Auto elettriche, l’Europa scommette sulle batterie green
Scritto da
Antonello Salerno
Giornalista
Silvia Bodoardo, docente del Politecnico di Torino: “Sulla comunicazione c’è ancora molto da fare, ma lavoriamo su tecnologie sostenibili che puntano a sistemi riciclabili al 100% anche per il litio. Questo garantirà la sostenibilità della filiera delle batterie in Europa”
Sulle auto elettriche e sulle batterie che le alimentano circolano una serie di luoghi comuni difficili da sradicare, che spesso contribuiscono a frenarne l’adozione, fino ad alimentare il sospetto che si tratti di veicoli e di tecnologie che potrebbero addirittura essere più inquinanti dei mezzi tradizionali con motori a scoppio. A spiegare cosa c’è di vero e soprattutto cosa c’è di falso in queste convinzioni – dal pericolo di esplosione delle batterie al timore che durino poco o che perdano le proprie prestazioni troppo velocemente – ci risponde Silvia Bodoardo, docente di Ingegneria chimica presso il dipartimento di Scienza e tecnologia applicata (Disat) del Politecnico di Torino. Bodoardo è tra i massimi esperti della materia, ed è coinvolta in diversi progetti di ricerca internazionali sui sistemi batterie per le auto elettriche. La ricercatrice esordisce con un aneddoto: “L’altro giorno ero dalla parrucchiera – racconta – e la titolare mi raccontava di come il marito, che viaggia molto per lavoro, avesse scelto di prendere un’auto elettrica per tenere sotto controllo le spese del carburante. La cosa incredibile è che si è quasi giustificata di questa scelta, dicendo ‘Lo so, l’impatto ambientale è elevato, ma l’abbiamo fatto per la convenienza’. Ecco, se dovessimo assumere questa come un’opinione diffusa dovremmo anche prendere atto che dal punto di vista della comunicazione c’è ancora davvero tanto da fare, perché la sostenibilità ambientale è uno dei punti di forza delle auto elettriche”.
Di cosa parliamo?
- Il prezzo delle auto elettriche e delle batterie è molto alto. Cosa si sta facendo in termini di ricerca?
- Qual è oggi il ciclo di vita di queste batterie delle auto elettriche, e come vengono smaltite?
- È vero che le batterie delle auto elettriche presentano dei problemi di durata?
- A che punto è il dibattito sull’innovazione in questo settore?
- Quanto si abbassano le prestazioni nel tempo e a seconda delle condizioni climatiche?
- Parliamo più in generale della perdita di performance
- Passiamo al rischio esplosione: è reale?
- Qual è il ruolo dell’Europa nel processo di sviluppo delle batterie per le auto elettriche?
- C’è in questo momento una carenza di competenze?
Il prezzo delle auto elettriche e delle batterie è molto alto. Cosa si sta facendo in termini di ricerca?
Il costo è essenzialmente dovuto alla tecnologia, che è relativamente nuova. Le batterie tradizionali al piombo hanno 160 anni di storia, mentre i sistemi al litio ne hanno soltanto 30. Questo vuol dire che c’è ancora molto lavoro da fare, e che siamo nel pieno di una fase di miglioramento. Basti pensare ai telefoni cellulari, che soltanto 15 anni fa avevano batterie simili a valigette. Gli avanzamenti che abbiamo registrato negli anni sono dovuti in gran parte all’evoluzione delle batterie, che oggi sono molto più performanti e occupano spazi minimi. Sono sottili, sicure, con energie elevatissime. I progressi anche per le auto sono molto rapidi ma richiedono un grande sforzo in ricerca e sviluppo, che già oggi sta portando ad una diminuzione dei costi e un miglioramento delle prestazioni.
Qual è oggi il ciclo di vita di queste batterie delle auto elettriche, e come vengono smaltite?
Uno dei punti di forza delle batterie per le auto elettriche è che a fine vita del mezzo possono essere prese e riciclate completamente. Per i combustibili fossili, ovviamente, questo non è possibile. Oggi tra l’altro si lavora anche sul settore second life: le batterie delle automobili, quando queste vengono dismesse, hanno ancora l’80% della propria capacità, e possono essere utilizzate per applicazioni meno “critiche”, come per le applicazioni stazionarie. È un passaggio intermedio che condurrà nel tempo al riciclo completo, come avviene oggi per le batterie a piombo. Le tecnologie idrometallurgiche consentiranno di farlo anche per il litio, e sono allo studio tecnologie dirette, con il cosiddetto short loop, che consentono di prelevare il materiale dalle batterie a fine vita e rivitalizzarlo. Si tratta di un settore che ancora non ha un mercato maturo di riferimento, perché le auto elettriche in circolazione sono ancora poche, e di conseguenza lo smaltimento è molto costoso. Man mano che aumenteranno i volumi aumenterà anche la convenienza, e diverse aziende specializzate si stanno già attrezzando per questo percorso di riciclo.
È vero che le batterie delle auto elettriche presentano dei problemi di durata?
La vita delle batterie è sufficientemente lunga, e in generale mi sento di dire che è poco probabile che ci sia la necessità di cambiare la batteria prima dell’auto. In generale oggi può durare una decina di anni a seconda dell’uso, ma se consideriamo che i fruitori di questi mezzi sono, per ora, tutti di un livello di reddito medio-alto, nessuno di loro tiene un’auto per tutti questi anni prima di sostituirla. Direi quindi che – almeno al momento, questo non sia un grosso problema.
A che punto è il dibattito sull’innovazione in questo settore?
A settembre a Bruxelles si è tenuta la General Assembly di Battery 2030+, progetto europeo che mira proprio all’innovazione nel mondo delle batterie, di cui io sono la responsabile per la parte education. A seguire si è svolta la due giorni “Battery Innovation Days”, e si è convenuto sulla necessità in questo settore di spingere sulle giga-factory e la ricerca innovativa di base. Uno dei temi al centro della discussione è stato: “Come facciamo a fare in modo che le persone trovino “sexy” le batterie e possano fidarsi?”. In fondo nessuno di noi oggi rinuncerebbe al computer o allo smartphone, le cui batterie si basano sulla stessa tecnologia che viene utilizzata per le auto elettriche. Mi pare evidente che sia quindi una questione di percezione, dobbiamo imparare a comunicare nel modo giusto, lanciando anche il messaggio che stiamo provando a eliminare i materiali tossici: ad esempio, il cobalto rappresenta oggi meno del 3% del peso della batteria di un’auto, e l’obiettivo è di eliminarlo completamente, come è già avvenuto nel caso delle batterie stazionarie.
Quanto si abbassano le prestazioni nel tempo e a seconda delle condizioni climatiche?
Tutti i sistemi elettrochimici risentono delle variazioni di temperatura a cui sono esposti. Capita ad esempio anche per i cellulari: in inverno, se andiamo in montagna, assistiamo spesso a un crollo del livello della batteria. Questo però è un artefatto che dipende da come viene monitorato lo stato di carica della batteria. Tanto è vero che se si torna in un ambiente caldo l’indicatore risale rapidamente. E poi, se posso sdrammatizzare, anche il gasolio si ghiaccia a -20 gradi.
Parliamo più in generale della perdita di performance
È perfettamente normale che avvenga. Anche in questo caso viene in nostro aiuto l’esempio dello smartphone: dopo due anni, di solito, non riusciamo più a usarlo per l’intera giornata senza ricaricarlo. Molto dipende anche da come vengono gestiti i dispositivi: se una batteria viene tenuta costantemente sotto carica questo contribuisce a deteriorarla. La batteria è gestita dal BMS, battery management system, grazie al quale la temperatura e la tensione delle celle sono costantemente monitorate garantendo una elevata sicurezza. Battery 2030 ha proposto di inserire i sensori direttamente dentro alle celle per monitorare con il massimo dell’attendibilità non solo tensione, corrente e temperatura, ma anche molti più parametri (impedenza, composizione chimica, pressione). Questo consentirebbe di prevenire con maggiore precisione ogni imprevisto o fenomeni indesiderati. Servirebbe a migliorare la sicurezza del sistema, a trattare la cella nel modo migliore, oltre a consentire di conoscerla al meglio mentre lavora. Lo stiamo già facendo nei progetti di ricerca, e registriamo un grande interesse attorno a tali progetti, anche da parte delle aziende.
Passiamo al rischio esplosione: è reale?
La migliore risposta è che di batterie litio-ione ne abbiamo in casa e in tasca tutti i giorni. Mi pare evidente che se non si fanno abusi siano molto sicure. Come tutte le tecnologie, quando sono nuove hanno bisogno di essere migliorate. Ricordo, ad esempio, che molti anni fa succedeva che le batterie al piombo esplodessero: poi con l’innovazione non è più successo. Di certo oggi l’attenzione su questi aspetti è massima: i car maker non vogliono e non possono correre il rischio di sbagliare, perché altrimenti le persone non si fiderebbero più. Per questo si scelgono, giustamente, l’affidabilità e la sicurezza anche a costo di perdere qualcosa in performance.
Qual è il ruolo dell’Europa nel processo di sviluppo delle batterie per le auto elettriche?
Oggi il 95% delle batterie è prodotto in Asia. E l’Europa sta investendo massicciamente per portare la produzione sul proprio territorio, ad esempio con la nascita di 38 giga factory sul territorio Ue, di cui tre previste in Italia. Portare in Ue la produzione delle celle consentirà di fare in modo che vengano utilizzati sistemi che le renderanno al 100% riciclabili e sostenibili. Io, ad esempio, coordino il progetto GigaGreen, finanziato dall’Unione Europea per sviluppare processi di produzione sostenibili di celle per batterie. L’Ue in generale punta su batterie intelligenti, completamente riciclabili, e prodotte utilizzando quanta meno energia possibile. Questa è la differenza principale rispetto alle batterie made in China, dove si è spinto tantissimo e rapidamente su questo comparto, ma con meno attenzione alla sostenibilità.
C’è in questo momento una carenza di competenze?
Purtroppo, allo stato attuale non abbiamo tutte le persone e le competenze che ci servono. Abbiamo bisogno di formare 800mila persone nei prossimi anni, e dobbiamo pensare anche al reskilling di chi è impegnato in altri settori, magari meno promettenti per il futuro se non addirittura in crisi. È quello che è successo ad esempio in Italia con FAAM che ha formato ex-lavoratori e lavoratrici di Whirpool precedentemente impegnate in lavorazioni di altro genere, garantendo loro un futuro professionale più certo. Al Politecnico di Torino siamo attivi sull’intera catena di valore in questo settore, e possiamo formare le persone direttamente sul campo: sono sempre di più, ormai, le aziende che ce lo chiedono.