L’importanza nel mondo e in Kenya dei Waste Pickers
Scritto da
Gaia Dominici
Storyteller, vive nella savana in Kenya insieme a suo marito e a sua figlia raccontando la loro vita Maasai, portando il suo punto di vista su scelte di vita sostenibili
I raccoglitori di rifiuti sono responsabili del 60% della plastica riciclata in tutto il mondo eppure ancora oggi continuano a morire sotto lo sguardo silente della società. Ma chi sono davvero queste persone?
La prima volta che ho visto un raccoglitore di rifiuti avevo vent’anni ed ero qui in Kenya per svolgere un’esperienza lavorativa all’estero. L’obiettivo? Diventare un fotografa. Una fotografa di guerra.
Mi trovavo a Dandora, la più grande discarica a cielo aperto non soltanto del Kenya ma dell’intero East Africa.
A quell’epoca – mi sembra incredibile ma sono già passati undici lunghi anni – la figura del waste picker non era altro che una persona spesso proveniente dalla baraccopoli o discarica stessa, che per guadagnare qualcosa a fine giornata, raccoglieva tutta la plastica che trovava in giro per poi cederla ed essere pagata sulla base del peso di ciò che aveva raccolto.
A quei tempi Dandora era divisa in diverse aree e ognuna di esse aveva il proprio boss che ne gestiva il carico e scarico dei rifiuti e i permessi concessi ai cittadini di raccogliere o meno la plastica nella sua area di controllo. Ricordo Dandora come una sorta di città dei rifiuti dove non sapevi e non riuscivi a distinguere dove finisse la discarica e cominciassero le case. L’odore che regnava in quel luogo è qualcosa che difficilmente dimenticherò. Da una parte l’odore di plastica bruciata e dall’altra l’odore di tutto ciò che si trovava all’interno della discarica: escrementi umani, rifiuti tossici, carcasse di animali morti, acqua putrida, cibo andato a male, oggetti bruciati.
Durante la mia esperienza a Dandora conobbi moltissimi waste pickers. Donne, uomini, bambini. Tutti potevano farlo. Bastava averne la capacità e resistenza fisica e ovviamente il permesso per poterlo fare. Per ottenere accesso e autorizzazione alla discarica si doveva pagare una tassa. Una volta pagata, alla persona veniva concesso l’ingresso. Vi erano ovviamente delle regole da rispettare e non tutta la plastica era idonea per essere raccolta: solo quella che si poteva riciclare. Solo quella che avrebbe generato un possibile guadagno. Queste persone trascorrevano fino a dodici ore dentro la discarica cercando di scovare anche il più piccolo pezzo di plastica da riciclare. Affacciarsi sulla discarica durante le ore centrali della giornata era una situazione surreale.
Socchiudendo gli occhi e usando un pò di immaginazione, potevi quasi pensare di essere tra le montagne keniane in qualche piantagione del tè. Intorno tutto verde e ripiegati su se stessi con grandi borse sulle spalle ci sono i raccoglitori di foglie di tè. Finché non riapri gli occhi e ti rendi conto che la sagoma delle montagne che vedevi contro luce sono in realtà montagne di rifiuti e che il verde in realtà è grigio-marrone dell’aria e che le persone ripiegate su loro stesse stanno raccogliendo a mani nude plastica mischiata a feci umane e rifiuti tossici.
A fine giornata, quando finalmente il borsone sulle spalle è pieno, la plastica viene portata in un punto predisposto dove verrà pesata e riposta su grandi camion che la porteranno fuori dalla discarica. Il prezzo che viene riconosciuto ai waste pickers è quasi una presa in giro: 20-30 scellini al chilo.
Avete mai provato a raccogliere un chilo di plastica? Molti dei waste pickers con cui mi interfacciavo mi raccontavano che arrivare all’equivalente di un dollaro intero in una sola giornata era quasi sempre impossibile.

Al di là della fatica fisica inverosimile a cui queste persone venivano costantemente sottoposte, la lista delle malattie e infezioni con cui si contagiavano era interminabile: tumori, infezioni anche mortali a carico dell’apparato respiratorio, malattie della pelle e degli occhi e danni a volte anche irreversibili all’apparato riproduttivo e al sistema nervoso. Ho conosciuto donne raccoglitrici di rifiuti a cui erano nati feti morti o con gravissime malformazioni, uomini diventati completamente ciechi, bambini con tumori incurabili.
Quello che i miei occhi vedevano era persino peggio di un campo di battaglia.
Lì a Dandora non c’era nessuna guerra, nessuna trasmissione televisiva, nessun giornalista d’assalto. Quel posto era dimenticato persino da Dio.
“Cosa trasportano quegli uomini sulle spalle?”
“Plastica”
Sono passati undici lunghi anni. Io sono sempre Gaia e il Kenya è ormai diventato la mia casa. Non sono mai più tornata a Dandora, benché la tentazione sia sempre molto grande. Oggi mi trovo in un’altra zona della città, Kibra anche meglio conosciuta come Kibera. Questa in cui faccio volontariato adesso è la più grande baraccopoli urbana di tutto il Kenya e tra le più grandi dell’intera Africa.
“Sono waste pickers?”
Chiedo continuando ad osservare quegli uomini che da lontano potrebbero quasi sembrare statue.
“Si, sai chi sono?”
Mi chiede il referente dell’associazione con cui collaboro.
E in un attimo la mia mente vola a Dandora, undici anni prima. Tutti quegli uomini e quelle donne che ho incontrato. Tutte quelle storie che ho ascoltato. Per un attimo mi domando se ci sia qualcuno che è sopravvissuto e l’attimo dopo mi rendo conto che la vera ragione per cui in tutti questi anni non ci sono mai più tornata è in realtà la paura di non trovare più nessuno.
Perché, in fondo dentro di me io lo so: a quella vita nessuno sopravvive.
Oggi però, al contrario di undici anni fa, i waste pickers hanno ottenuto diversi importanti riconoscimenti riuscendo anche a formare un’associazione che in qualche modo li protegga e li tuteli. Nel 2021, infatti, anche il Kenya ha preso parte alla WPWA ovvero la Waste Pickers Walfare Association.
Questa associazione internazionale dei Raccoglitori di Rifiuti è un’unione di più organizzazioni di raccoglitori di rifiuti che rappresentano più di 460.000 lavoratori in 34 paesi diversi nel mondo. Tutto questo è accaduto perché benché siano figure pressoché invisibili agli occhi del mondo e dei consumatori, i waste pickers in realtà sono responsabili del 60% della plastica riciclata nel mondo, esponendo quotidianamente le loro vite a pericoli talvolta anche fatali.
A livello globale, la quantità di rifiuti che produciamo – e dove metterli – è un problema sempre più grande. Considerate che ogni anno il mondo genera circa 2,01 miliardi di tonnellate di rifiuti domestici ed entro il 2050 il numero è destinato ad aumentare di oltre il 70%.
Inoltre, nei paesi a basso reddito, come il Kenya, il 90% dei rifiuti viene gettato all’aperto o bruciato. L’associazione ha come obiettivo quello di tutelare, per quanto possibile, le vite dei raccoglitori, facendo pressioni sul governo keniano affinché vengano create delle leggi che innanzitutto riconoscano tale figura all’interno della società.
È fondamentale creare una mappatura e un database degli effettivi waste pickers attivi sul territorio keniano, considerato che Nairobi è solo uno dei luoghi dove avviene la loro maggiore attività ma dopo la capitale troviamo numerosi gruppi di waste pickers anche a Eldoret, Kilifi e Ngong.
Pur non conoscendone il numero preciso, tra adulti e bambini, i raccoglitori di rifiuti giocano un ruolo fondamentale nella società kenyana e mentre le grandi organizzazioni, nazionali ed internazionali, tengono meeting e conferenze in hotel a cinque stelle con donors da tutto il mondo “per migliorare la situazione dei waste pickers”, la realtà è che di tutti quei soldi e di tutte quelle parole viene fatto troppo poco.
È fondamentale oggi comprendere che le nostre azioni di singoli cittadini hanno in realtà un impatto su scala globale anche se noi non lo vediamo o non ce ne accorgiamo.
Ma da qualche parte del mondo qualcuno ne sta già pagando le conseguenze ed è ora di capire che presto o tardi anche noi ne pagheremo il conto.
