Change The Game, ecco l’app per prevenire abusi e violenza nello sport

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

La presidente dell’associazione, Daniela Simonetti: “Con la nostra applicazione vogliamo aiutare i bambini a esprimere un potenziale disagio, per prevenire che comportamenti sbagliati sfocino in situazioni più gravi”

Combattere gli abusi e le violenze di natura emotiva, fisica e sessuale nello sport, offrendo assistenza legale e supporto terapeutico alle vittime, contribuendo con azioni concrete a favorire una svolta culturale che metta al primo posto il benessere psicofisico dell’atleta di ogni età. Sono questi i principi sui quali nel 2018 è stata fondata l’associazione ChangeTheGame, la prima di questo genere in Italia. A dare vita all’iniziativa Daniela Simonetti, giornalista e saggista, presidente dell’associazione, e Alessandra Marzari, presidente del Consorzio Vero Volley, su ispirazione di Paola Pendino, magistrato del tribunale di Milano. Tra i testimonial dell’associazione l’ex difensore centrale del Milan Filippo Galli, il campione di canottaggio Edoardo Verzotti e la medaglia d’oro olimpica di scherma Matteo Tagliariol.

L’ultima iniziativa di ChangeTheGame – insieme alla Fondazione Snaitech e al Consorzio Vero Volley – è la creazione di un’app gratuita, appena presentata al pubblico e scaricabile da Google Play e App Store, che si pone l’obiettivo di mettere a disposizione di giovanissimi e giovanissime un percorso di consapevolezza per riconoscere disagio e malessere, spesso conseguenza di comportamenti scorretti e inappropriati all’interno del contesto sportivo, in modo da affrontarli prima che sfocino in abusi e violenza. A raccontare la storia dell’associazione e i suoi piani per il futuro è proprio la presidente Simonetti.

Di cosa parliamo?

Daniela, ci racconta meglio come nasce Change The Game? 

L’associazione è nata alcuni anni fa, quando il tema degli abusi e delle violenze nello sport era un tabù. L’obiettivo è stato dall’inizio quello di aiutare a comprendere la dinamica della violenza nei contesti sportivi, un tipo di violenza fortemente accettata e normalizzata. Inoltre, lo sport è particolarmente a rischio, per via delle aree comuni, come lo spogliatoio, delle trasferte, degli allenamenti, dei passaggi in macchina, delle chat. Inoltre, la competitività esasperata, precoce, favorisce alcuni comportamenti inappropriati, spesso crudeli ma difficili da riconoscere e denunciare. Manca una formazione tesa ad approfondire alcuni temi che riguardano il rapporto corretto tra il tecnico e l’allievo o allieva. Ad esempio, all’interno di una presunta relazione sentimentale, il consenso del minore è sempre nullo quando l’adulto coincide con una figura di potere o di garanzia, come l’allenatore. Molte giovanissime ci hanno scritto raccontando di relazioni da loro definite sentimentali ma in realtà abusanti.

Quale era il filo conduttore di questi messaggi?

Ci è sembrato chiaro fin dall’inizio che in troppi, nel mondo dello sport, non si rendessero conto della gravità di alcune situazioni accettate nell’ambiente con indifferenza, considerate assolutamente normali. Inoltre, i metodi di allenamento spesso sono aggressivi e controproducenti.

Quella che viene definita disciplina sconfina nell’abuso vero e proprio.

4 bambini su 10 subiscono almeno una forma di violenza.

Come siete passati all’azione?

Una delle nostre prime attività, una volta data vita all’associazione, è stata la realizzazione di una ricerca su un campione di 1500 sportivi, sostenuta anche dal Governo, che ha dato risultati molto preoccupanti: quattro bambini su dieci subiscono almeno una forma di violenza. Abbiamo quindi colmato una lacuna, quella di non avere dati disponibili, al contrario di quanto accadeva negli Stati Uniti e in Europa. Precedentemente avevo scritto un libro inchiesta – Impunità di Gregge – di cui si è parlato molto e che ha acceso i riflettori su questi temi, suscitando tanta attenzione anche a livello istituzionale.

Quali sono le evidenze principali dello studio che avete promosso?

Abbiamo raccolto tante informazioni, sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo. Il quadro che emerge è preoccupante, i bambini possono subire più di una forma di violenza contemporaneamente e le conseguenze sono gravi per la loro salute e il loro benessere. Quasi il 60% delle vittime non chiede aiuto per timore di ripercussioni sulla propria vita sportiva, per paura di apparire deboli, anche perché non sa a chi rivolgersi. Spesso, inoltre, la violenza viene“normalizzata, questo significa che le stesse vittime faticano a riconoscerla. Il punto principale che vorremmo affermare, valido per tutti, è che le condotte violente non portano a niente. In troppi sono convinti che metodi aggressivi e violenti siano indispensabili per vincere. In realtà, non ci sono controprove perché chi è convinto della bontà di tali metodi probabilmente non ne conosce e non ne ha sperimentato altri.

La questione diventa particolarmente delicata quando si parla di bambini…

Uno dei nostri obiettivi è quello di permettere ai bambini di fare sport in un ambiente sano, perché possano sentirsi felici e non debbano sperimentare nessuna forma di disagio. Tuttavia, in caso opposto, vogliamo aiutarli a esprimersi, perché questa è la prima azione da compiere per prevenire abusi più gravi.  In generale, penso che l’attenzione dello sport sia rivolta eccessivamente al risultato e poco alla persona. I valori, il divertimento, la crescita sono stati accantonati, proclamati ma difficilmente applicati. A volte, anche in tenera età, si radica il principio che se arrivi secondo, non sei nessuno.

Come ha reagito il mondo dello sport alle vostre denunce?

All’inizio con fastidio, tentando di minimizzare. Nel tempo, di fronte all’evidenza, qualcosa è cambiato ma non abbastanza. Anche la legge – il dl 36/21 – istituisce la figura dei safeguarder ma non dice con sufficiente chiarezza quali caratteristiche o quale formazione debba avere. La formazione diretta a tecnici, atleti e anche alle famiglie, non da’ al momento risposte esaurienti e innovative. Nello sport manca una classe dirigente nuova, giovane, che sappia farsi carico anche di questi temi. E mi dispiace constatare che troppo spesso l’ambiente sportivo non è allineato ai grandi progressi in tema di diritti fatti dalla società civile.

Come considera, in questo panorama, il fatto che spesso nello sport ci si trovi davanti alla violenza fatta da donne contro altre donne?

È uno dei dati che più mi ha colpito. Vedere le donne contro altre donne è il risultato di una cultura sportiva tossica, vecchia, superata dai fatti e dalla storia. Mi chiedo che valore abbia una medaglia se conquistata in un modo discutibile, calpestando i diritti dell’atleta soprattutto se minore. Il problema, credo, non è se chi abusa sia uomo o donna, ma che questa persona abbia raccolto ed ereditato una mentalità, un modello sbagliato, forse sperimentandolo anche su sé stessa.

Parliamo invece delle reazioni positive alla vostra sensibilizzazione

Con il passare del tempo si sta creando un circolo virtuoso. Mi trovo spesso di fronte ad ambienti sensibili e favorevoli al cambiamento. Sono da alcuni anni nella commissione tutela minori della FIGC, e sono molto soddisfatta del fatto che si sia messo nero su bianco che certi metodi non sono più accettati, né consentiti. Lo sport deve essere un modello educativo, un luogo di affermazione di diritti e di rispetto.

Ci racconta come funziona la vostra nuova app?

La nostra app è e resterà gratuita. E vuole essere il primo step di un progetto più ampio per la prevenzione di abusi e violenze nello sport. L’app prevede tre fasce di età, la prima è riservata agli under 14 con un percorso di consapevolezza attraverso il gioco, dando cioè ai bambini le ‘parole per dirlo’. Vogliamo che passi il principio che è importante parlare quando c’è un problema, perché la voce dei bambini e dei ragazzi deve contare. Bisogna riaffermare il diritto a divertirsi, il diritto a essere ascoltati, il diritto a essere rispettati. Inoltre, con garbo vogliamo che i bambini riconoscano il limite da non superare quando si parla del proprio corpo. Con il tempo inizieremo ad aggiungere una serie di podcast e contenuti brevi e pratici per i ragazzi e le loro famiglie, mostrando anche il bello dello sport con storie dei campioni raccontate in un minuto. Infine, ci sarà una sezione sullo sport con news e aggiornamenti per avvicinare i bambini allo sport e coltivare la loro passione.

Come funziona il “pulsante d’allarme”?

È un pulsante attraverso il quale i ragazzi potranno mandare un SOS ai loro contatti di emergenza nel momento in cui dovessero trovarsi in difficoltà. Il pulsante però non serve soltanto a denunciare, ma anche ad aiutare i ragazzi a verbalizzare un possibile disagio. Ogni segnalazione arriva anche al desktop dell’Associazione che si accerta che la richiesta di aiuto non cada mai nel vuoto.