Ghiacciai in ritirata: attenzione alle risorse idriche

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Il geologo Bertolo: “Certe dinamiche non si possono arrestare in tempi brevi, ma bisogna sapersi adattare ed essere più responsabili. E nel tempo azzerare le emissioni da combustibili fossili”

Tra l’estate e l’autunno si sono accesi i riflettori sulla situazione “difficile”, a tratti drammatica, che stanno vivendo i ghiacciai alpini. Sia sul versante francese, sia su quello svizzero, sia su quello italiano. I paesaggi a cui siamo abituati rischiano di scomparire, e si verificano situazioni che potrebbero creare rischi per la popolazione. Come è successo per il ghiacciaio del Planpincieux, di cui una parte importante ha iniziato a “scivolare” pericolosamente verso valle a una velocità più sostenuta di quella considerata “normale”.
Poi con i mesi freddi l’emergenza si è ridimensionata, ma potrebbe tornare all’ordine del giorno nei prossimi mesi con l’arrivo della primavera e dell’estate. A spiegare cosa sta succedendo è Davide Bertolo, dirigente della struttura attività geologiche della Regione Valle D’Aosta: “I ghiacciai che nelle Alpi si trovano alle altitudini del Planpincieux, quindi relativamente basse, sono normalmente soggetti a movimenti: ‘fluiscono’ con velocità che normalmente dipendono dalla pendenza, dall’altitudine e dalla temperatura”.

Di cosa parliamo?

A cosa è dovuta l’accelerazione dell’estate scorsa?

Ogni ghiacciaio non aderisce direttamente alla roccia, ma è appoggiato su un sottilissimo velo di acqua, dal momento che il ghiaccio fonde alla base a causa del peso. Quando la temperatura aumenta sensibilmente, come è successo la scorsa estate, possono esserci accelerazioni di questo scivolamento. Nel caso specifico del Planpincieux poi il fenomeno si è acuito a causa del fatto che un settore frontale del ghiacciaio si è staccato dal resto del corpo.

Che dati arrivano dai monitoraggi?

Le rilevazioni vengono effettuate dalla fondazione Montagna Sicura, e la fase emergenziale si è chiusa con l’arrivo dei primi freddi invernali, con un rallentamento deciso del ghiacciaio. In ogni caso con gli eventi dei mesi scorsi le autorità avevano predisposto un piano di emergenza, che potrà tornare utile se si dovessero ripresentare quelle condizioni. Ma non si tratta di un fenomeno scontato, perché dipende da un insieme di concause di cui la temperatura è soltanto uno dei fattori, anche se molto importante. Ad esempio un crollo improvviso ma limitato potrebbe per assurdo far rientrare definitivamente l’emergenza.

Di fatto però l’estate scorsa una serie di manifestazioni avevano suonato il requiem per i ghiacciai alpini. Siamo davvero di fronte a uno scenario del genere?

Se guardiamo le foto di come erano i ghiacciai agli inizi del novecento o a metà dell’800 possiamo verificare come il paesaggio si sia già notevolmente modificato. E non si tratta di un fenomeno di per sé per forza negativo o da cui non ci sia via di ritorno. Ad esempio, i ghiacciai erano già spariti nelle Alpi nel tardo medioevo e all’inizio del rinascimento. I ghiacciai sono ‘creature’ dinamiche del paesaggio, in un certo senso ‘vive’. Per il futuro il trend dell’arretramento si potrebbe anche invertire, anche se per adesso non ci sono segnali che vadano in questo senso.

Quali sono i problemi che possono nascere da questi cambiamenti?

I problemi sono quelli che riguardano l’interazione di questi fenomeni con la società, e si declinano su tre assi principali. Il primo è che arretrando i ghiacciai possono diventare fonti di rischio: bisogna sempre tenere presente che si tratta di unità dinamiche da monitorare costantemente.

Il secondo è che i ghiacciai rappresentano le ultime riserve di acqua pulita che ci sono sulle Alpi, e il loro venir meno potrebbe causare problemi: questo vuol dire che per il futuro bisognerà stare molto attenti all’utilizzo che si fa dell’acqua, in termini quantitativi e qualitativi. Su questo ad esempio Valle D’Aosta e Piemonte si stanno già muovendo, insieme anche agli studiosi svizzeri, con un progetto europeo, “Reservaqua”. Si tratta di uno studio della capacità di riserva idrica dell’area montana tra il Monte Rosa e il Monte Bianco, per valutarne le potenzialità di sfruttamento, per ridurre gli sprechi, e per proteggere le riserve dall’eventuale inquinamento.

Manca il terzo ordine di problemi…

Si tratta del paesaggio. I ghiacciai sono una componente del paesaggio che è bella da vedere. Il turista quando va in montagna cerca certi panorami e certi paesaggi, e indubbiamente sarebbe un problema doverne fare a meno.

Passiamo alle soluzioni: cosa si può fare per scongiurare la scomparsa dei ghiacciai?

Siamo di fronte a un fenomeno contro cui l’uomo nel breve termine non può fare molto, tranne che adottare strategie di adattamento e mettere a punto le possibili contromisure.

Quanto è legato questo fenomeno al riscaldamento globale e alle emissioni di gas serra?

Su questo ho una mia visione molto personale: se abbattimento dei gas serra vuol dire eliminare le emissioni dovute ai combustibili fossili come il carbone o il petrolio, possiamo dire che le tecnologie stanno diventando mature e vanno portate avanti, anche per limitare gli effetti negativi sulla salute delle persone. Scelte di questo genere obbligano a un grande progetto di riconversione, e vanno implementate con progressività. Poi c’è quello che si può fare da subito, perché anche evitando le emissioni a più alto impatto sull’ambiente saremo chiamati a implementare misure di adattamento ai cambiamenti climatici che sono già in corso. Questo non significa ridurre il tenore di vita, ma semplicemente essere più attenti a un utilizzo responsabile delle risorse che abbiamo a disposizione.

Proprio nei giorni scorsi si è verificata una frana dal Mont Chetif, vicino a Courmayeur. Un altro fenomeno dovuto al cambiamento climatico?

È stato un crollo di roccia che ha impattato su un terreno già saturo d’acqua. Un legame diretto con il climate change in questo caso non sarei in grado di stabilirlo, ma di sicuro il crollo è legato alle condizioni meteorologiche degli ultimi giorni, caratterizzate da temperature estremamente alte. La fusione del manto nevoso ha fatto sì che questo masso si sia staccato con il freddo della notte: l’acqua che si infiltra nelle fessure della roccia, probabilmente, gelandosi si è dilatata contribuendo a causare il distacco. Di solito in questo periodo l’attenzione è sulle valanghe, ma da tre o quattro anni registriamo inverni più miti da cui possono derivare questo genere di eventi.