Azione contro la Fame, sconfiggere la malnutrizione tra povertà e guerre

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Licia Casamassima, head of partnerships and programs: “Siamo impegnati in 55 Paesi nel mondo, per salvare la vita dei bambini malnutriti e rafforzare la resilienza delle famiglie con cibo, acqua, salute e formazione"

“Azione contro la Fame nasce in Francia nel 1979. Nel corso dei 45 anni di attività dell’organizzazione abbiamo sviluppato altre sette sedi, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, e poi in Spagna, Canada, India fino ad aprire alla fine del 2014 anche in Germania e Italia. Siamo attivi con i nostri programmi in 55 Paesi tra Africa, Medio Oriente, Asia e America Latina, e nel 2022 abbiamo aiutato circa 28 milioni di persone”.

A raccontare la storia e i valori di Azione contro la Fame è Licia Casamassima, head of partnerships and programs per l’Italia, che spiega il senso dell’azione dell’organizzazione umanitaria internazionale.

Licia, qual è più nel dettaglio la mission di Azione contro la Fame?

Siamo specializzati a eliminare le cause strutturali e le conseguenze della fame e della malnutrizione infantile nel mondo con un approccio integrato: lavoriamo sulle conseguenze del non avere cibo in quantità e qualità sufficienti, dal momento che la malnutrizione è tra le principali cause di morte per i bambini sotto i 5 anni, ma facciamo anche prevenzione e azioni trasversali sulla formazione e l’empowerment femminile.

Partiamo dalla lotta alla malnutrizione

Abbiamo messo a punto protocolli di cura che ormai sono diventati standard internazionali, laddove possibile e non intervengono complicazioni che necessitano di ospedalizzazione, utilizziamo il cibo terapeutico pronto all’uso. Si tratta di barrette a base di burro di arachidi, ognuna delle quali fornisce 500 calorie: ne servono due al giorno per una media di otto settimane per portare un bambino malnutrito al suo peso forma. Questo ci consente di curare i piccoli direttamente nelle loro case e nei loro villaggi, dal momento che non serve acqua di cottura né refrigerazione. Per aumentare la copertura nei villaggi spesso facciamo riferimento non soltanto al nostro personale, ma anche a operatori comunitari, di solito le figure leader dei villaggi, che vengono formate per andare casa per casa e avere strumenti di base per la diagnosi e la cura. Le operatrici e le beneficiarie dei nostri programmi sono per la maggior parte donne: abbiamo scelto un approccio gender transformative perché abbiamo notato che nel tempo consente di raggiungere migliori risultati.

Cosa fate per la prevenzione?

La parte fondamentale del nostro lavoro si basa sulla diffusione delle corrette pratiche nutrizionali, oltre che sul prenderci cura delle mamme dalla fase della gestazione, si tratta dei famosi 1000 giorni del bambino, dalla gestazione, allo  svezzamento dei piccoli, fino ai primi anni di vita dove è particolarmente importante curarsi degli aspetti nutrizionali oltre che igienico-sanitari. Stiamo inoltre sperimentando una serie di innovazioni tecnologiche che possono essere utili per migliorare le cure. Parlo ad esempio della possibilità di diagnosticare i problemi che riguardano la nutrizione semplicemente attraverso le fotografie scattate con gli smartphone, senza essere presenti fisicamente. Questo è un progetto di ricerca che stiamo sperimentando da anni e che ci consentirebbe di essere costantemente al corrente sulle aree più a rischio e di intervenire tempestivamente: un approccio importante se pensiamo che al momento di tutti i bambini malnutriti nel Pianeta soltanto il 20% ha accesso alle cure.

Quali sono oggi le principali cause della malnutrizione?

Diseguaglianze economiche e sociali e aumento della povertà, guerre e conflitti e cambiamenti climatici sono le cause principali. In molti paesi manca l’acqua pulita, e la sicurezza alimentare ed è necessario efficientare l’agricoltura e renderla il più possibile resiliente alla crisi climatica in corso. Di particolare attualità, sono le guerre e i conflitti: abbiamo un team di emergenza che si mobilita in 24 ore, e oggi siamo presenti in Ucraina e nei Paesi limitrofi, a Gaza, e su altre aree che suscitano meno attenzione mediatica, come il Sud Sudan, la Repubblica Democratica del Congo e Haiti.

Qual è oggi il vostro impegno a Gaza e in Ucraina?

A Gaza contiamo su personale locale che sta cercando disperatamente di aiutare le popolazioni vittime di questo conflitto. Finora siamo riusciti ad aiutare circa 800mila persone, il 40% della popolazione, con risorse scarsissime. A Gaza nessun luogo è sicuro e manca tutto, a partire dall’acqua e dal cibo. Siamo al limite della carestia per oltre un milione di persone, mentre l’81% delle famiglie non ha accesso all’acqua e i centri di accoglienza non hanno servizi igienici capaci di accogliere la popolazione sfollata. Come in tutti i conflitti, sarebbe necessario un cessate il fuoco permanente e corridoi umanitari che ci permettano di entrare e portare aiuti: per questo siamo impegnati in attività di advocacy insieme a tutte le altre organizzazioni umanitarie e facciamo quello che possiamo fare. Quanto all’Ucraina, lavoriamo per portare ai civili il necessario in termini di beni di prima necessità, nutrizione, servizi igienico-sanitari, ma anche supporto psicologico e spazi mamma-bambino. Contiamo su una presenza importante anche nei Paesi limitrofi, come la Polonia e la Moldavia, dove si concentrano la maggior parte dei rifugiati.

Quali sono i programmi di Azione contro la Fame in Italia?

Nonostante la vocazione della nostra organizzazione sia internazionale, con attività di sensibilizzazione, advocacy e raccolta fondi, dal 2022 abbiamo iniziato a intervenire anche in Italia. Nel nostro Paese circa 5 milioni di persone sono in povertà assoluta, e una parte importante è concentrata nelle grandi città, anche al Nord. I problemi più diffusi in questi scenari sono la cattiva nutrizione, caratterizzata da diete molto povere e junk food, in sostanza un’alimentazione non completa e non equilibrata, che impatta soprattutto sulla salute dei più piccoli. Per dare una risposta a questo fenomeno abbiamo attivato due programmi, uno a Milano e uno a Napoli.

Quali sono le caratteristiche di questi progetti?

Si tratta di percorsi “Dall’emergenza all’autonomia”: supportiamo famiglie vulnerabili, circa 200, 100 in ogni città, e le aiutiamo con contribuiti temporanei alla spesa accompagnati da un percorso di educazione alimentare, incontri con un nutrizionista che mostra come realizzare piatti sani e bilanciati a basso costo. A questo uniamo un accompagnamento all’inserimento lavorativo che dura 4 mesi, con l’obiettivo di contribuire a trovare una soluzione per uscire dalla povertà in modo definitivo e dignitoso. Vogliamo restituire alle persone la fiducia e l’autostima, la capacità di vedere e valorizzare le proprie competenze. Finora abbiamo incontrato persone molto motivate, con un grande voglia di farcela e di ripartire.

Che risultati avete ottenuto?

A Milano, dove il mercato del lavoro è più dinamico, il 60% delle persone che ha frequentato i percorsi è riuscito a trovare lavoro, anche con contratti a tempo indeterminato. A Napoli il numero è più ridotto, ma parliamo comunque di un 30% di persone che è riuscito a trovare lavoro o è tornato alla formazione per ulteriori specializzazioni. L’obiettivo ora è di diffondere ulteriormente questo progetto che sta dimostrando di funzionare e che abbiamo mutuato dalla Spagna, dove i numeri sono stati significativi, tanto da “esportare” l’iniziativa anche in America Latina, Georgia e Palestina.

Che progetti avete attivato in Italia per la raccolta fondi con le aziende?

Ne abbiamo in campo diversi, tra questi ci “H2Go” e la digital challenge “Connected against hunger”. Quest’ultima è il fiore all’occhiello della nostra offerta per il coinvolgimento dei dipendenti, che punta ad avvicinare le persone alla nostra causa. Si tratta essenzialmente di un’app che consente per quattro settimane di mobilitare le risorse umane con attività fisiche come corsa, camminata, yoga, bici: attività inclusive che puntano sul wellbeing dei dipendenti e sul team building. Si gioca in squadre da 10 persone affrontando sfide che si attivano giornalmente. Le sfide sono accompagnate da storytelling e quiz che portano le persone ad avvicinarsi ai nostri temi. Ogni attività o quiz consente di accumulare punteggi, che poi vengono anche aggregate per una competizione tra aziende diverse anche sul piano internazionale. Questo consente di creare un clima positivo, che comprende anche l’edutainment e la sensibilizzazione. L’azienda, da parte sua, mobilita donazioni sulla base del numero di dipendenti che vuole coinvolgere.

E H2GO?

È un’iniziativa creativa pensata per avvicinare al tema della mancanza dell’acqua, che può essere utilizzata come “completamento” della sfida “Connected against hunger” o come progetto di team building o semplicemente di wellbeing: si tratta di un percorso di cinque chilometri, che è la strada che in media deve percorrere quotidianamente una donna in Africa per prendere l’acqua alla prima fonte disponibile. La camminata immersiva può essere fatta in gruppo, e per viverla al meglio forniamo un podcast che permette di vivere il percorso in maniera sensoriale.