Perché parliamo di questa specie?
Prevenire è meglio che curare.
Seguendo questo detto, è bene rimarcare il caso del pino marittimo, una specie a tutti familiare, e per questo data per scontata, che oggi tuttavia si trova a fare i conti con il diffondersi sempre più ingente di un certo parassita, potenzialmente epidemico. Per la conservazione della specie e la valorizzazione del suo rapporto millenario con l’uomo, capiamo insieme come riconoscerla e come notare i segni della presenza del suo patogeno.
Pronti, via!
INDICE DEI CONTENUTI
Identikit
Nomi comuni: pino marittimo
Nome scientifico: Pinus pinaster
Caratteristiche fisiche: questa specie di pino, capace di raggiungere in certi casi anche dimensioni notevoli (fino a 35 m di altezza), presenta un portamento decisamente slanciato, frutto della combinazione di un tronco grigiastro piuttosto esile, e di una chioma verdastra disordinata e poco fitta: questi fattori, quando moltiplicati in una pineta, permettono la crescita di un sottobosco più ricco e variegato di quello offerto da un raggruppamento di pari dimensioni di pino domestico (Pinus pinea), cugino più imponente del precedente e dotato di una caratteristica chioma ‘a fungo’. A differenza del domestico, il marittimo non produce i classici pinoli, ma semi piccoli e alati non commestibili per l’uomo.
Caratteristiche comportamentali: grazie alla mano dell’uomo questa pianta è stata in grado di diffondersi ben oltre il proprio areale d’origine, ma questo non sminuisce alcuni fattori intrinseci. Tra i principali segreti del suo successo ecologico vi sono infatti la fertilità e la forma dei semi, che muniti di ‘ali’ (esili e leggere membrane legnose), son capaci di farsi trasportare per lunghe distanze trascinati dal vento, attraverso il cosiddetto fenomeno dell’anemocoria.
Habitat d'elezione
In origine il pino marittimo era confinato soprattutto sulle coste atlantiche di Marocco, Penisola Iberica e Francia meridionale, ma già in tempi storici i romani cominciarono a promuovere la sua coltivazione in tutto l’Impero, perché molto veloce e quindi redditizia. Le radici della sua presenza in Italia sono quindi dubbie, ma quel che è certo è che per molti secoli la sua presenza sia rimasta limitata quasi esclusivamente al versante tirrenico, meno soggetto a gelate di quello adriatico.
Rapporto con l'uomo e stato di conservazione
Seppur diffuso largamente in varie parti del mondo, e spesso con lo status di specie invasiva, attualmente questo pino si trova alle prese con l’esplosione delle popolazioni di un particolare parassita, normalmente incapace di arrecare danni ingenti nell’areale d’origine, ma eccezionalmente prolifico in aree come Liguria, Toscana e resto della costa tirrenica: parliamo della cocciniglia del pino marittimo (Matsucoccus feytaudi), piccolissimo insetto invisibile all’occhio, la cui presenza si rende manifesta solo sotto forma di grandi porzioni di pianta rinsecchite, non più vitali: queste diventano a loro volta porta d’ingresso per altri patogeni, che si rivelano infine decisivi per la morte della pianta.
Cosa possiamo fare noi?
Se camminando in pineta o in un grande viale alberato notiamo esemplari particolarmente deperiti, o anche con porzioni della chioma rosso/giallastre inframezzate ad altre ancora verdi, potremmo essere al cospetto di un pino marittimo alla prese con la cocciniglia. Quello che possiamo fare in questi casi è segnalare prontamente e con precisione la posizione dell’esemplare al Servizio Fitosanitario Regionale (SFR) di competenza, in modo tale da sollecitare un pronto intervento e scongiurare il diffondersi di un’eventuale epidemia locale.
Curiosità e approfondimenti
Incidendo sulla corteccia un piccolo rettangolo poco profondo e perpendicolare al terreno, gli europei per secoli hanno potuto raccogliere dal pino marittimo un particolare essudato, utile per fabbricare pece, unguenti, oli essenziali, solventi, profumi e trementina: è la resina, il viscoso liquido vegetale responsabile, tra le altre cose, anche della perfetta conservazione di molti organismi del passato: l’ambra infatti non è nient’altro che la sua forma fossile.
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