Blue economy: l’Italia terza in Europa per ricchezza prodotta

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

L’economia del Mare è per il nostro Paese un settore che dà lavoro a circa un milione di persone, e che rappresenta un cardine per un futuro improntato alla sostenibilità. Unioncamere: “Volano imprescindibile per la crescita economica”

L’economia del mare è importante per la sostenibilità ambientale quanto la tutela delle foreste: infatti gli oceani assorbono una quantità di anidride carbonica paragonabile a quella dei grandi polmoni verdi della Terra, e la loro salute è fondamentale per la sopravvivenza del pianeta. Al di là degli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, poi, il mare rappresenta anche una importante risorsa economica per i territori, soprattutto in un Paese come l’Italia, una penisola al centro del Mediterraneo. Come ogni risorsa naturale, però, le acque vanno tutelate da un eccessivo sfruttamento, che ne causerebbe un impoverimento e quindi danni gravi a livello naturalistico e per l’uomo.

A spiegare quanto la blue economy sia centrale per la sostenibilità economica possono bastare i dati resi pubblici recentemente durante gli Stati Generali delle Camere di Commercio sull’economia del mare, organizzati da Unioncamere in collaborazione con Assonautica Italiana e Blue Forum. Il valore aggiunto portato dalla blue economy sarebbe infatti di 150 miliardi di euro, e l’Italia sarebbe la terza regione in Europa per la ricchezza prodotta da questo comparto, dopo Spagna e Germania.

Di cosa parliamo?

Oltre 220mila imprese in Italia

“L’economia del mare, soprattutto in un Paese come il nostro con oltre 7mila km di coste – spiega Andrea Prete, presidente di Unioncamere – rappresenta un volano imprescindibile per la crescita economica. Nel settore operano oltre 220 mila aziende che danno lavoro a quasi un milione di occupati. Oltre 21mila le imprese capitanate da giovani, pari al 9,4% delle imprese blu, contro l’8,9% dell’intero tessuto imprenditoriale nazionale”.

Al Sud quali la metà dei protagonisti della blue economy

Secondo Gaetano Esposito, direttore del centro studi Guglielmo Tagliacarne, “la ricchezza prodotta dalla Blue Economy porta a quasi 56 miliardi di euro il valore aggiunto generato dalle oltre 220mila imprese del settore. La blue economy è una filiera costituita da diverse componenti, dall’ittica alla cantieristica e nautica, e capovolge le dinamiche territoriali del Paese: il 47,9% delle imprese, quasi la metà del totale nazionale, più di 107.500 aziende, si trova al Sud, un altro 26,2% al Centro (58.755), mentre si attesta al 14,8% la quota del Nord Est e all’11,2% la quota del Nord Ovest”.

Cos’è la bue economy

Il termine “Blue Economy” ricalca quello di “Green economy”: se l’economia verde è quella che consentirà di rendere più sostenibili dal punto di vista ambientale comparti come l’energia e i trasporti, guardando al rispetto dell’ambiente sulla terraferma, la Blue Economy è la trasposizione dello stesso concetto ma riferito all’acqua e agli oceani, prendendo quindi in considerazione la sostenibilità applicata alla pesca e alla salute dei pesci e dell’ambiente marino in generale, oltre che alle aree costiere del pianeta.

La blue economy è però un concetto relativamente più giovane rispetto a quello della green economy, e per questo non esiste ancora un’unica definizione che la descriva compiutamente. Si va dall’uso sostenibile “delle risorse oceaniche per la crescita economica, il miglioramento dei mezzi di sussistenza e l’occupazione, preservando la salute degli oceani”, secondo la formulazione della Banca mondiale, all’insieme dei settori economici e delle politiche che li riguardano secondo la vision delle Nazioni Unite, che inserisce la Blue Economy tra gli obiettivi dell’Agenda 2030. Per arrivare fino alla Commissione Ue, che definisce la Blue economy come l’insieme delle industrie e dei settori legati agli oceani, ai mari e alle coste.

L’attenzione alla sostenibilità

Come nel caso della green economy, anche la blue economy ha tra le proprie priorità quella di innescare un circolo virtuoso che sia in grado di coniugare la crescita economica con la sostenibilità. Parliamo ad esempio di sostenibilità ambientale, dove non coniugare la crescita economica con il rispetto dell’ambiente porterebbe al disastro e metterebbe a rischio il benessere delle generazioni future, danneggiando in modo irreparabile gli ecosistemi marini. Per questo la Blue economy arriva a toccare e a investire del concetto di sostenibilità tutte le attività che si svolgono in mare e nelle aree costiere, a partire dalla pesca per passare dal turismo e anche dalle attività di trasporto e da quelle portuali. Lo stesso vale per la sostenibilità sociale, che consiste essenzialmente nel garantire i diritti a tutte le persone che a vario titolo lavorano nel comparto, tra gli addetti alla pesca e agli allevamenti alle persone che fanno parte dell’industria dell’accoglienza e del turismo, soltanto per fare due esempi.

Anche in questo caso una ricetta da sviluppare è quella della tutela della biodiversità e il contenimento delle emissioni di gas serra. Occorre attuare, quindi un modello economico rivolto alla tutela della biodiversità e alla riduzione delle emissioni. Stando infatti ai dati pubblicati dall’High Level Panel for a Sustainable Ocean Economy, se si mettessero in pratica politiche dedicate sarebbe possibile ridurre le emissioni globali di gas serra di 4 miliardi di tonnellate entro il 2030, che diventerebbero più di 11 miliardi se si prendesse come traguardo il 2050.

Un’innovazione della blue economy

Una delle innovazioni che potrebbero essere decisive per tutelare i mari, oltre alla decarbonizzazione dei trasporti, potrebbe essere l’applicazione alla blue economy dei principi dell’economia circolare: parliamo ad esempio dell’utilizzo nelle attività legate al mare di attrezzature che non siano di origine petrolchimica e le cui componenti possano essere riparate, riutilizzare e infine riciclate, fino all’adozione di tutte le pratiche utili per l’abbattimento della CO2 generata dalle attività portuali.