800 milioni di persone soffrono la fame e una delle cause è la crisi climatica
Scritto da
Ettore Benigni
Giornalista
Azione contro la fame Onlus: “L’aumento delle temperature, le piogge irregolari e i lunghi periodi di siccità incidono negativamente sulla capacità delle popolazioni di produrre cibo in quantità e qualità sufficienti. Gli allarmi più gravi ad Haiti, in Madagascar e in Bangladesh”
Il 13 ottobre si celebra la giornata mondiale per la riduzione del rischio dei disastri naturali: l’istituzione di questa ricorrenza risale al 1989 con l’intenzione di promuovere una cultura globale di consapevolezza dei rischi e di riduzione degli eventi catastrofici, anche se la data del 13 ottobre è stata fissata dall’assemblea generale dell’Onu solo nel 2009.
Tra gli effetti maggiormente negativi dei disastri naturali legati ai cambiamenti climatici che più affliggono il pianeta al giorno d’oggi, ci sono anche le conseguenze che questi eventi causano alle popolazioni più povere del pianeta, dove ad esempio il climate change è destinato ad ampliare la sofferenza per fame nel pianeta. Per approfondire questo argomento abbiamo intervistato Orazio Ragusa Sturniolo, responsabile Comunicazione di Azione contro la Fame Italia Onlus.
Di cosa parliamo?
- Il 13 ottobre ricorre la giornata mondiale per la riduzione dei disastri naturali. Viene spontaneo parlare di climate change, e delle conseguenze che può avere sulla fame nel mondo. Qual è la vostra lettura di questo scenario?
- Avete individuato tre aree particolarmente a rischio: Haiti, Madagascar e Bangladesh. Cosa sta succedendo in quei luoghi?
- Qual è il vostro impegno in questi scenari particolarmente difficili?
- Cifre allarmanti: ci racconta come nasce Azione contro la Fame, qual è la sua storia e in quali scenari è maggiormente impegnata in questo momento?
- Se dovesse fare un appello ai nostri lettori per spiegare loro come piccoli gesti di responsabilità possano contribuire a evitare grandi tragedie, cosa si sentirebbe di dire loro?
Il 13 ottobre ricorre la giornata mondiale per la riduzione dei disastri naturali. Viene spontaneo parlare di climate change, e delle conseguenze che può avere sulla fame nel mondo. Qual è la vostra lettura di questo scenario?
È del tutto evidente che l’intero pianeta stia affrontando, oggi, un aumento considerevole delle temperature, stagioni delle piogge irregolari, lunghi periodi di siccità. Tali eventi – lo verifichiamo direttamente sul campo – determinano ulteriori difficoltà nell’accesso ai mezzi di produzione e all’acqua e incidono, negativamente, sulla capacità delle popolazioni di produrre cibo in quantità e qualità sufficienti. Oltre a quella climatica, che di per sé rappresenta un dramma per milioni di persone, temiamo il collasso del sistema alimentare. Del resto, entro il 2030, a causa della crisi climatica, il numero dei poveri potrebbe aumentare fino a più di 100 milioni di persone. È arrivato il momento di agire.
Avete individuato tre aree particolarmente a rischio: Haiti, Madagascar e Bangladesh. Cosa sta succedendo in quei luoghi?
Si tratta di Paesi tanto diversi tra loro ma comunque accomunati dalle conseguenze nefaste del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare. Haiti è colpito regolarmente da catastrofi naturali, da terremoti e tempeste tropicali. A causa del solo uragano Matthew, per esempio, l’80% dei raccolti e la grande maggioranza del bestiame sono andati distrutti. In Madagascar cicloni, siccità e inondazioni sono una ulteriore preoccupazione per popolazioni già vulnerabili. In particolare, i periodi di siccità sempre più lunghi e frequenti hanno aggravato la carenza d’acqua, peggiorando una situazione di per sé complessa. Il Bangladesh è uno dei territori che registra un tasso di malnutrizione fra i più elevati della Terra e che ospita, a Cox’s Bazar, il più grande campo profughi del mondo. Qui, recentemente, molti dei ripari sono andati distrutti a seguito di alluvioni e frane causate dalla pioggia intensa.
Qual è il vostro impegno in questi scenari particolarmente difficili?
In questi scenari, ma più in generale nei 46 Paesi in cui operiamo, ci occupiamo dei seguenti settori:
- salute e nutrizione
- acqua, strutture sanitarie e igiene
- sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza
- assistenza alimentare
- cure e pratiche di cura
- salute mentale
- riduzione del rischio di disastri
- advocacy
Nel 2020, Azione contro la Fame e tutta la sua rete ha aiutato la cifra record di 25.387.933 individui, più che in qualsiasi anno precedente. Ricordiamoci che si tratta dell’anno in cui una pandemia globale ha aggravato una serie di emergenze già in corso.
Cifre allarmanti: ci racconta come nasce Azione contro la Fame, qual è la sua storia e in quali scenari è maggiormente impegnata in questo momento?
Azione contro la Fame è un’organizzazione umanitaria internazionale specializzata nella lotta contro le cause strutturali e le conseguenze della fame e della malnutrizione infantile. L’organizzazione salva la vita dei bambini malnutriti, assicura alle famiglie l’accesso all’acqua potabile, al cibo, alla formazione e all’assistenza sanitaria. L’obiettivo dei suoi oltre 8mila operatori è quello di consentire a intere comunità di essere libere dalla fame. Da oltre 40 anni, Azione contro la Fame basa i propri interventi – che vanno dall’emergenza allo sviluppo – su diverse aree di competenza.
Se dovesse fare un appello ai nostri lettori per spiegare loro come piccoli gesti di responsabilità possano contribuire a evitare grandi tragedie, cosa si sentirebbe di dire loro?
Tutti devono sapere che, oggi, nel mondo esistono 811 milioni di persone che soffrono la fame. Un dato che deve indignare e che deve indurre tutti noi a sollecitare la comunità internazionale a intervenire per contrastare, concretamente, le cause strutturali di questa grave piaga, cioè disuguaglianze, conflitti e, appunto, cambiamenti climatici. Oggi, nonostante la fame sia in crescita, abbiamo gli strumenti per poterla contrastare: sono state individuate cure per guarire i bambini malnutriti e promossi progetti efficaci per consentire alle comunità vulnerabili di diventare autosufficienti. Non c’è più tempo da perdere.