Progetto Ulisse, l’economia circolare parte dalle alghe dell’Adriatico

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Sette giovani impegnati a trovare la soluzione per ripulire il mare dall’inquinamento e per riutilizzare gli organismi acquatici in diversi contesti, dalla filiera alimentare alla bioedilizia, dalla cosmetica alla produzione di biogas

Risolvere il problema dell’eccesso di alghe che in alcuni periodi dell’anno affligge le coste dell’Adriatico in Italia, dando via a una serie di progetti di economia circolare che possono prevedere l’utilizzo di questi organismi acquatici ad esempio nel campo alimentare, in quello della cosmetica, nella bioedilizia o nella produzione di biogas. È l’idea che sta alla base del progetto Ulisse, nato dalla collaborazione di sette giovani tra Bologna e Cattolica, che per svilupparlo hanno dato vita a una cooperativa, che ha un nome anch’esso collegato alla mitologia greca: Itaca soc. coop. A raccontare in questa intervista come è nato il progetto, in cosa consiste e a che punto si trova è Lisa Mustone, studentessa di scienze statistiche all’Università di Bologna, uno dei sette componenti del team insieme a Beatrice Feneri, sustainable designer, Jacopo Michelacci, pescatore, Simone Castagnoli, aquascaper all’Acquario Club di Cesenatico, Antonio Morritti, pescatore, Fabrizio Caruso, ricercatore e Martina Benvenuti, che si occupa del marketing.

Di cosa parliamo?

Lisa, come è nata l’idea di dare vita al progetto Ulisse?

La prima persona che ho conosciuto è stata Beatrice insieme a una ricercatrice, Valentina, che aveva iniziato a lavorare all’idea ma al momento si occupa di altri progetti: ci siamo incontrate online durante lo startup day dell’università di Bologna, dove ancora studio. In quel momento il progetto Ulisse era ancora soltanto un’idea, e per un po’ non ci siamo più sentiti a causa dell’emergenza Covid e dei lockdown che si sono succeduti. Abbiamo poi ripreso il filo del discorso a marzo 2021: Beatrice, che è di Cesena, aveva coinvolto altri due suoi amici, Jacopo e Simone, e poi Antonio e Fabrizio, che sono di Cattolica e avevano avuto la nostra stessa idea, e con cui abbiamo deciso di unire le forze. La possibilità di partire l’abbiamo avuta grazie al fatto che Beatrice aveva vinto il bando Metti in circolo il cambiamento di Legambiente. Abbiamo creato un piccolo impianto a terra, due vasconi con una pompa che facesse circolare l’acqua, per capire come crescono e si comportano le alghe. Ad aprile 2021 ci siamo incontrati tutti per la prima volta di persona, per lavorare all’impianto che ha trovato casa presso la Casa del pescatore di Cattolica, che ci ospita e con cui collaboriamo: lì abbiamo messo su il nostro primo piccolo studio.

Quali sono stati i passi successivi?

A quel punto eravamo ancora soltanto un progetto, e avevamo bisogno di diventare un soggetto giuridico. Abbiamo scelto la forma della cooperativa, di cui facciamo parte in cinque, perché vogliamo essere attenti non soltanto alla sostenibilità ambientale, ma anche a quella sociale. Il nostro obiettivo è di cercare di aiutare le realtà sul nostro territorio: più che realizzare impianti nostri vorremmo sfruttare i contatti che riusciamo ad attivare con le aziende locali. Noi vogliamo svolgere le ricerche e poi appoggiarci ogni volta che è possibile ad aziende che esistono già.

Ci spieghi più nel concreto in cosa consiste il progetto Ulisse?

L’idea da cui parte tutto è la volontà di risolvere un problema. Sulla costa romagnola d’estate si accentua la presenza eccessiva di alghe, che non solo danno fastidio ai bagnanti, ma si spiaggiano sulla riva e devono essere smaltite come rifiuti. Abbiamo pensato di risolverlo in due modi, uno a breve termine e un più a medio-lungo termine. Per iniziare, quindi, la nostra idea è che se queste alghe venissero recuperate prima di spiaggiarsi potrebbero rappresentare una risorsa: alcune, ad esempio, sono buoni alimenti vegani, altre per realizzare colloidi e gelatine per la cosmetica, altre sono utilizzabili per il petfood e per produrre biogas, e ci sono anche aziende che ci hanno contattato per la bioedilizia. Altri usi potenziali, non ancora collaudati con queste tipologie di alghe, sono fitostimolanti per l’agricoltura e nei laboratori scientifici. Il secondo progetto, quello più a lungo termine, è quello di dare vita a coltivazioni di alghe controllate in bacini salati, in modo da risolvere il problema dell’eccesso di sostanze nutrienti che causa la loro crescita incontrollata e lo spiaggiamento. Coltivandole in alcune aree strategiche, in altre parole, contribuiremmo a ripulire il mare e a gestire il problema, evitando che la loro crescita possa diventare un fastidio sulle coste per i bagnanti o arrivare addirittura a causare morie di pesci con l’anossia dovuta alla scarsità di ossigeno in acqua.

Quali sono i problemi più grandi che vi state trovando ad affrontare?

Quello più urgente, in questo momento, è che non si può andare in mare a raccogliere le alghe e pescarle manualmente, perché non esiste ancora una normativa che regoli questo settore. Le leggi nazionali prevedono che la raccolta sia normata direttamente dalle singole Regioni, e ognuna si regola secondo principi autonomi. Abbiamo avuto un incontro al ministero, che si è dimostrato sensibile al tema, e siamo in contatto con la Regione Emilia-Romagna, con cui stiamo collaborando per arrivare a una soluzione, ad esempio per la classificazione del prodotto.

In attesa di queste norme cosa potete fare?

In questo momento le uniche alghe che possono essere utilizzate in percorsi di economia circolare sono quelle che provengono dalla pesca accidentale: se un pescatore cioè pesca per errore delle alghe, invece di rimetterle in mare, dove potrebbero contribuire ad impoverirlo di ossigeno, può conferirle alla cooperativa, che si occuperà di valorizzarle. Per questo stiamo prendendo contatti per stipulare contratti con i pescatori, per avere la materia prima da poter smistare ai clienti. Quanto ai progetti per la coltivazione delle alghe, siamo alla fase di studio: avvieremo una sperimentazione installando piccoli impianti a terra con acqua salmastra, per capire come fare a realizzarli in un secondo momento su una scala più grande. Stiamo lavorando con una realtà locale per avviare una sperimentazione l’anno prossimo: la stagione di proliferazione è intorno ai mesi primaverili.

Ci sono altre esperienze simili alla vostra all’estero?

In Europa c i sono realtà simili in Spagna e Francia, anch’esse startup che stanno sperimentando sia in termini di macroalghe sia di microalghe.