Nella regione del Tajikistan, manifestare in pubblico per l’ambiente non è permesso ma una giovane attivista ha trovato un modo per far sentire la voce di una generazione che chiede un cambiamento

Mentre Greta Thunberg sedeva fuori dal Parlamento svedese e Vanessa Nakate camminava per le strade di Kampala, Anisa Abibullaeva, giovane attivista di Dushanbe, in Tajikistan, Asia centrale, poteva manifestare per l’ambiente solo all’interno dei cortili della sua università.
Anisa è una giovane studentessa della University of Central Asia che ci ha raccontato la difficile situazione che vive nel suo paese. Ha parlato dell’emozione mai provata di manifestare lungo le strade della città e camminare a fianco di giovani che come lei vorrebbero combattere per un Pianeta più sostenibile. La sua università le ha accordato il permesso di preparare dei cartelloni e di sfilare, seppur simbolicamente, con altri giovani all’interno dei confini accademici: “Nel campus abbiamo deciso di unirci a Fridays for Future Movement, ogni venerdì sfiliamo con slogan diversi per la protezione dell’ambiente e sul cambiamento climatico – ci spiega la studentessa – ma possiamo farlo solo nel campus perché fuori dall’università non è consigliato farlo, ad esempio nel centro potrebbe essere pericoloso. Puoi avere problemi con la legge e le politiche se fai qualsiasi tipo di campagna.”

Di cosa parliamo?

La situazione in Asia centrale

Il Tagikistan, nell’Asia centrale, è una regione fortemente montuosa con una popolazione di 8,5 milioni e un’elevata vulnerabilità agli shock indotti dal repentino e recente mutamento climatico, come siccità, inondazioni, frane e altro ancora. Entro il 2050, si prevede che fino a un terzo dei ghiacciai in tutta l’Asia centrale scomparirà , aumentando drasticamente il rischio di improvvise inondazioni dovute alla fusione dei ghiacciai e all’esondazione dei laghi glaciali. Per il settore agricolo del Paese, che impiega il 60% della popolazione, disastri come questo sono particolarmente devastanti, poiché le reti di trasporto vitali vengono spazzate via, e spesso servono mesi o anni per ripristinarle.
Anisa Abibulloeva vive in uno dei Paesi dell’Asia Centrale più esposti al riscaldamento globale, ma qui gli scioperi per l’ambiente sono vietati all’aperto dal governo autoritario. Come altri paesi dell’Asia centrale, il Tagikistan vive una situazione politica particolare: il Paese è formalmente una Repubblica, ma il regime ha un impianto scarsamente democratico, che impedisce ai cittadini qualsiasi diritto di manifestazione a meno che questa sia volta all’adorazione del leader politico. Non solo, fenomeni quali la desertificazione, la crisi idrica e l’accesso alle risorse hanno reso ancora più precari gli equilibri politici tra i Paesi dello scacchiere centro asiatico. La regione centroasiatica a oggi risente delle conseguenze dell’eccessivo sfruttamento delle risorse attuato in epoca sovietica, ovvero i numerosi test nucleari eseguiti nella regione a partire degli anni Quaranta e la coltivazione intensiva del cotone, che ha provocato danni irreversibili al Mar Caspio e al Lago d’Aral. L’attivismo e la presa di coscienza ambientale fanno quindi i conti con una realtà dove la politica impedisce la manifestazione e la situazione economica detta alla popolazione altre priorità, come spiega Anisa: “Siamo un paese in via di sviluppo e considerando i problemi che le persone affrontano, a volte le questioni ambientali passano in secondo piano.”

Il problema dell’educazione all’ambiente

Esiste anche un reale problema di educazione proprio a partire dalla formazione scolastica: “L’educazione ambientale non viene realmente raccontata a scuola, all’università o agli asili – spiega Anisa – C’è una mancanza di argomenti di letteratura e istruzione, le persone se ne occupano sempre di più ma c’è molto di più da sviluppare”
Questo stato di cose in Tagikistan è riconosciuto anche a livello statale. Secondo il Programma globale statale per lo sviluppo dell’educazione ambientale della popolazione della Repubblica del Tagikistan per il periodo fino al 2020, un numero maggiore di reati nel campo dell’ecologia è associato a un basso livello di conoscenza ambientale e a una mancanza della cultura ambientale. Inoltre, il documento cita la «bassa formazione ambientale dei dirigenti e degli specialisti delle imprese industriali, le cui attività influiscono negativamente sullo stato dell’ambiente naturale».
Ci sono però altre ragioni che sottostanno alla profonda crisi climatica e ambientale del Paese. Si tratta di un rinascimento nero come il carbone, materia prima che è ancora al centro delle mire espansionistiche del governo. Anton Timoshenko, direttore dell’organizzazione ambientalista Little Earth chiarisce: “Fornire carbone alla popolazione rurale e produrre carbone su scala industriale sono due cose diverse. Ad esempio, i problemi energetici dei piccoli villaggi possono essere risolti con pochi passi e allo stesso tempo sviluppando fonti di energia rinnovabile locali. Ciò fornirà l’opportunità di affrontare le questioni relative al miglioramento delle condizioni di vita”. Secondo Idrisov, la situazione politica del Paese ha finito per inficiare anche il sistema educativo: “La scuola e l’università educano e preparano persone pronte a obbedire agli ordini delle autorità, e non persone che pensano criticamente e cittadini attivi anche nei confronti dell’ambiente”.

Il libro di Anisa

Proprio in tema di educazione, Anisa Abibulloeva ha realizzato e pubblicato in Tagikistan il primo  libro sull’educazione ambientale per bambini dai 5 ai 7 anni. Dopo la laurea triennale in economia e prima dell’inizio della magistrale, ha deciso di realizzare questo progetto: “Credo che parlare ai bambini di questi temi sia fondamentale, perché loro sono il nostro futuro. Se ripenso al passato, a quando ho cominciato a manifestare per il cambiamento climatico, sono molte le persone che in pochi anni si sono unite alla mia voce. È anche grazie a loro se oggi i bambini del nostro Paese possono avere questo primo strumento educativo, a cui ne seguiranno altri”. La giovane attivista continua: “In fondo non sono mai stata sola, anche quando ero nel cortile dell’Università. La mia voce si unisce a quelle di tutti i giovani che, in modo diverso, lottano per il nostro pianeta. Ora faremo in modo che l’eco di questa voce sia sempre più forte anche qui in Tagikistan”.
Per il futuro, Anisa crede in un cambiamento reale solo con un’azione decisa e senza tentennamenti: “Non scrivere documenti, non tenere riunioni, non condurre conferenze, ma solo iniziare ad agire. Le persone devono solo rendersi conto di quanto siano vulnerabili, come in Pakistan, dove un terzo del paese sarà sott’acqua. Il mondo ha bisogno di un grande cambiamento.

Ascolta il podcast: l'attivismo climatico in Asia Minore, all'interno dei confini accademici

“Vite che cambiano col clima”, è un format che racconta il cambiamento climatico attraverso 10 storie straordinarie, ideato da Sara Moraca, giornalista scientifica e ricercatrice, e curato da Sorgenia, la prima greentech energy company italiana.