Birra artigianale dal pane invenduto: a inventarla è la startup Biova project

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Franco Dipietro, founder della società di prodotti alimentari che seguono l’economia circolare insieme a Emanuela Barbano: “Puntiamo a realizzare un centro di recupero e una sede operativa in ogni Regione per combattere lo spreco alimentare”

Produrre birra dal pane invenduto, ma più in generale prodotti alimentari che seguono l’economia circolare, in un progetto che ha come obiettivo principale quello di combattere lo spreco alimentare. È il principio dal quale nasce a Torino Biova Project, la startup innovativa guidata da Franco Dipietro, ceo e cofounder insieme alla Chief financial officer Emanuela Barbano. A poco meno di due anni dalla nascita l’idea sta riscuotendo successo in due “nicchie” che si espandono velocemente, quella degli amanti della birra artigianale e quella delle persone impegnate nella sostenibilità ambientale e sociale. Tanto che accanto alla produzione di birra stanno nascendo altri progetti collegati, in attesa che si riesca a coprire tutto il territorio nazionale e – quando i tempi saranno maturi – a sbarcare anche all’estero. A raccontare questa esperienza nata sotto la stella della sostenibilità è proprio Franco Dipietro.

Di cosa parliamo?

Dipietro, come nasce l’idea di Biova project e come si è sviluppata nel tempo?

La fondazione risale al novembre 2019, e l’idea è arrivata da un percorso personale che ha portato me ed Emanuela a conoscere e frequentare il mondo delle onlus legate alla lotta allo spreco alimentare. È stata l’occasione per toccare con mano la dimensione di questo fenomeno nelle nostre città, che ha portato Emanuela a fondare un’associazione che ritira ciò che rimane dai catering aziendali e a ideare progetti per evitare che questi generi alimentari, che comunemente vengono definiti surplus o disavanzo, vadano sprecati.

E come siete arrivati da questa constatazione all’idea di produrre birra dal pane invenduto?

Biova project nasce da un passaggio successivo: abbiamo notato infatti che se alcuni alimenti vengono accettati tranquillamente e rapidamente, in regalo, dalle mense per persone in difficoltà o dagli asili notturni, per il pane la situazione è diversa. Spesso ci siamo trovati nella condizione di vedercene dare indietro grandi quantità, e di avere la difficoltà di riuscire a trovare qualcuno che lo accettasse anche per iniziative di solidarietà. Questo perché in circolazione purtroppo ce n’è fin troppo, anche nelle associazioni benefiche, che se lo accettassero tutto rischierebbero a loro volta di doverlo destinare alla spazzatura. Così abbiamo iniziato a pensare a un sistema capace di recuperare almeno in parte questi sprechi destinando il pane a nuove produzioni. Ci siamo accorti che la birra è un ottimo sistema per recuperare pane, e abbiamo siglato partnership che hanno coinvolto i grandi produttori e la grande distribuzione organizzata, oltre a un sistema commerciale capace di comunicare bene il prodotto che avevamo in mente. L’idea ha iniziato a decollare, e il nostro prodotto è stato accolto bene dal mercato.

Il passo successivo?

Da questa base siamo partiti per continuare nella ricerca e sviluppo su nuovi prodotti, e dagli scarti della nostra birrificazione, con lo stesso malto d’orzo e pane, abbiamo iniziato a produrre anche uno snack, che abbiamo battezzato con il nome di ri-snack. È un prodotto pensato per accompagnare la birra, e che si sposa bene con la nostra filosofia di economia circolare.

Che bilancio può trarre da questi primi due anni di attività?

Direi che siamo cresciuti, che siamo riusciti a prendere un po’ di quote di mercato, ma pensiamo ancora di essere soltanto all’inizio. Stiamo sviluppando un’idea che non esisteva, quella di un sistema di logistica di recupero, provando a mappare con attenzione il settore degli scarti alimentari, per contribuire a realizzare uno degli obiettivi dell’agenda 2030, con un utilizzo ridotto di materia prima vergine.

Quali sono le caratteristiche della birra che producete?

Sicuramente la birra, che fin dall’antichità era definita “pane liquido”, ne guadagna in termini di sapore. Il rilascio di sale dal pane durante la lavorazione, unito al sapore del lievito, dà alla birra una nota caratteristica di sapidità: è come se un po’ del sapore del pane venisse trasferito nella birra, e questo è molto apprezzato da consumatori, per i quali il fatto che il pane invenduto venga utilizzato per produrre birra non è un’idea strana.

Che obiettivi di sostenibilità riuscite a raggiungere in un anno?

Per noi l’impatto sociale è molto importante. I chili di pane che recuperiamo si trasformano in risparmi di spesa pubblica, di materie prime, di acqua, suolo e territorio, oltre che in risparmio di CO2 per il non trasporto del malto e per la non maltazione. Cerchiamo anche di facilitare l’impatto sociale reinvestendo in onlus che si occupano di lotta allo spreco alimentare e – ogni volta che è possibile – coinvolgendole nel processo di recupero. Oggi contiamo su un sistema di produzione diffuso con una capacità produttiva abbastanza alta, tanto da poter essere considerati un produttore medio-piccolo. Per rimanere alla domanda e sintetizzare gli obiettivi di circolarità raggiunti un anno, possiamo dire che la CO2 risparmiata dalla gestione dell’invenduto ammonta a 4.500 kg, a cui possiamo aggiungere i 5mila kg di CO2 risparmiata dalla riduzione del malto d’orzo. Il pane invenduto recuperato nell’arco di 365 giorni ammonta a circa 3mila kg, mentre nello stesso periodo siamo riusciti a donare 3mila euro a organizzazioni no profit. Il risparmio di spesa pubblica ammonta secondo i nostri calcoli a 1.076 euro, mentre siamo riusciti a riciclare 54,2 tonnellate di lattine e bottiglie.

Quanto ha impattato l’emergenza Covid sulla vostra fase di startup?

È stato un periodo duro dal punto di vista personale e professionale, ma mi pace pensare che un imprenditore deve sempre trovare il lato positivo per uscire dai momenti che sembrano più difficili. In questo caso il lato positivo è che il settore della grande distribuzione è stato impattato in maniera limitata dal lockdown, e che abbiamo cercato di utilizzare i mesi più difficili, quelli della primavera 2020, per accelerare la nostra presenza online e migliorare le nostre strategie.

In che consiste la possibilità di produrre birre in co-branding per i vostri partner?

Dal punto di vista commerciale teniamo traccia dell’origine del pane, quindi dando visibilità anche ai partner che aderiscono al nostro progetto.

Come sta rispondendo il mercato e come stanno rispondendo i consumatori?

Le prime persone che ci hanno concesso la loro attenzione seguono o seguivano già un percorso di sostenibilità. L’accoglienza di questa “nicchia” è stata buona, e ora contiamo sul fatto che ci troviamo su una fetta di mercato che si sta allargando e su cui la sensibilità in generale sta crescendo, fino a diventare lentamente di massa. Di sicuro non abbiamo i volumi per sfidare sul prezzo i grandi produttori, ma oggi tutte le statistiche dicono che il consumatore è pronto a spendere qualcosa in più pur di acquistare un prodotto sostenibile, e su questo non possiamo che confidare. Di sicuro per far conoscere il brand e per valorizzarne le caratteristiche di novità ci vorrà ancora del tempo, ma andiamo avanti con fiducia e forti dei buoni risultati che abbiamo già iniziato a ottenere.

Quali sono gli obiettivi che vi ponete per il futuro?

Il più importante degli obiettivi che ci poniamo come Biova Project è quello di riuscire a realizzare un centro di recupero e una sede operativa in ogni Regione italiana, per iniziare a raggiungere un livello nazionale. Una volta che saremo riusciti in quest’impresa, tutto il resto verrà di conseguenza, anche in termini di sviluppo di nuovi prodotti ed eventualmente per proporre la nostra idea anche fuori dall’Italia.
Parola d’ordine #beeragainstwaste