Kazuri è una parola swahili che viene spesso utilizzata per definire “carino” qualcosa di piccole dimensioni.
Kazuri è anche stato il nome scelto nel lontano 1975 per un piccolo laboratorio nella periferia di Nairobi che aveva come obiettivo quello di offrire un impiego lavorativo a donne e madri single che versavano in condizioni sociali ed economiche di forte disagio.
Le donne, all’interno del piccolo laboratorio, lavoravano la ceramica dando vita a bellissimi gioielli decorati a mano da ciascuna di loro. Bracciali, orecchini, collane ma anche arredo per la casa, tutto interamente fatto a mano da un minuscolo gruppo di donne con tanta voglia di riscatto.

La storia di Kazuri
Kazuri prima che la pandemia si diffondesse in tutto il mondo, Kenya compreso, contava più di 300 artigiane provenienti dai più disparati quartieri di Nairobi. Ad oggi, purtroppo, il loro bellissimo laboratorio nel cuore di Karen, il quartiere periferico che prende il nome proprio da Karen Blixen de La mia Africa, ha dovuto chiudere a causa degli altissimi costi che dovevano affrontare e che, senza il turismo internazionale che normalmente il paese ospita annualmente, sarebbe stato impossibile da mantenere.
Oggi Kazuri ha dovuto ridurre drasticamente non solo gli spazi, i laboratori e il negozio dove si possono acquistare i loro bellissimi oggetti fatti a mano, ma anche la manodopera. Da più di 300 artigiane oggi Kazuri riesce ad offrire posti di lavoro solamente ad un centinaio di donne.
Potete immaginare quanto una scelta di questo genere possa essere altamente impattante sulla vita di una donna sola che versa già in condizioni di difficoltà. La perdita di un impiego sicuro porta moltissime donne a prostituirsi, a diventare raccoglitrici di plastica all’interno delle discariche e in generale dà inizio ad un circolo di povertà e precarietà da cui, in un paese come il Kenya, diventa molto difficile uscire. Specialmente per una donna.

Una storia che merita di essere ascoltata
Volevo visitare i loro laboratori da molto tempo e quando finalmente ci sono riuscita sono rimasta incredibilmente incantata dall’organizzazione meticolosa di tutti gli spazi: il magazzino di dimensioni claustrofobiche era letteralmente ricoperto di contenitori ricolmi di perline coloratissime di ceramica. Le donne sedute ciascuna alla propria postazione utilizzavano ancora strumenti di lavoro tradizionali di cui ignoravo completamente l’esistenza. I forni per la ceramica in continuo funzionamento ed infine il piccolo negozietto dove – se lo si desidera – si possono acquistare gli oggetti fatti a mano firmati Kazuri.
Un bellissimo modo non solo per sostenere questo gruppo di donne che con tenacia e non poche difficoltà portano avanti un progetto in cui credono per davvero; ma anche per apprezzare condividere l’arte kenyana in una sua tanto inaspettata quanto bellissima sfaccettatura.
I gioielli fatti interamente a mano dalle artigiane di Kazuri narrano una storia. Una storia che merita davvero di essere ascoltata.
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