L’insostenibilità della narrazione dell’Africa nei media e canali social italiani

Scritto da Gaia Dominici
Storyteller, vive nella savana in Kenya insieme a suo marito e a sua figlia raccontando la loro vita Maasai, portando il suo punto di vista su scelte di vita sostenibili

La narrazione stereotipata del continente africano che viene fatta sui social può essere nociva per le comunità stesse che ci vivono. Sempre più attivisti e divulgatori africani oggi si battono per avere una narrazione più rispettosa, dignitosa e veritiera del loro continente

Benché io stessa lavori creando contenuti digitali sulle piattaforme social, capita spesso che sui social fruisca anche io dei contenuti prodotti e pubblicati da altre persone. È  stato così che mi sono resa sempre più conto di quanto pericolosa e nociva sia la narrazione del continente africano all’interno dei social in Italia. Narrazione che in realtà credo sia più una sorta di prolungamento di storytelling pubblicitario dei giornali e della televisione.

Africa uguale povertà.

Questa è l’unica equazione possibile, l’unica che sia accettabile per molti di noi. La domanda è: perché? E la risposta è altrettanto semplice: perché questo è ciò a cui siamo abituati. Immagini di bambini affamati e denutriti, di donne povere e padri violenti. Di società arretrate, selvagge e chi più ne ha più ne metta.

Di cosa parliamo?

Due modi di raccontare sui social

I social, dunque, potrebbero giocare un ruolo determinante in un cambio narrativo necessario. Perché se da una parte è vero che molte persone occidentali e privilegiate quasi ricercano quel tipo di narrazione del continente africano, dall’altro i social sono entrati a far parte delle vite anche di quei gruppi di minoranze etniche, da sempre fuori dalla voce della stampa internazionale. Trovo quindi che oggi si abbiano due fronti che però non finiscono mai davvero per fronteggiarsi: da un lato persone che vivono in luoghi privilegiati del globo e necessitano di una certa narrazione dell’Africa, dall’altro persone razializzate ed emarginate che finalmente, attraverso Instagram o TikTok, hanno ritrovato la loro voce e un loro modo per poter comunicare.

Sempre più attivisti e divulgatori africani o di origine africana oggi si battono per avere una narrazione più rispettosa, dignitosa e veritiera del loro continente eppure basta scorrere nei reels che il nostro feed ci propone per capire che queste voci, purtroppo, sono ancora molto inascoltate.

L’insostenibilità di narrazioni sbagliate

Selfie di influencer con bambini minorenni, video strappalacrime in cui il travel blogger di turno mostra “la vera povertà”. Tutta questa informazione non è solo sbagliata ma è anche nociva. Alimenta costantemente un’idea del tutto manipolata che le persone negli anni hanno costruito l’Africa. Ma la verità è che le persone, le comunità, sono stanche. Stanche di essere utilizzate come feticci da essere mostrati nella propria galleria social, stanche di essere disumanizzate per un scatto da qualche manciata di likes in più. Questa narrazione del continente africano sta diventando sempre più insostenibile, umanamente e giornalisticamente. C’è bisogno di una presa di coscienza di fenomeni quali “White savior syndrome”, “White supremacy”, “white fragility” e di un atto di ascolto verso le ormai numerose comunità BIPOC che chiedono maggiore rispetto verso le proprie tradizioni, i propri luoghi di culto, modi di vestire, di mangiare, di parlare.

In un mondo sociale e reale in cui tutto deve essere performance, si dovrebbe scegliere dove poggiare gli occhi con maggiore delicatezza e comprensione. Perché l’insostenibilità di questa narrazione non sarà sostenibile ancora per molto.