D Come Donna, ascolto e cultura contro la violenza di genere

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

L’associazione conta su un numero telefonico per assistere le donne e su una serie di iniziative culturali per rendere le partecipanti più consapevoli. La presidente Ottavia Zerbi: “Socialità e condivisione sono fondamentali per creare una rete di protezione contro ogni discriminazione”

D Come Donna è nata ormai 33 anni fa: non siamo soltanto un centro antiviolenza, ma un’associazione dedicata alle donne cha ha mosso i suoi primi passi con un telefono di ascolto, quando non esistevano ancora molti numeri telefonici di aiuto alle donne. Insieme al servizio telefonico è stato allestito dalle fondatrici anche un luogo fisico dove le donne di Segrate, ma anche quelle di altri comuni vicini e lontani, potessero chiedere aiuto. Da quel seme con il tempo si è sviluppato un progetto che ruota attorno a una convinzione forte che ci accomuna: vogliamo aiutare le donne non soltanto intervenendo quando ne hanno bisogno con urgenza, ma creando spazi di socializzazione, possibilità d’incontro, di espressione della creatività e di partecipazione a momenti culturali. Per leggere, commentare e presentare libri, ma anche per approfondire temi di importanza sociale e più leggeri. In questo modo abbiamo l’ambizione di creare una rete e una serie di contatti tra le persone improntata alla fiducia reciproca, attraverso la quale sarà possibile prevenire le violenze prima che esplodano, e anche rendere le donne più consapevoli di sé stesse e di eventuali comportamenti violenti nei loro confronti”. A raccontare la storia e gli obiettivi di D Come Donna è Ottavia Zerbi, psicologa, psicoterapeuta e psicanalista, presidente dell’associazione che ha sede a Segrate, in provincia di Milano, e conta su una trentina di volontari e circa 120 soci.

Di cosa parliamo?

Ci racconta più nel dettaglio in cosa consistono le attività dell’associazione?

Ci muoviamo essenzialmente su due filoni. A partire dal dare aiuto sociale alle donne che ne hanno bisogno, attraverso uno spazio ascolto telefonico che mette a loro disposizione psicologi e avvocati, ma anche con una scuola di italiano per donne straniere, che oltre a insegnare la lingua ha l’obiettivo di aiutarle a socializzare. Poi abbiamo un servizio per la messa a fuoco del curriculum, per aiutare chi tra le nostre utenti scelga di affacciarsi sul mondo del lavoro. Accanto a questo ci sono anche una serie di servizi che hanno uno scopo più direttamente culturale: gruppi di lettura, presentazioni di libri, lezioni di ginnastica mentale, di difesa personale, corsi di teatro e pomeriggi creativi. Perché siamo convinti che più le donne riescono a socializzare e più diventano consapevoli di sé stesse, e questo le porta a non essere soggetti fragili. Tutte queste attività ci consentono di mantenere un rapporto molto stretto con il territorio, per fare in modo che la quotidianità della donna non debba intrappolarla in modelli maschiocentrici, in cui tutto si basa sui ritmi dell’uomo.

Come state affrontando questa fase di uscita dalla pandemia?

Il problema che abbiamo notato in questo momento di uscita dall’emergenza è la difficoltà delle persone di tornare a incontrarsi in quegli appuntamenti ed eventi che vogliono essere costruttivi, nuovi, più improntati alla cultura. Non registriamo la stessa difficoltà per gli incontri più familiari e più intimi, come quelli dei gruppi storici che fanno attività insieme da anni. Ma se passiamo a considerare gli eventi più aperti alla cittadinanza, oggi scontiamo una certa difficoltà a rivivere una vita sociale. Questo purtroppo crea un rischio di isolamento e di impoverimento sociale, che va a minare uno dei cardini della nostra azione. Se infatti ci occupiamo dei casi più gravi, estremi, siamo anche convinte che socializzare sia un antidoto fondamentale per prevenirli. L’aspetto culturale è fondamentale per la creazione di un tessuto che condivida i valori del rispetto della figura femminile e di quelle che vengono, con una brutta espressione, chiamate “fasce deboli”. Costruire questa modalità di contatto ci è costato più di 30 anni di lavoro, e non vogliamo fare passi indietro.

La prevenzione è forse più importante dell’aiuto diretto?

Senza fare scale di valori, io credo che sia estremamente importante. Si previene con i grandi momenti simbolici, come la giornata del 25 novembre, in cui si spiega quali sono i segnali da capire se si ha davanti un ragazzo o un uomo potenzialmente violento, e in cui rende ben visibile il fatto che esistono strutture che possano aiutare a uscire da queste spirali di violenza. Ma accanto a questo, ogni giorno, bisogna impegnarsi a costruire la consapevolezza della donna, che sappia di vivere in un luogo in cui ci sono persone attive per la costruzione di una quotidianità di valore e dignitosa. Ai grandi risultati si arriva anche dalle piccole cose, se si dimentica questo anche i grandi proclami faranno fatica ad arrivare a destinazione.

La consapevolezza è così difficile da raggiungere?

Per fare un esempio posso dire che da un recente sondaggio effettuato trai i giovani è emerso che per i ragazzi maschi è assolutamente normale controllare il cellulare della propria ragazza. E ci sono ancora moltissime donne che ritengono di dover accettare, o che minimizzano o che pensano di poter cambiare una situazione in cui subiscono violenza. Per rompere questi meccanismi, dal nostro punto di vista, è necessario percorrere tutte le strade, per scalfire meccanismi psicologici che si sono rivelati particolarmente difficili da aggredire in una società patriarcale e maschilista.

Cosa avete fatto per adattarvi alle caratteristiche di Segrate?

Il nostro è un territorio molto particolare, in cui abbiamo uno spaccato di due realtà molto diverse tra loro. Da parte parliamo di un centro dove il reddito pro-capite è in generale abbastanza alto, e dall’altra di una serie di realtà marginali di difficoltà legate anche alla povertà. Bene, in entrambi questi due ambienti sociali ci sono donne che hanno bisogno del nostro aiuto, e non c’è bisogno che le dica che avere una buona disponibilità economica non è un’assicurazione contro un compagno violento. Così siamo impegnate da una parte ad aiutare le donne più fragili anche a causa delle difficoltà economiche, attivando una serie di servizi pensati per le loro esigenze, e dall’altra mettiamo in campo anche iniziative a cui si rivolgono più spesso donne che hanno una buona capacità economica o una base culturale medio-alta, che hanno soprattutto bisogno di una rete d’ascolto, di supporto, di condivisione delle proprie esperienze.