Flority Fair, la sfida di Giulia Giontella: e-commerce di fiori a km zero

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

La storia di un’imprenditrice che ha lasciato la carriera da avvocato tributarista per dedicarsi al rispetto della natura e il Km zero per la sua attività di fiorista

“Non nasco fiorista. Prima di dedicarmi a questa attività sono stata avvocato tributarista, e ho fatto un percorso professionale che mi ha portato a lungo all’estero. Ho lavorato tra Ginevra, Londra, il Kazakistan, il Portogallo e Parigi. In Italia siamo abituati a un Paese meraviglioso, legato alla bellezza, e nei luoghi in cui volta per volta mi trovavo a passare del tempo cercavo di fare il possibile per rendere meno anonimi gli appartamenti in cui vivevo. Il modo più naturale, non potendo mettermi a fare investimenti in arredamento, era di rendere più “casa” questi luoghi comprando grandi quantità di fiori: al supermercato come dai carretti per la strada. Questa presenza si è fatta strada nella mia vita fino a diventare l’oggetto delle mie riflessioni e concretizzarsi in un progetto imprenditoriale”. A parlare è Giulia Giontella, che nel 2014 ha fondato Flority Fair, sito di e-commerce dedicato esclusivamente alla vendita di fiori a Km zero, che nel tempo ha allargato la sua attività alla vendita di stabilizzati e sta diventando sempre più un riferimento – anche culturale – per proposte sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. In questa intervista Giulia ci spiega come è nata la sua decisione di cambiare vita, e quale messaggio vuole trasmettere con la sua attività.

Di cosa parliamo?

Giulia, ci racconta come è nata Flority Fair?

Tornata in Italia dopo molte esperienze all’estero, l’abitudine di circondarmi di fiori era rimasta. Devo dire che dal punto di vista economico era diventata una sorta di salasso, perché arrivavo a spendere anche 500/600 euro al mese. Ed era obbligatorio andare dal fiorista, dal momento che se cercavo su Google servizi di abbonamento online per la consegna di fiori a prezzi accessibili il motore di ricerca restituiva zero risultati. Dopo aver frequentato a lungo coetanei con cui condividevo la ricerca dell’idea giusta da cavalcare per il futuro, ha avuto la percezione che questa fosse la cosa che non era ancora stata fatta e di cui c’era bisogno. Così mi sono messa a studiare ed è nata una nuova missione.

Quali sono le considerazioni da cui è partita?

Mi sono resa conto che a livello di stagionalità il mondo dei fiori funziona proprio come quello alimentare. Ad esempio, le rose alle nostre latitudini fioriscono a maggio, e quindi dovremmo chiederci perché ne consumiamo in grandi quantità a San Valentino e da dove arrivano. La risposta è che dietro c’è un mercato incredibile, che in qualche modo ha tagliato fuori l’Italia da un comparto in cui era stata per secoli leader su scala internazionale. Parliamo degli anni Novanta, quando gli olandesi, che sono meno fortunati di noi e vivono in una paese freddo e meno predisposto del nostro alla coltivazione dei fiori, si sono ingegnati cercando di allargare il loro raggio d’azione tradizionale, quello dei tulipani, ad altre colture. Hanno delocalizzato, prima in Africa e poi in altri Paesi dove non ci sono normative stringenti in tema di smaltimento delle acque e dove la manodopera costa sensibilmente di meno che in Europa.

Qual è la proposition di Flority Fair di fronte a questa tendenza?

Noi puntiamo a rendere i fiori accessibili per tutti, e siamo attenti al fatto che provengano dalla stessa terra in cui vengono coltivate le zucchine e le patate, e non da coltivazioni intensive. La missione è quella di rieducare le persone al bello e alla sostenibilità, a vivere in un contesto gradevole rispettando la stagionalità. La nostra proposta va oltre la pura logica commerciale: ad esempio organizziamo corsi, rivolti anche ai bambini. Partendo dal fatto che ci sono cose che non potremmo non sapere e che pure ignoriamo. Fino a poco tempo fa, ad esempio, non avrei saputo rispondere a chi mi avesse chiesto cos’è il solidago, eppure è un bellissimo fiore che cresce sulle nostre terre da millenni.

Chi sono i clienti principali? E quale direzione sta prendendo Flority Fair?

I principali clienti nel mio caso sono donne. Inizialmente questo mi ha stupito, perché il fiore abbellisce gli spazi in cui tutti viviamo o dove lavoriamo, ma in una società maschilista come la nostra il compito di pensare a questi aspetti è delegato quasi esclusivamente alle donne. Le più promettenti sono quelle dei matrimoni sostenibili e degli stabilizzati. Nel primo caso parliamo di cerimonie in cui gli sposi hanno piacere che le decorazioni floreali siano pensate proprio tenendo come punto fermo la sostenibilità. Nel caso degli stabilizzati parliamo invece di piante che hanno l’unico scopo di decorare un ambiente dove però le persone non hanno il tempo, il modo o la voglia di prendersene cura. Quindi piante e foglie vere, alle quali viene levata l’acqua e sostituita con la glicerina. L’effetto estetico rimane inalterato, ma non hanno bisogno di cure e possono essere tenute in ambienti chiusi.

Ha in programma di allargare il suo raggio d’azione?

Oggi dal Lazio arrivo a servirmi da produttori che vanno dall’alta Campania alla bassa Toscana. Quanto alla crescita dell’azienda, avevo ricevuto diverse proposte da investitori proprio a cavallo dell’emergenza Covid-19, e proprio la pandemia è stata uno scoglio insormontabile in quel momento. Poi ho deciso di provare con il crowdfunding, finalizzato all’espansione a Milano e al Sud, ma in quel caso l’iniziativa ha coinciso con la seconda ondata di Covid, e siamo stati costretti a tirare i remi in barca. Così mi sono detta che non era ancora arrivato il momento di mettere il turbo. Nella difficoltà di quel periodo la mia forza è stata di essere un’azienda solida, sana, che è stata anche in grado di ridimensionare la struttura interna senza mai licenziare nessuno.

È soddisfatta di aver messo da parte una carriera da avvocato per questa scelta?

Mi capita anche di rimpiangere quei tempi, a volte: la verità è che si fa una scelta del genere soltanto se ci si crede fino in fondo, non è mai una decisione facile, ma è una decisione che può fare la differenza. Mi piace pensare che la mia scelta sia stata il risultato di un processo evolutivo in cui mi sono trovata, che è arrivata e non mi ha dato la possibilità di tirarmi indietro. E al di là del fatto che lavoro anche 14 ore al giorno e che la convenienza economica rispetto al passato non è così lampante, devo anche dire che non ho mai ricevuto così tante soddisfazioni nella mia vita quanto quelle degli ultimi anni. L’importante non è il titolo di studio, ma l’atteggiamento, l’approccio al lavoro, la capacità di trasmettere energia e positività nonostante le difficoltà di gestire un’azienda. I piccoli imprenditori italiani dal mio punto di vista sono gli eroi della nostra era, perché devono affrontare costi proibitivi anche soltanto per assumere una persona.