Silvia Redigolo, responsabile comunicazione e fundraising della fondazione: “Con Sorgenia puntiamo a raccontare situazioni quotidiane in cui ognuno si può riconoscere, per aiutare le persone a non rimanere indifferenti o bloccate di fronte agli episodi di cui sono testimoni”
“Io credo molto in questa campagna: con Sorgenia collaboriamo da quattro anni, ed è un’attività che ci piace molto, perché punta a creare concretamente una delle condizioni necessarie per porre fine alla violenza di genere. Il punto di partenza per centrare l’obiettivo è che bisogna uscire dagli stereotipi: non è possibile pensare che di questi temi si parli soltanto l’8 marzo o il 25 novembre. Dobbiamo capire e trasmettere il concetto che il 25 novembre non è la giornata contro la violenza sulle donne, ma la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. Vuol dire che è un’occasione per riflettere e mettere le basi per assumere i comportamenti corretti nel corso di tutti gli altri 364 giorni che compongono l’anno”.
A parlare è Silvia Redigolo, responsabile per la comunicazione e la raccolta fondi di Fondazione Pangea Ets, organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne, delle loro famiglie e delle comunità circostanti. La campagna di comunicazione di Sorgenia partita a novembre è stata realizzata proprio in collaborazione con Pangea, e prevede tra le altre cose un percorso interattivo basato su situazioni quotidiane in cui spesso si fatica a riconoscere la violenza di genere, o ci si trova in imbarazzo a intervenire.
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Silvia, perché lasciare la libertà ai lettori di scegliere un finale per le 5 storie che fanno parte della campagna?
L’idea ci è piaciuta molto, ed è stato stimolante lavorarci. Siamo partiti dalla volontà di avvicinare ai lettori i diversi episodi di discriminazione e violenza a cui possiamo assistere continuamente nella nostra vita di ogni giorno. Perché siamo tutti abituati a pensare che a noi non succederà, o che questi fenomeni siano lontani da noi o non ci tocchino, o che in ultima analisi se dovessimo esserne testimoni non siano fatti nostri. In realtà non è affatto così. Perché sono situazioni che potrebbero succedere a noi, a una persona cara, a una nostra amica. E potremmo accorgercene ma pensare che sia un suo problema, che riguarda la sua dinamica di coppia, e che se non chiede aiuto non dovremmo intrometterci. Abbiamo voluto raccontare episodi in cui ognuno si può riconoscere, per mostrare come si può reagire e cosa si può dire quando si è testimoni di un episodio di violenza o di discriminazione contro una donna. Scrivere queste storie non è stato semplice, perché abbiamo voluto che venisse il dubbio, leggendole, che queste situazioni siano capitate anche a noi e che probabilmente siamo stati zitti o non abbiamo reagito nel modo migliore per aiutare le vittime. Se dovesse ricapitare – questo è il messaggio che abbiamo voluto lanciare ai lettori – potresti intervenire e fare qualcosa di concreto: ecco come.
Quali sono oggi le principali attività di Pangea?
Lavoriamo principalmente in Italia, Afghanistan e India sui temi della discriminazione e della violenza contro le donne. Mi piace porre l’accento sull’attività in Afghanistan perché siamo tra le pochissime realtà nel Paese che riesce a stare accanto alle donne, per sostenerle a maggior ragione in questo momento storico in cui non hanno più diritti né voce. Ma anche il progetto in Italia è molto importante, e non ci stanchiamo di alimentarlo: è un’attività necessaria, dal momento che ogni 72 ore una donna muore a causa di episodi di violenza, spesso davanti ai bambini, in un contesto in cui la violenza domestica non accenna negli anni a diminuire. Per questo per noi è centrale continuare ad avere il nostro sportello per proteggere e aiutare le donne. Dal momento in cui si trovano a far emergere gli episodi di violenza, per seguirle fino alla formazione professionale e all’inserimento lavorativo, per dare loro la possibilità di essere economicamente indipendenti.
C’è il rischio, nel momento storico particolare che stiamo vivendo, che si abbassi in generale la guardia sul fenomeno della violenza contro le donne?
Purtroppo la violenza contro le donne è il tema che più di ogni altro si trova a fare i conti con l’omertà, più della mafia, perché scontiamo ancora il problema di trovarci in una società patriarcale. Per uscirne c’è bisogno di un percorso di educazione che riguardi sia le donne sia gli uomini, ed è importante continuare a parlarne anche in un frangente in cui – come accade oggi – ci sono mille emergenze che possono togliere spazio e visibilità. Il tema è scomodo e trasversale, dal momento che la soluzione deve coinvolgere e richiede l’impegno di tutti e tutte. Non riguarda soltanto la violenza contro le donne, ma anche l’economia, l’organizzazione del lavoro, la retribuzione e i congedi parentali. Per arrivare a una soluzione bisogna affrontare con la stessa serietà ogni aspetto del problema.
Su cosa state lavorando per il futuro?
Il nostro obiettivo è di lavorare con onestà per salvare la vita delle donne, e l’aspetto più importante, guardando al futuro, non è soltanto quello di affrontare le emergenze, ma anche di riuscire a fare sempre più prevenzione. Per questo ci auguriamo di poter aumentare il nostro lavoro all’interno delle scuole e delle aziende, incontrando studenti e dipendenti per cambiare insieme il futuro.
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