SavingBees.org, ecco le oasi che salveranno gli impollinatori
Scritto da
Ettore Benigni
Giornalista
Il progetto zero profit di Matteo De Simone: “Ho voluto fare qualcosa che faccia bene al pianeta e rimanga nel tempo. Tutto quello che incassiamo viene reinvestito per lo sviluppo del progetto”
Proteggere e salvare gli impollinatori per dare un piccolo contributo di sostenibilità al Pianeta e dare vita a un progetto che possa rimanere e svilupparsi nel tempo. È l’obiettivo seguendo il quale Matteo De Simone ha creato Saving Bees. In questa intervista Matteo racconta come è nata l’idea di Saving Bees, quali sono i passaggi fondamentali di questa avventura e quali i suoi possibili sviluppi.
Di cosa parliamo?
- Matteo, da dove proviene questa “passione” per le api?
- Partiamo dallo scopo di questo progetto…
- Cosa sono le oasi apistiche?
- Per riuscirci è importante che nelle oasi ci siano le piante “giuste”?
- Quali oasi avete creato finora?
- Come fate a rendere sostenibili i vostri progetti? Qual è il modello di lavoro?
- Voi avete cominciato quando parlare di api non era ancora di moda. Cosa è cambiato negli ultimi anni?
- Come sta cambiando la sensibilità delle aziende verso i progetti che proponete loro?
Matteo, da dove proviene questa “passione” per le api?
Essenzialmente dalla mia formazione: sono un agronomo, specializzato in genetica molecolare, anche se dopo gli studi la vita mi ha portato su un’altra strada: ho sempre lavorato nel campo della logistica, e oggi sono direttore commerciale di un’azienda belga di questo settore. Ma a fianco del mio lavoro ho continuato a coltivare nel tempo un ideale tutto mio, legato alle convinzioni che ho sviluppato subito dopo la laurea: creare qualcosa che faccia del bene e rimanga nel tempo. Così oggi continuo nel mio lavoro, e mi occupo di Saving Bees, che è un’attività zero profit: ovvero tutto ciò che guadagna viene al 100% reinvestito nel progetto.
Partiamo dallo scopo di questo progetto…
Inizierei con una precisazione: quando parliamo di bees non intendiamo soltanto l’ape mellifera, come sarebbe semplice pensare, ma in generale agli apoidei, famiglia a cui appartiene anche l’ape mellifera, ma che è molto più ampia e comprende migliaia di specie di api selvatiche, che tutte insieme rappresentano una parte molto importante degli impollinatori. Saving Bees nasce come attività di sostegno a queste specie, fino a comprendere anche le farfalle. Il progetto è nato sei anni fa, quando di impollinatori e di api non parlava ancora nessuno, e da allora lo abbiamo sviluppato con attenzione e un passo dopo l’altro. Per proteggere e sostenere gli impollinatori ci occupiamo essenzialmente di creare oasi apistiche.
Cosa sono le oasi apistiche?
L’oasi apistica è un terreno molto grande, di almeno un ettaro e mezzo, che ospita tante fioriture e piante erbacee: il classico prato fiorito, se costruito in maniera specifica, è il massimo della biodiversità, più del bosco, ed è rifugio per tantissimi animali selvatici. Non è propriamente un’area in cui si può passeggiare, dal momento che ospita piante alte anche un metro e mezzo, e sostanzialmente non è costruito per l’uomo: è un ambiente il più possibile incontaminato, una selva densa di piante in cui trovano rifugio tanti animali. Si tratta quindi di aree estese, non semplici bordure di zone agricole in cui vengono utilizzati gli erbicidi. Il terreno delle oasi viene lavorato in modo da non dover essere più toccato, perché molte api selvatiche fanno i nidi sottoterra, e arare vorrebbe dire distruggere questo ambiente. Dal momento che gli impollinatori non sono allevabili, il nostro obiettivo è di creare zone ricche di cibo dove possano trovare un ambiente adatto a riprodursi e da qui re-diffondersi nel territorio circostante .
Per riuscirci è importante che nelle oasi ci siano le piante “giuste”?
Sì, le piante che popolano le nostre oasi sono selezionate per poter coesistere nel modo migliore: costruire, gestire e mantenere un’oasi richiede studio, risorse e attenzione. Nella nostra prima oasi, quella di Rovigo, abbiamo ad esempio creato una zona in cui abbiamo fatto crescere la lavanda: questo perché il nettare delle piante officinali contiene sostanze curative, che fanno bene agli insetti, che quindi ne sono attirati migliorando così la salute delle famiglie di impollinatori.
Quali oasi avete creato finora?
La prima è a Rovigo, dove abbiamo creato il format, mentre la seconda è in Val Concei, nella valle di Ledro, in provincia di Trento. Abbiamo scelto quell’area perché gli ambienti di montagna, pur sembrando incontaminati, si sono nel tempo impoveriti come biodiversità a causa degli allevamenti e alle gestioni non ottimali dei pascoli: nei terreni arricchiti di azoto, infatti, le graminacee prendono la prevalenza, mentre scarseggiano i prati fioriti. In Val Concei gestiamo circa un ettaro e mezzo di terreno fiorito, utilizzando sementi autoctone in un’area divisa in quattro zone. Lì inoltre sosteniamo un apicoltore della zona, per aiutarlo a superare la difficoltà delle api. Si tratta di un’iniziativa che abbiamo deciso di sposare per dare alla nostra attività anche un impatto sociale. Quest’anno inoltre apriremo una terza oasi, l’oasi di Viserba, vicino a Rimini, all’interno di un’azienda agricola biologica dove andremo a gestire quasi due ettari di terreno. Abbiamo già fatto le semine e creeremo un punto di fioriture. Sarà anche un modo per collaborare con le due imprenditrici che gestiscono l’azienda, e che hanno portato l’innovazione di raccogliere esclusivamente su ordinazione puntando così ad una qualità e naturalezza estrema del loro prodotto. Oltre a questo, stiamo anche sviluppando nuove collaborazioni, come quella in corso con una ricercatrice indiana, e il progetto di collaborazione – in Trentino – con una bellissima persona che è impegnata nel recupero di un orto officinale antico nei pressi di un vecchio mulino: non sarà un’oasi, ma una partnership in cui crediamo molto. Stiamo anche collaborando con Centoboschi per la costituzione di Boschi studiati per gli impollinatori. Si tratta di microprogetti che testimoniano come goccia dopo goccia si possa formare un lago. Più in generale, infine, ci diamo l’obiettivo di aprire almeno una o due nuove oasi ogni anno.
Come fate a rendere sostenibili i vostri progetti? Qual è il modello di lavoro?
Abbiamo tre pilastri: il primo è l’adozione delle arnie, per il quale non ci rivolgiamo ai privati, ma alle aziende. Si tratta in concreto di adottare una o più famiglie di api per uno o tre anni. Noi in cambio restituiamo un piccolo pacchetto di comunicazione: ogni partner avrà una pagina dedicata sul nostro sito, in cui racconta chi è, cosa fa e perché ha aderito, e potrà contare sulla nostra attività sui social, con i post su LinkedIn e Facebook che raccontano i progetti e chi li sostiene. Pubblichiamo anche un’intervista sul nostro sito, che poi i partner possono veicolare liberamente attraverso i loro circuiti di comunicazione o la stampa di settore. Infine, i partner possono utilizzare i nostri loghi per rendere evidente il fatto che sostengono la nostra attività.
Il secondo pilastro è il miele: per noi non è un prodotto, ma un risultato. Nel nostro modo di fare apicoltura, infatti, noi non togliamo il miele alle api, ma lo lasciamo fino a fine stagione, fino a quando siamo sicuri che le api non lo utilizzeranno più. Di quello che rimane, che può essere classificato come “miele etico”, ne facciamo dei vasetti che poi vengono acquistati già brandizzati dai nostri partner, che ne possono fare dono ai dipendenti o ai clienti.
Il terzo pilastro lo stiamo ancora sviluppando, ed è il lavoro fianco a fianco con i nostri partner per progetti che ci vengono richiesti direttamente da loro, e su cui possiamo mettere a disposizione le nostre competenze e che quindi vengono costruiti attorno al partner stesso.
Voi avete cominciato quando parlare di api non era ancora di moda. Cosa è cambiato negli ultimi anni?
Siamo partiti in modo molto graduale, ma chiaramente più cresciamo e più siamo visibili. A me piace fare prima le cose e poi comunicarle, in un mondo in cui tanti hanno ormai iniziato a comunicare prima di fare. La concretezza è importante, come è importante lo spirito con cui ci si muove. Saving Bees è nato perché ritenevo che fosse importante, non perché c’era un mercato non ancora presidiato da conquistare. Proprio la concretezza, insieme alla dimensione etica, è il motivo per cui ci rivolgiamo alle aziende: non vogliamo fare adottare simbolicamente le arnie, ma su ogni arnia mettiamo una targhetta con il nome della società che l’ha adottata. Questo ovviamente comporta costi più alti, che i privati difficilmente possono permettersi.
Come sta cambiando la sensibilità delle aziende verso i progetti che proponete loro?
Io ho riscontrato un denominatore comune nei nostri partner, dalla piccola azienda alla multinazionale: in tutte ho trovato una persona di riferimento, che solitamente è il titolare o l’amministratore delegato, oppure la direzione Marketing e comunicazione, che ha percepito il valore del nostro progetto e l’ha sposato con sincerità e convinzione. Si crea ogni volta una sintonia importante, anche personale. Tutti possono aiutarci, anche solo parlando di Savingbees.org nelle loro aziende e mettendoci in contatto con queste aziende, questo sarebbe un aiuto davvero importante