Rifò, moda circolare a km zero contro gli sprechi del fast fashion
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La Redazione di Sorgenia
La mission della start up toscana è chiara. Rivoluzionare l’industria dell’abbigliamento dando vita a vecchi indumenti che diventano fibre rigenerate e nuovi capi di qualità.
I comportamenti di tutti, nel corso degli anni, hanno ferito in maniera sempre più grave un pianeta che, soprattutto attraverso calamità naturali, ora sta presentando il – salatissimo – conto. E per invertire questo drammatico trend di crisi ognuno deve fare la propria parte con i “comportamenti” giusti. In primis riducendo al massimo gli sprechi. Un bisogno che Niccolò Cipriani, fondatore della start up italiana Rifò, ha avvertito nell’agosto 2017, al ritorno dal suo viaggio in Vietnam. La scintilla di dar vita ad un brand di moda sostenibile per contrastare la sovrapproduzione dell’industria tessile, con tutto quello che ne consegue, è scoccata proprio nel Sud Est asiatico, diventando poi un progetto concreto nel settembre dello stesso anno.
Di cosa parliamo?
- Dal Vietnam a Prato, la storia di Rifò
- I valori di Rifò tra sostenibilità e responsabilità
- il processo di rigenerazione dei tessuti
- Sostenibilità e circolarità nei numeri di Rifò
- Rifò per tutti, tutti per Rifò
- Niccolò, qual è stata la “molla” che ha fatto nascere il progetto Rifò?
- Moda etica e sostenibile contro il “mostro” del fast fashion. A che punto è Rifò nella battaglia per salvare il pianeta?
- Tradizione, ma anche futuro. Ci sono altri progetti per il domani di Rifò?
Dal Vietnam a Prato, la storia di Rifò
Un’idea innovativa, ma che affonda le radici nella tradizione degli artigiani toscani. Sì, perché è lo stesso nome “Rifò”, inflessione del verbo “rifare”, era d’uso comune ai “cenciaioli” già più di cento anni fa. Il loro compito era quello, appunto, di recuperare vecchi indumenti e renderli un filato tutto nuovo da riutilizzare per nuovi abiti. Un solco che Niccolò Cipriani ha voluto ricalcare, entrando nel maggio 2018 nel programma accelerazione per startup “Hubble” di Nana Bianca a Firenze. Un mese più tardi viene fondata la Rifò Srl, mentre a novembre nasce il negozio-ufficio Agorà a Prato. Nel marzo del 2019 viene lanciato il primo prodotto Rifò, con un maglioncino rigenerato dai jeans. Tra il giugno e l’ottobre del 2019 il team si allarga ad altri collaboratori, trasformando Rifò da un progetto ad un brand vero e proprio. E non è finita qui, perché dopo aver lanciato la Giacca Avanguardista, Rifò cambia e si trasferisce in una sede più grande, sempre a Prato, in via Filicaia. Attualmente il team dell’azienda – tra cui fashion designer, communication specialist e product developer, è composto da 14 persone, equamente suddivise tra donne e uomini.
I valori di Rifò tra sostenibilità e responsabilità
Il modus operandi di Rifò rispecchia chiaramente i capisaldi dell’economia circolare, in questo caso tutta italiana. La linea di abbigliamento è interamente prodotta in Italia, a Prato e dintorni, in modo sostenibile per il pianeta, sempre più incapace di reggere i ritmi del Fast Fashion. Da anni, ormai, l’industria dell’abbigliamento produce abiti (di bassa qualità) a basso costo, rinnovando le collezioni a velocità altissime. Un circolo – vizioso – che produce quantità inimmaginabili di rifiuti tessili, sia da parte delle industrie produttrici che dai consumatori, oltre all’emissione di tonnellate di gas serra. Ed è qui che va ad inserirsi la mission di Rifò che, recuperando abiti usati e generando nuova fibra da reimpiegare, promuove un gesto di responsabilità verso il pianeta. Uno Slow Fashion che fornisce valore ai consumatori e anche alla tradizione dei cenciaioli toscani. Le collezioni di Rifò, inoltre, vengono prodotte in piccole quantità e solo dopo una prevendita online per capire le richieste del mercato, combattendo così anche la sovrapproduzione. Perché un circolo vizioso, come nel caso di Rifò, può anche essere inteso in maniera positiva.
il processo di rigenerazione dei tessuti
La fibra rigenerata che darà poi vita a nuovi capi può essere ricavata solo da capi composti dal 95 al 100% da un determinato materiale, che sia cotone, cashmere, lana e polietilene. Per quanto riguarda i jeans, grazie alla collaborazione con NaturaSì (119 negozi, destinati ad aumentare, in tutta Italia) Rifò raccoglie anche i vecchi capi in cotone denim, ripagando chi li rende con un buono sconto per ogni jeans consegnato da spendere poi sullo shop online di Rifò a fronte di una spesa minima. Tornando al processo di rigenerazione dei prodotti, vecchi indumenti o scarti industriali, Rifò rigenera varie fibre di qualità:
- LANA CASHMERE – il cashmere raccolto viene selezionato per colore e poi ridotto allo stato di fibra attraverso il processo di cardatura (quello dove le fibre tessili vengono districate, rese parallele e pulite dalle impurità). Il materiale viene poi filato nuovamente, per un prodotto già colorato che abbatte drasticamente il consumo d’acqua.
- COTONE – per produrre il cotone, invece, gli scarti tessili vengono trinciati e trasformati di nuovo in filo, che eventualmente viene tinto di nuovo per ottenere colorazioni particolari. Con questo materiale vengono prodotti teli mare e scialli, mentre per la produzione di Polo e T-Shirt vengono utilizzati il 50% di cotone vergine e il 50% di cotone riciclato da scarti di produzione.
- COTONE RIGENERATO DA VECCHI JEANS – per ottenere filato rigenerato dai jeans i tessuti vengono stracciati, con il materiale ottenuto rifilato nuovamente. Anche questo processo impiega una quantità irrisoria d’acqua.
Sostenibilità e circolarità nei numeri di Rifò
Per rendersi conto degli standard produttivi di Rifò basta dare uno sguardo al report di sostenibilità (anno 2020) dell’azienda. Da 8.500 vecchi maglioni vengono ricavate ben 2,5 tonnellate di cashmere rigenerato. 3.920 vecchie T-Shirt “ritornano” 590 kg di cotone rigenerato, mentre 930 paia di vecchi jeans ne generano altri 510 kg.
Rifò per tutti, tutti per Rifò
L’economia circolare di Rifò, quindi, abbraccia tutti i campi della moda sostenibile e della salvaguardia dell’ambiente. Limitando, di molto, gli sprechi dell’industria Fast Fashion con una produzione di capi d’abbigliamento a km 0, secondo la tradizione artigianale toscana, da fibra rigenerata dal recupero di vecchi abiti o scarti industriali. Con un trattamento produttivo che, al contempo permette di impattare nella maniera minore possibile sulle risorse del pianeta. Ad esempio, per produrre una maglia in cashmere certificata GRS (Global Recycled Standard), Rifò risparmia il 65,6% del consumo d’acqua (grazie alla selezione dei capi per colore operata a monte) e il 68,2% di energia, generando l’83,5% in meno di emissione di CO2*. Di Rifò e dei progetti per il futuro ne abbiamo discusso con il suo fondatore, Niccolò Cipriani.
*Dati studio LCA Factory
Niccolò, qual è stata la “molla” che ha fatto nascere il progetto Rifò?
Rifò è nato quando lavoravo per un programma delle Nazioni Unite in Viet Nam. Qui ho potuto vedere da vicino il problema del fast fashion e del sovraconsumo: montagne di vestiti pronti per essere smaltiti in un inceneritore. Così ho deciso di tornare nella mia città natale, Prato, per iniziare un progetto di moda etica e sostenibile. Qua a Prato, dove esiste un distretto manifatturiero tra i primi in Italia, la rigenerazione delle fibre tessili è una tradizione vecchia più di 100 anni. Nel 2017 quindi è iniziata l’avventura di Rifò con un crowdfunding, oggi siamo arrivati ad avere un team di 14 persone e un’azienda in crescita che si sta strutturando sempre più.
Moda etica e sostenibile contro il “mostro” del fast fashion. A che punto è Rifò nella battaglia per salvare il pianeta?
Facciamo del nostro meglio nel nostro piccolo. Al di là di materiali, impatti e scelte di produzione, per noi la chiave per sconfiggere il fast fashion è tornare alle emozioni: affezionarci a ciò che indossiamo, non volersene mai separare perché racconta una storia. Crediamo che ci sia sempre più sensibilità da parte delle persone verso questo tema, ragione per cui anche i grandi player iniziano a comunicare le loro scelte sostenibili. Questo è un bene e ci auguriamo che diventi la regola, cioè che queste scelte inizino a riguardare la globalità delle produzioni dei grandi player e non solo una piccola parte.
Tradizione, ma anche futuro. Ci sono altri progetti per il domani di Rifò?
Non stiamo mai fermi, ne abbiamo davvero tanti in cantiere. Sicuramente la direzione è potenziare ed estendere i nostri servizi di raccolta dei vecchi indumenti in jeans, lana e cashmere, magari portandoli anche all’estero. Rifò è nato come un progetto, per questo ci piace vederci come un servizio oltre che come un brand di abbigliamento. Le persone sono davvero molto interessate al decluttering e a sapere come disfarsi correttamente e dare nuova vita ai loro vecchi indumenti; noi siamo qui per cercare di dare una risposta concreta, coinvolgendo le persone in progetti di economia circolare trasparenti e tracciabili.
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