delle Haenyeo – termine che in coreano significa donne pescatrici – è a rischio: il passaggio generazionale diventa sempre più difficile a causa dei guadagni bassi, della grande fatica richiesta e del proliferare di allevamenti intensivi e importazioni. Le Hanyeo, inoltre, sono donne particolarmente attente alla sostenibilità e alle esigenze de territorio in cui vivono: per questo rispettano con diligenza i blocchi imposti dalle autorità locali per dare la possibilità al pesce di riprodursi, e questa circostanza contribuisce a rendere ancora più bassi i loro guadagni.
Di cosa parliamo?
La storia delle Haenyeo
Gli storici datano l’inizio dell’attività delle Haenyeo attorno al V d.C., quando questo mestiere femminile in un mondo, quello della pesca, storicamente dominato dagli uomini, ha iniziato a diffondersi tra le famiglie meno benestanti dell’isola di Jeju. A favorire l’ingresso delle donne nella pesca fu il fatto che gli uomini dell’isola avevano dovuto abbandonarla per difendere la Corea dall’invasione giapponese. Molti di loro non fecero mai ritorno a casa, e questo aprì effettivamente la strada all’attività delle Haenyeo, che poi lo tramandarono di madre in figlia.
Un mestiere duro e difficile
Per diventare pescatrici sull’isola di Jeju le ragazze iniziano l’addestramento da giovanissime, in alcuni casi già prima di compiere 10 anni, per un lungo apprendistato. Quattro i livelli che potranno raggiungere durante la loro carriera. Si parte dall’apprendistato, quando sono hagun, per poi passare al livello intermedio di junnggun e quello di esperte di sanggun. Soltanto pochissime, infine, riusciranno a passare al grado di dae sanggun, vere e proprie maestre della pesca. Per passare di livello sarà richiesto loro di rimanere in apnea per periodi sempre più lunghi e portare a casa più pescato. Altra caratteristica delle Haenyeo è il fatto che rimangono in servizio fino a quando sono anziane, anche ben oltre i 60 anni.
Le tradizione delle Haenyeo
Se oggi le poche pescatrici rimaste sull’isola di Jeju utilizzano attrezzature più moderne e tecnologicamente affidabili, fino a soltanto pochi anni fa si immergevano con vestiti di tela e senza maschera, ma soltanto con un bastone sovrastato da un uncino, che sarebbe servito loro per staccare dai fondali o dagli scogli i frutti di mare, insieme a una paletta e a una rete. In alcuni casi, inoltre, per raggiungere il fondo più velocemente, alcune pescatrici si aiutavano con dei pesi.
A caratterizzare l’attività delle Haenyeo erano anche i cosiddetti Bulteok, edifici in pietra con un fuoco al centro in cui le pescatrici si riunivano nei momenti di pausa dal lavoro per scaldarsi, asciugarsi o mangiare qualcosa. Alcuni di questi spazi storici sono ancora oggi visitabili in alcuni villaggi, anche se le Haenyeo al giorno d’oggi utilizzano spazi più moderni e funzionali come cabine riscaldate e munite di docce. Come tradizione, le Haenyeo si riunivano a pregare Jamsugut, divinità loro protettrice, a cui sono dedicati diversi santuari nei villaggi dell’isola di Jeju.
Un documentario dedicato alle Haenyeo
Alle pescatrici dell’Isola di Jeju Apple Tv ha dedicato un proprio documentario, “The Last of the sea women”, che ha debuttato sulla piattaforma digitale il 14 ottobre e presentato ufficialmente a settembre al festival internazionale del cinema di Toronto. A dirigere il documentario, che per la prima volta vede collaborazione di Apple Tv con la casa di produzione della premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, è la regista emergente Sue Kim.