La triste vita dei coccodrilli tenuti in cattività a Nairobi

Scritto da Gaia Dominici
Storyteller, vive nella savana in Kenya insieme a suo marito e a sua figlia raccontando la loro vita Maasai, portando il suo punto di vista su scelte di vita sostenibili

La mia esperienza al Mamba Village, un santuario dei coccodrilli che dovrebbe essere un polo di ricerca e conservazione per la specie, ma la realtà è ben diversa. E consigli pratici per evitare di finanziare strutture che non rispettano e salvaguardano il benessere degli animali selvatici

Quando si pensa al Kenya, la natura incontaminata e gli animali selvatici sono le prime cose che ci vengono in mente, nella convinzione che, grazie a quegli ampi spazi sconfinati di natura conservata ancora nel suo stato originario, gli animali possano ancora avere il diritto di abitarci senza essere infastiditi, cacciati o addirittura uccisi. Purtroppo, però, non è sempre così.

Negli ultimi anni il governo kenyano ha sensibilizzato l’opinione pubblica circa il problema dello sfruttamento della fauna selvatica (anche e soprattutto per motivi turistici), mettendo poi in atto delle vere e proprie battaglie contro il bracconaggio – benché non sfugga a chi scrive la contraddizione, da parte del Kenya, tra queste lodevoli iniziative e il commercio illegale di avorio intrattenuto con la Cina, che pure rimane il maggior finanziatore del Paese africano.

Di cosa parliamo?

Il Mamba Village

Insomma, nonostante le intenzioni più o meno serie del governo kenyano nella lotta contro lo sfruttamento degli animali selvatici, sul territorio ancora oggi ci sono realtà che non rispettano le linee guida del Kenya Wildlife Service.
Tra questi, purtroppo, vi è il Mamba Village, una sorta di santuario dei coccodrilli situato ai confini di Nairobi. In passato questo Centro era, o mirava a essere, uno dei centri più importanti del Paese per l’educazione ambientale e la conservazione della fauna selvatica; qualcosa è andato però decisamente storto. Mi sono recata personalmente in visita al Centro per constatare le condizioni degli animali che su internet, stando ad altri visitatori, venivano descritte come “deprecabili”, “imbarazzanti”, “prive di rispetto verso l’animale”.

Una volta arrivata al santuario, mi sono ritrovata davanti ad alcune pozze artificiali (più simili a un acquitrino sporco e abbandonato, che a vasche curate) in cui si trovavano, ammassati gli uni sugli altri, coccodrilli di diverse dimensioni con un aspetto molto poco sano. Non ero l’unica visitatrice lì presente e non appena qualche altro malcapitato turista si accostò alla vasca con gli esemplari più grandi, uno degli addetti prese in mano un enorme bastone di ferro, iniziando a sbatterlo sulla testa di uno dei coccodrilli dormienti più vicini alla staccionata.

«Lascialo stare, sta dormendo!», ha detto qualcuno in inglese nella piccola folla che si era creata.

«Faccio così perché apra la bocca e voi possiate vedere i denti», ha risposto tranquillo il ragazzo del Centro.

Quella fu la dimostrazione che quella pratica era usuale, che non era certo la prima volta che uno dei coccodrilli nella vasca veniva colpito con quel bastone di ferro, per la “gioia” dei turisti. Pur pensando di aver visto già abbastanza, decisi di proseguire la visita; a pochi passi di distanza da quel triste spettacolo, venni fermata da un’altra addetta del Centro. Misi a fuoco la scena davanti a me, rendendomi conto che in quella zona era possibile prendere in braccio i cuccioli di coccodrillo.

Non mi stancherò mai dirlo, di ripeterlo e di scriverlo: gli animali selvatici non si toccano. Non si possono e non si devono toccare. Nonostante l’opinione comune, gli animali selvatici non sono programmati per avere a che fare con noi umani. Per il bene dell’animale, è necessario che il contatto avvenga solo a distanza, magari tramite l’obiettivo di una macchina fotografica.

La visita si è conclusa rapidamente (e tristemente, aggiungerei) quando mi sono resa conto che, al di là di un piccolo lago artificiale, al centro del santuario, si trovavano alcuni struzzi e un cammello, totalmente abbandonati a loro stessi.

Non so quando luoghi come questo scompariranno dalla faccia della Terra. Non so nemmeno perché continuino a esistere, soprattutto in paesi come il Kenya dove gli animali vengono spesso tolti ingiustamente dai loro habitat naturali in cui, invece, potrebbero continuare a vivere indisturbati.

"Non ho risposte, ma ho un consiglio"

Evitate, in Kenya o in altri Paesi – Italia compresa – luoghi che, nonostante si propongano come centri di ricerca, di conservazione o protezione, poi vi concedono di avere contatti diretti con gli animali della fauna selvatica, accarezzandoli o nutrendoli. Se vi viene permessa almeno una di queste cose, rivolgetevi altrove. Gli animali selvatici hanno particolari esigenze che solo le strutture gestite da professionisti seri e competenti conoscono e soddisfano: date piuttosto a loro la vostra preferenza, il vostro tempo e (soprattutto) i soldi del vostro biglietto, evitando di foraggiare realtà che hanno a cuore tutto, tranne la salute degli animali che sostengono di proteggere.