“Importante che gli uomini si mettano in discussione”: intervista a Silvia Redigolo di Pangea

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Silvia Redigolo, responsabile Comunicazione e Raccolta fondi della fondazione: “Ogni 72 ore viene uccisa una donna, e spesso il dibattito non riesce ad andare oltre la logica del gossip estivo. È necessario coinvolgere le persone e le aziende e andare oltre la celebrazione di una singola giornata dedicata alla violenza di genere”

Dalla pandemia alle guerre che stanno sconvolgendo diverse aree del Pianeta, fino alla crisi economica, viviamo in un momento storico tragico e a suo modo eccezionale, caratterizzato anche – tra le altre cose – dalla crescita dei casi di violenza contro le donne. L’attenzione verso il contrasto a questo fenomeno, se si vogliono raggiungere risultati tangibili, deve rimanere alta e non deve essere relegata a momenti isolati, come il 25 novembre, giornata dedicata all’eliminazione della violenza contro le donne. Per riuscirci bisogna partire da un salto culturale, quello di riconoscere il fatto che facciamo parte di una parte privilegiata della popolazione mondiale, e che dobbiamo essere disposti metterci tutti in discussione e a fare praticamente qualcosa in prima persona.

È questo il senso dell’appello di Silvia Redigolo, responsabile Comunicazione e Raccolta fondi di Fondazione Pangea Ets, organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne, delle loro famiglie e delle comunità circostanti.

Di cosa parliamo?

Silvia, come è cambiata la violenza contro le donne con le emergenze che abbiamo affrontato negli ultimi anni, a partire dalla pandemia?

Quando sono stati annunciati i primi lockdown abbiamo capito da subito che si trattava di una circostanza preoccupante, e ne abbiamo avuto conferma dalla nostra rete. Se in generale, infatti, rimanere a casa può essere considerato un sinonimo di “essere al sicuro”, questo non vale per le donne vittime di violenza. Durante le prime due settimane di lockdown, in ogni caso, le chiamate e in generale le richieste di aiuto, anche via e-mail, sono diminuite, soprattutto perché le donne erano spaventate o spaesate, non sapevano a chi chiedere aiuto. Ma con il passare del tempo, per molte, la situazione è diventata insostenibile. Per molte donne il lockdown ha significato essere sottoposte a violenze continue, spesso davanti ai propri figli, dal punto di vista psicologico, fisico e sessuale. L’aumento delle richieste d’aiuto è così arrivato a toccare il +72%. Non è aumentato soltanto il numero di denunce, ma anche la gravità delle violenze, spesso davanti ai bambini, che a loro volta, costretti in casa, hanno perso anche le figure di riferimento con cui potersi confidare al di fuori della famiglia. Di pari passo, durante il primo lockdown abbiamo assistito anche a una diminuzione dei femminicidi. Questo perché le vittime, nonostante si siano trovate nella bolla di violenza 24 ore su 24, rimanevano tutto il giorno “in gabbia”, sotto controllo.

Parliamo del presente. Cosa sta succedendo oggi?

Passati i lockdown e terminata l’emergenza dovuta alla pandemia direi che tutto è tornato alla dimensione – sempre inaccettabile – della normalità. Ci sono stati momenti in cui i riflettori sui fenomeni di violenza di genere sono rimasti accesi più a lungo, come nel caso dello stupro di gruppo avvenuto in estate a Palermo. Si è arrivato anche – correttamente – a parlare della necessità che la figura maschile si metta in discussione, ma devo constatare che si è trattato purtroppo di temi affrontati con la logica dei “gossip estivi”. Una volta passata l’onda dell’indignazione collettiva e delle chiacchiere da ombrellone sembra che tutto sia ancora una volta tornato come prima.
Ma non dobbiamo dimenticare che parliamo di una donna uccisa ogni due giorni, e che quindi è necessario fare qualcosa se vogliamo evitare che arrivi un altro 25 novembre da celebrare semplicemente come una ricorrenza vuota. Quella per l’eliminazione della violenza contro le donne non può e non deve rimanere come una giornata a sé: ognuno deve fare i propri passi, e gli uomini devono fare un ragionamento in più: non si tratta di una guerra donne contro uomini, non vince chi riceve più violenza, e non si può far finta di non vedere. Allo stesso modo è importante l’impegno delle aziende, come nel caso di Sorgenia, che promuove progetti contro la violenza di genere e che da tre anni sostiene l’attività di Pangea.

In cosa consiste la collaborazione tra Pangea e Sorgenia?

Da anni collaboriamo per lo sportello antiviolenza online: può sembrare un progetto virtuale, ma ha in realtà un punto di forza nella sua concretezza, si tratta di un indirizzo e-mail a cui le donne vittime di violenza o le persone che vogliono aiutarle possono scrivere. Riceveranno risposta da operatrici professioniste, che sanno volta per volta come aiutare le vittime nel modo migliore. Questo perché chi subisce violenza non può essere aiutata soltanto da un’amica o da una parente, o genericamente da un avvocato/a: servono professionalità specifiche. Non basta dire alla vittima “denuncia”, o “te ne devi andare”: non è semplice se si parla del padre dei propri figli. Si deve entrare in contatto profondamente e si deve sapere cosa è possibile fare per rispondere nel modo più adeguato. Il nostro sportello, così, è anche a disposizione delle persone che vivono accanto alle vittime, per accompagnarle nel modo migliore verso Pangea.
L’indirizzo e-mail è inoltre un mezzo che può essere raggiunto da qualunque luogo, non è legato alla presenza di uno sportello fisico sul territorio o nelle vicinanze. A questo si aggiunge il fatto che spesso le donne fanno meno fatica a scrivere piuttosto che a telefonare, perché l’e-mail è un mezzo che rispetta i loro tempi, e che dà loro la possibilità di raccontare senza dover rispondere a domande. C’è poi un aspetto di sicurezza: non sempre una telefonata o un testo su Whatsapp è sicuro, perché spesso le vittime subiscono il controllo della cronologia delle chiamate e dei messaggi.

Quali sono i progetti che Pangea sta portando avanti per il futuro?

Innanzitutto siamo impegnati a proseguire con i progetti che abbiamo già in campo, che partono tutti dall’ascolto e dai dei bisogni delle donne. È il caso dello sportello ma anche delle case rifugio a indirizzo segreto che abbiamo in tutta Italia, in cui ospitiamo le donne con situazioni a rischio. Ne apriremo presto una nuova in Calabria, non perché al Sud ci sia più violenza, ma perché ci sono meno strutture di questo tipo. La violenza di genere, purtroppo, è estremamente democratica, e colpisce le donne del Nord del Centro e del Sud, a prescindere dal loro status sociale o professionale.
Inoltre continueremo con la formazione dei centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale, per dare a tutte le operatrici gli stessi strumenti, e con le attività all’interno delle scuole e delle aziende. A queste ultime teniamo in modo particolare, perché nelle aziende ci sono genitori, uomini e donne, c’è sia chi vive la violenza sia chi sta accanto a chi vive violenza. Sul piano internazionale, proseguiremo con i nostri progetti in Afghanistan, che recentemente è stato sconvolto da un terremoto devastante, e in India, dove abbiamo avviato un progetto di microcredito che sta dando risultati incoraggianti. E infine “Piccoli ospiti”, progetto che lavora su bambini e bambine che hanno vissuto violenza domestica con la mamma, per aiutarli a elaborare quanto accaduto per evitare che da adulti si trovino a replicare questo genere di situazioni.

Cosa si può fare, con l’avvicinarsi delle festività natalizie, per sostenere Pangea?

Il messaggio che ripetiamo costantemente anche sui nostri profili social è che i 5 o 10 euro possono fare la differenza, il nostro claim è:

“Il potere di un piccolo gesto è magico”

In vista delle festività il nostro sito è ricco di idee regalo, con articoli prodotti in Italia da aziende che hanno scelto di sostenere Pangea e caratterizzate da una filiera etica. Vogliamo stimolare chi ci segue a dare un valore diverso alla logica dei doni sotto l’albero: sarebbe importante che ci rendessimo conto che vivremo un Natale da privilegiati, da persone che non hanno nessun merito per non essere nate a Gaza, in Ucraina o in Afghanistan, o per non aver incontrato sulla propria strada l’uomo sbagliato: sarebbe importante condividere una parte della propria fortuna con chi ha bisogno di aiuto.