Ambiente

Turismo sostenibile al tempo dei social

Scritto da 14 Luglio 2025 • 1 min di lettura
Gaia Dominici

Italo-Colombiana classe ‘92, è laureata in fotogiornalismo e oggi vive nella savana in Kenya insieme a suo marito e a sua figlia raccontando la loro vita Maasai a più di centomila persone sul loro profilo instagram @SIANKIKI

Con l’avvento di piattaforme social come Instagram, sempre più luoghi sono diventati “instagrammabili” diventando così mete perfette per il turismo di massa e, allo stesso tempo però migliorando l’economia di luoghi che fanno affidamento perlopiù sul turismo stagionale. Ma allora è ancora possibile fare turismo sostenibile e responsabile in un tempo come questo?

Chi mi segue su Instagram sa quanto ami far scoprire alla mia community, ogni volta che ne ho la possibilità, angoli sconosciuti e in parte ancora inesplorati del Kenya. Spesso pubblico video che mostrano luoghi meravigliosi, di cui ancora pochi hanno sentito parlare: dalle suggestive Australia Caves, vicino a Diani, fino alle sorgenti naturali nel cuore della terra dei Samburu.

Mi appassiona condividere posti magici e fuori dai circuiti turistici più battuti, sia per chi sogna di visitare il Kenya, ma cerca un’esperienza autentica, sia per chi – forse – non ci metterà mai piede.

Come content creator, sono costantemente alla ricerca di contenuti originali e significativi da offrire alla mia splendida e affezionata community. Un giorno, però, un’osservazione lasciata nei commenti mi ha colpito profondamente, portandomi a riflettere in modo nuovo e più ampio. Sotto un video in cui mostravo un luogo incantevole, esaltandone il fascino anche per la sua segretezza, una signora mi scrisse:

Ti prego, non dire dove si trova. Altrimenti, come sempre, verrà assediato e rovinato!”.

Quelle parole mi hanno toccata nel profondo, perché in fondo sapevo che aveva ragione. Mi sono chiesta: potrei essere – anche involontariamente – responsabile della sovraesposizione e conseguente degrado di un luogo ancora intatto? Forse sì. E allora: è giusto? Assolutamente no.
Il problema è che le dinamiche dei social non prevedono questo tipo di riflessione. Un contenuto, per essere considerato utile e rilevante, deve offrire informazioni. E, se si tratta di un contenuto “di viaggio”, si dà quasi per scontato che debba includere dettagli pratici per chi vorrebbe un giorno visitare quel posto.

Ma che valore avrebbe un contenuto di viaggio se ti mostrassi la bellezza di un luogo… Senza dirti come raggiungerlo?

Sono cresciuta a Genova, a due passi dalle Cinque Terre, e ho visto con i miei occhi cosa comporta la sovraesposizione mediatica.
 Per noi liguri, visitare le Cinque Terre durante la bella stagione è ormai un sogno irrealizzabile. Nessuno si azzarderebbe a farlo nel fine settimana. È vero, luoghi come le Cinque Terre, Portofino o Santa Margherita Ligure erano già molto noti anche prima dell’avvento di Instagram.
Ma oggi il turismo che li invade è fuori controllo. E sembra quasi che non ci si vada più perché “il posto è bello”, ma perché lo si è visto nel reel di un blogger o nelle stories di un influencer. È diventato un turismo veloce e superficiale: il tempo di una story… E via. Tutto questo è l’opposto di ciò che dovrebbe essere il turismo etico e sostenibile, che richiede lentezza, profondità e rispetto. Alla luce della rapida evoluzione dei social e dello spazio che occupano nelle nostre vite, viene da chiedersi: riusciremo mai – soprattutto in futuro – a sviluppare una maggiore consapevolezza collettiva su questi temi?

Perché, se da un lato oggi si parla di turismo sostenibile anche grazie ai social, ai divulgatori e agli attivisti, dall’altro le stesse piattaforme ci spingono verso un turismo mordi e fuggi, spesso di massa.
Siamo tutti coinvolti, utenti e content creator.
È possibile cambiare direzione?
Forse non su scala globale. Ma se anche solo una persona in più diventasse consapevole leggendo, informandosi, approfondendo, sarebbe già un piccolo, prezioso passo avanti. Non credo che la soluzione sia nascondere i nomi o le coordinate dei luoghi. Credo piuttosto nella necessità di sviluppare e diffondere canali di comunicazione – anche istituzionali – che raccontino davvero cosa significhi turismo sostenibile: quali sono i suoi valori e cosa comporta, concretamente, essere un viaggiatore responsabile.
Essere turisti consapevoli in Kenya non significa solo non buttare cartacce nei parchi o sapere qualche parola in swahili.
 Significa – o dovrebbe significare – conoscere la storia di questo paese, le sue dinamiche sociali, culturali ed economiche, le ferite ancora aperte di un passato coloniale che, pur invisibile, resta profondamente presente.
Essere viaggiatori consapevoli, in Kenya e ovunque nel mondo, non vuol dire semplicemente seguire un elenco di regole “di buone maniere”. Vuol dire imparare a guardare con occhi nuovi, a essere presenti, ad ascoltare e osservare con umiltà. Ma soprattutto, significa avere il coraggio di mettersi in discussione. Lasciare che il viaggio non sia solo spostamento, ma trasformazione.
E allora sì, potremo visitare anche i luoghi più “instagrammabili”. Ma lo faremo con uno sguardo diverso, con una consapevolezza nuova.
Quella che ci porterà – finalmente – a chiederci:

“Perché sono qui?”