Maldive in pericolo: salgono le acque dell’Oceano Indiano

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Nel 2100 il 77% della sua superficie potrebbe essere sommerso: così i cambiamenti climatici mettono a rischio una delle mete più amate dai turisti di tutto il mondo

L’innalzamento delle acque dell’Oceano Indiano mette in pericolo una delle mete più amate dai turisti di tutto il mondo, le Maldive. Si tratta di un arcipelago composto da 1.190 isole, tutte molto “basse” rispetto al livello del mare: l’altitudine massima che raggiungono, infatti, è di 2,3 metri rispetto all’acqua, ma la media è soltanto di 1,5 metri.
L’intera area, secondo l’allarme lanciato da Mother Nature Network, rientra tra quelle che i bambini nati nel 2020 rischiano di non vedere, o di vedere radicalmente trasformate nel corso del tempo, a causa dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo. Secondo le previsioni pubblicate dal sito statunitense, infatti, già nel 2100 il 77% della superficie delle isole potrebbe essere completamente sommerso dalle acque e diventare inabitabile per l’uomo; se si riveleranno fondate queste previsioni, si parla di un innalzamento che nell’arco dei prossimi 80 anni potrà variare tra i 10 e i 100 centimetri. E insieme alle Maldive l’allarme riguarda anche le Isole Marshall, Kiribati, Nauru, Isole Salomone, Tuvalu, Palau e Micronesia.

Di cosa parliamo?

L’appello all’Onu: popolazione a rischio

L’allarme per l’arcipelago delle Maldive, che si estende su una superficie di circa 300 chilometri quadrati, non riguarda in realtà soltanto i turisti, ma è una minaccia per la stessa popolazione dell’area. L’emergenza è arrivata anche sul tavolo del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a cui nel 2017 la Repubblica delle Maldive ha chiesto aiuto per trovare una soluzione: i suoi 420mila abitanti, infatti, potrebbero essere costretti a lasciare le proprie case. Una posizione rafforzata dalle dichiarazioni di Ahmed Sarir, ambasciatore del Paese all’Onu: “Il pericolo dell’aumento del livello del mare – aveva detto il diplomatico, che dal gennaio 2015 era anche presidente di turno dell’Aosis, l’Alliance of Small Island States – è drammaticamente reale e minaccia non solo le Maldive ma anche altre nazioni poco elevate. Se anche le previsioni si rivelassero troppo pessimistiche, c’è un certo consenso sul fatto che il livello del mare aumenterà di almeno 0,9 metri per la fine del secolo. Attualmente stiamo costruendo difese costiere per mitigare il pericolo, però abbiamo bisogno di maggiore appoggio”.

Il pericolo tsunami

L’area è inoltre notevolmente esposta al rischio tsunami: l’ultimo di grandi proporzioni, che si è verificato a dicembre del 2004, colpì in modo severo 57 isole dell’arcipelago, e richiese l’evacuazione della popolazione in 14 di queste, mentre 6 vennero completamente distrutte dalla forza delle acque. Danni gravi anche alle piccole isole adibite ad alberghi: 21 vennero devastate, con danni che sfiorarono il mezzo miliardo di dollari. Per attirare l’attenzione sul dramma del Paese l’allora premier Nasheed convocò un consiglio dei ministri subacqueo.

I danni all’arcipelago saranno gravi già nel 2030

Tra le ricerche più recenti sugli atolli a rischio, c’è quella pubblicata a metà 2018 dalla rivista Science Advances negli Usa, realizzata grazie alla collaborazione tra la Us Geological Survey, agenzia scientifica del governo degli Stati Uniti, la National Oceanic and Atmospheric Administration, agenzia federale Usa e un gruppo di ricercatori anche europei. Le aree più a rischio, secondo lo studio, sono Maldive, Seychelles, Hawaii e arcipelaghi più piccoli come le isole Cook, Caroline, Spratly, Line e Gilbert.
“Alcuni scenari, nella peggiore delle ipotesi, potrebbero già realizzarsi entro il 2030 – avvertono i ricercatori – per questo è importante dare priorità ai finanziamenti e agli sforzi per studiare e garantire il futuro di tante comunità insulari oggi minacciate”. Progressivamente, secondo le evidenze emerse dal report, da qui al 2050 gran parte di questi tesori naturali potrebbe diventare inabitabile.

I progetti per salvare le isole

Sulle evidenze dello studio pubblicato da Science Advances si è mosso il Massachusetts Institute of Technology, tramite il proprio centro di ricerca interdipartimentale sul design, il Self assembly Lab. Il progetto prevede la costruzione di un sistema di strutture subacquee che, sfruttando le correnti per creare accumuli di sabbia, è in grado di tutelare le coste dall’erosione e proteggere gli abitanti dall’innalzamento delle acque. Si tratta in pratica di barriere artificiali eco-sostenibili che possono essere adattate alle stagioni e alle correnti, evitando in questo modo barriere statiche e dragaggi per il ripascimento delle spiagge. Sulla base dei risultati dei test già in corso si deciderà se ampliare l’attività ed “esportare” il sistema in altre aree che corrono gli stessi rischi in tutto il mondo.