I risultati della ricerca del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Pollution, evidenziano come la tossicità dovuta all’esposizione al polietilene causi stress sul comportamento alimentare degli insetti
Le microplastiche fanno male anche alle api. È la conclusione a cui è giunta una recente ricerca realizzata dal dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, e pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Pollution. A portare a termine lo studio è stato David Baracchi, associato di Zoologia, insieme ad un team di ricercatori.
Il punto di partenza della ricerca è stato il fatto che se molto finora si è indagato sugli effetti dell’inquinamento da microplastiche su una serie di specie animali e vegetali, il mondo degli insetti era rimasto abbastanza al di fuori dei radar degli studi scientifici sull’argomento.
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Il punto sullo studio
Il lavoro dei ricercatori dell’ateneo fiorentino ha monitorato per la prima volta in modo complessivo la tossicità all’esposizione al polietilene, misurandone gli effetti su parametri come la sopravvivenza, l’assunzione di cibo, l’apprendimento e la memoria.
“Abbiamo scoperto – spiega Baracchi sul sito dell’Università di Firenze – che le api operaie non sono del tutto immuni all’ingestione acuta e prolungata di microparticelle di polietilene. Fortunatamente però, un effetto significativo sulla mortalità degli insetti è stato riscontrato solamente per la concentrazione più alta utilizzata nello studio, la quale è ben al di sopra gli attuali livelli ambientali di questi contaminanti. A dosi più basse, ma ecologicamente rilevanti, il polimero invece ha influenzato il comportamento alimentare, con le api che hanno consumato più zuccheri e quindi più energia rispetto ai controlli quando sono state esposte a polietilene, suggerendo che questo polimero possa indurre dei costi metabolici negli insetti”.

L’esposizione al polietilene
Quello dell’alimentazione però è fortunatamente l’effetto negativo più evidente, mentre non ci sono state ripercussioni significative dell’esposizione al polietilene, ad esempio, su apprendimento e memoria. “Sebbene i primi risultati possono sembrare incoraggianti, siamo consapevoli che solo studiando l’impatto dell’esposizione alle altre microplastiche, prese singolarmente e in modo combinato – conclude lo studioso – potremo capire come questi insetti, sentinelle della resilienza del nostro pianeta, reagiscono a uno dei problemi più pressanti per l’ambiente”.

La conferma da altre ricerche
Lo studio dell’Università di Firenze, pubblicato soltanto poche settimane fa, va ad aggiungersi a una ricerca che risale al maggio 2021, a cui hanno lavorato studiosi di diverse università e centri di ricerca di Spagna, Olanda e Danimarca. Dallo studio realizzato prendendo come campione l’area della città di Copenaghen e le zone limitrofe, è emerso che il 15% delle particelle recuperate dai peli delle api contenevano microplastiche. Le microplastiche rilevate sono nel 52% dei casi sottoforma di frammenti e nel 38% sottoforma di fibre, con un diametro variabile tra i 64 e i 39 micrometri nel caso dei frammenti e tra i 234 e i 156 micrometri nel caso delle fibre.

Da dove vengono le microplastiche?
La concentrazione più alta di microplastiche è stata rilevata negli insetti che provenivano da alveari che si trovavano in città, anche se le sostanze sono state rilevate in alcune api provenienti da aree suburbane e rurali. Questa circostanza può essere spiegata, secondo gli autori della ricerca, con la presenza di insediamenti urbani tra le aree in cui le api operaie sono solite andare per nutrirsi, e con il fatto che il vento può semplicemente essere un vettore che trasporta le microplastiche nell’aria anche a grandi distanze. Le analisi dei ricercatori hanno riscontrato la presenza di ben 13 polimeri sintetici, tra i quali quello rilevato con più frequenza è il poliestere, seguito dal polietilene e dal cloruro di polivinile.
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