Milioni di persone rischiano di essere sfollate per il pericolo di inondazioni dovute al climate change. La soluzione? È (anche) nelle foreste di Mangrovie
Da qui al 2050, circa un quinto del territorio del Bangladesh potrebbe non essere più abitabile per via dell’innalzamento delle acque e dell’espansione delle aree estremamente umide: milioni di residenti rischiano di essere sfollati e quindi di dover abbandonare le proprie case. A insidiare la popolazione c’è anche la frequenza crescente di calamità naturali devastanti causate dall’uomo con la produzione di gas serra; tra queste, soprattutto tempeste, inondazioni, cicloni tropicali e tornado.
 
    
È lo scenario che ha portato il sito statunitense Mother Nature Network a inserire il Paese che sorge nell’area tra il golfo del Bengala, il delta del Gange e la confluenza con il Brahmaputra tra i luoghi che chi nasce nel 2020 rischia di non vedere, o di vedere estremamente trasformato nei prossimi anni.
INDICE DEI CONTENUTI
Il World Economic Forum accende un faro
A rilanciare le preoccupazioni per il futuro del Bagladesh è stato nei mesi scorsi il World Economic Forum, che ha pubblicato a novembre un’indagine secondo cui se non si procederà rapidamente a ridurre le emissioni di gas serra, un quinto della popolazione del Paese asiatico rischia di dover abbandonare le proprie case, che potrebbero venire spazzate via dall’acqua. Per motivare questa teoria il Wef cita anche uno studio di Nature Communication incentrato proprio sui danni della progressiva erosione delle coste. Tra i principali effetti c’è il fatto che in Sundarban, nell’area meridionale del Paese, dove tradizionalmente proliferano le foreste di mangrovie, la vegetazione si sia notevolmente ridotta a causa dell’aggressività delle acque. A sottolineare la gravita della situazione ci sono inoltre i dati del Climate change vulnerability index, stilato nel 2015, secondo cui l’economia del Bangladesh è tra quelle più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale.
 
    
Non solo Bangladesh: minacciati 110 milioni di persone
I primi segnali di questi cambiamenti sono già visibili, tanto che sin dalla conferenza di Parigi gli esperti si erano occupati espressamente del tema individuando proprio nell’innalzamento delle acque e nell’aumento delle precipitazioni catastrofiche uno dei principali effetti dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo. Stando all’allarme lanciato dal World Economic Forum a rischi simili sarebbero esposte anche la Cina, nell’area del delta del Pearl River, mentre in Indonesia il pericolo riguarda l’area metropolitana di Jakarta e per la Thailandia l’area attorno alla capitale Bangkok.
Mettendo insieme gli abitanti di queste aree si arriva a 110 milioni di persone in pericolo, perché vivono già sotto al livello del mare, mentre 250 milioni vivono in aree potenzialmente soggette ad alluvioni. La maggior parte – secondo lo studio – si trova in Asia: 7 su dieci oggi abitano tra Bangladesh, Vietnam, Cina, India, Indonesia, Filippine, Thailandia e Giappone.
Il dramma dei bambini
A focalizzare l’attenzione sui rischi a cui il cambiamento climatico espone i bambini del Bangladesh era stato lo studio realizzato dall’Unicef “A gathering storm, climate change clouds the future of children in Bangladesh”, secondo cui inondazioni, cicloni e altri devastanti disastri ambientali legati al cambiamento climatico minacciano le vite e il futuro di oltre 19 milioni di bambini in Bangladesh.
A spiegare la portata del disastro è Henrietta Fore, direttore generale di Unicef, che ha visitato il Paese a marzo 2019: “Il cambiamento climatico sta aggravando la minaccia ambientale che colpisce le famiglie delle comunità più povere del Bangladesh, lasciandole senza la possibilità di tenere i propri figli in case sicure, con cibo, cure mediche e istruzione adeguati – afferma – In Bangladesh e nel mondo, il cambiamento climatico può annullare molti dei traguardi che i Paesi hanno raggiunto nella sopravvivenza e sviluppo dei bambini”.
“Quando le famiglie migrano dalle loro case a causa del cambiamento climatico, i bambini praticamente perdono la loro infanzia – sottolinea Edouard Beigbeder, che lavora per Unicef proprio in Bangladesh – Nelle città affrontano pericoli, deprivazione e la pressione di lavorare nonostante il rischio di sfruttamenti e abusi”.
Le foreste di mangrovie per bloccare le acque
Per contrastare questo disastro ambientale e le sue conseguenze sociali il governo del Bangladesh ha deciso di adottare tecniche di resilienza che sono state giudicate all’avanguardia dagli osservatori internazionali, stanziando nel tempo più di 10 miliardi di dollari per rafforzare gli argini dei fiumi, affrontare le emergenze man mano che si presentano ed edificare rifugi.
Una parte della strategia punta inoltre sulle Mangrovie: ogni anno nel paese spariscono 10mila ettari di terreno e quindi di vegetazione; e per impedirlo il Governo locale ha dato il via a un piano massiccio di riforestazione e di tutela degli ecosistemi delle coste, a partire proprio dall’area più minacciata, quella di Sundarbans, che ospita la foresta di mangrovie più estesa del mondo: lì è stato creato un parco nazionale che si estende per 20mila kilometri quadrati a cavallo con l’India.
L’obiettivo è di ridurre, grazie al rimboschimento, la vulnerabilità del territorio, aiutando l’assorbimento di grandi quantità di anidride carbonica e favorendo la proliferazione della fauna. Le mangrovie hanno infatti la caratteristica di riuscire ad assorbire grandi quantità di CO2, fino a 50 volte in più rispetto alle semplici foreste tropicali. La campagna partì nel 2004, dopo il maremoto che sconvolse l’area dell’Oceano Indiano, con il supporto della Banca Mondiale che stanziò per questo progetto il 28% dei propri investimenti per iniziative legate alla sostenibilità.
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