Scioglimento dei ghiacciai: mitigare i cambiamenti climatici non è più facoltativo

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Negli ultimi 20 anni si sono persi oltre 200 gigatonnellate di ghiaccio, contribuendo all’innalzamento del livello del mare e all’erosione costiera

Tutti i ghiacciai delle Alpi hanno perso circa la metà della loro estensione e per la maggior parte negli ultimi 30 anni.
“Le ultime campagne glaciologiche (2021, 2022, 2023) hanno infatti confermato gli impatti delle attività umane sul sistema climatico del pianeta, – spiega Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico Italiano (CGI) – con una notevole contrazione dei ghiacciai nel nostro Paese e con un massimo di ritiro delle fronti glaciali raggiunto nel 2022, chiamato non per niente l’annus horribilis dei ghiacciai”.
Nel 2022, infatti, i ghiacciai hanno perso quasi 3.000 milioni di metri cubi di ghiaccio, che corrispondono ad oltre il 6% del volume residuo.

Di cosa parliamo?

Scioglimento dei ghiacciai: cause e conseguenze

Tra le principali cause dello scioglimento dei ghiacciai, secondo quanto documentato dall’Ipcc (Intergovernamental panel on Climate change) nel 2021, ci sono l’aumento delle temperature globali e il cosiddetto effetto serra. L’aumento della concentrazione di gas serra, infatti, intrappola il calore, aumentando di fatto la temperatura media della Terra.
A questo si collega il fatto che in molte regioni diminuisce gradualmente la quantità di neve che cade ogni anno, riducendo gli accumuli che alimentano i ghiacciai.

Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai sono un contributo diretto all’innalzamento del livello del mare, e quindi di un’erosione costiera che porterebbe la maggior parte delle città costiere a essere sommerse. Altra conseguenza grave è il fatto che possano andare sommersi anche alcuni habitat costieri particolarmente “preziosi” per gli ecosistemi, come ad esempio le mangrovie e le paludi salmastre. Tutto questo senza dimenticare i problemi che lo scioglimento dei ghiacciai può causare alle comunità circostanti, che dipendono da questi bacini per l’approvvigionamento di acqua.

 

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I dati e le previsioni

A oggi sono diversi gli studi e le ricerche che documentano quanto i ghiacciai abbiano finora perso volume e quanto questo fenomeno sia destinato ad aggravarsi nei prossimi anni.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista specializzata Nature nel 2021, “Accelerated global glacier mass loss in the early twenty-first century”, su scala globale i ghiacciai hanno perso approssimativamente 267 gigatonnellate di ghiaccio all’anno tra il 2000 e il 2019, contribuendo a un innalzamento del livello dei mari di circa 21 millimetri. Se si considerano esclusivamente i ghiacciai europei, secondo il report “Historically unprecedented global glacier decline in the early 21st century” pubblicato sul “Journal of Glaciology” i ghiacciai delle Alpi hanno perso circa la metà del loro volume se si considera come riferimenti la loro situazione nel 1850. Quanto al Nord America, il ghiacciaio di Columbia in Alaska sarebbe arretrato di più di 20 Km dal 1980 ai giorni nostri.

A questo fenomeno si aggiunge un’altra dinamica preoccupante, quella che testimonia un aumento, con il passare del tempo, della perdita di ghiaccio. L’Ipcc stima che anche in presenza di una riduzione drastica delle emissioni il ritiro dei ghiacciai sarebbe destinato a continuare nel tempo. Con conseguenze preoccupanti anche per l’innalzamento dei mari. Secondo i dati dell’“Ipcc special report on the ocean and cryosphere in a changing climate” lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe contribuire entro il 2100 a un innalzamento dei mari tra i 79 e i 159 millimetri a seconda degli scenari di riduzione delle emissioni di gas serra.

Lo scioglimento dei ghiacciai: prima e dopo

I primi segnali evidenti dello scioglimento dei ghiacciai si sono registrati già a metà del 1800, quando il fisico britannico John Tyndall evidenziò con i suoi studi i cambiamenti di forma di alcuni ghiacciai alpini. Sempre al diciannovesimo secolo risale la teoria delle ere glaciali del naturalista svizzero Luois Agassiz, mentre i segnali più evidenti del fenomeno hanno iniziato a registrarsi nel 21esimo secolo. Se gli studi più significativi sui ghiacciai alpini hanno iniziato a essere pubblicati a metà del 1900, la “svolta” è avvenuta nel 1988 con la creazione dell’Ipcc, che con i suoi report ha documentato il link tra il climate change e lo scioglimento dei ghiacciai.

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Il nuovo studio UE

Le calotte glaciali potrebbero essere più sensibili al riscaldamento degli oceani, dovuto anche all’aumento delle emissioni di gas serra, di quanto si sia previsto finora. A evidenziarlo è l’ultimo studio realizzato nella cornice del progetto Protect, iniziativa di ricerca finanziata dall’Unione Europea attraverso Horizon 2020. Lo studio iniziato nel settembre 2020 e che si concluderà con la fine di febbraio 2025, sotto il coordinamento francese del Cnrs, il “Centre national del la recherche scientifique”.

La ricerca parte dalla difficoltà per gli studiosi di prevedere quanto ghiaccio andrà perduto in futuro in conseguenza del riscaldamento delle acque, e quindi di spiegare “le differenze tra ciò che vediamo accadere e ciò che possiamo simulare”. Il problema principale per gli scienziati è di capire con esattezza cosa accade nella cosiddetta “zona di messa a terra”; l’area che collega il ghiaccio in cima al basamento a quello che galleggia sull’oceano, dove l’acqua relativamente calda dell’oceano incontra l’acqua fredda di fusione proveniente da sotto la calotta glaciale.

Al centro degli sforzi dei ricercatori di Protect c’è stato inoltre l’obiettivo di rendere il più possibile attendibili le previsioni al 2050, utilizzando anche i dati sull’osservazione della Terra provenienti dal’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea. Queste previsioni, infatti, sono quelle più utili per chi si trova oggi a prendere decisioni per la gestione delle zone costiere.

Un nuovo meccanismo mette a rischio le calotte glaciali

“Poiché l’acqua dell’oceano è più densa, può penetrare al di sotto della calotta glaciale, nella zona di incaglio, sciogliendo la calotta da sotto”, spiegano gli studiosi di Protect, che hanno dimostrato come la quantità di fusione che avviene sotto la calotta glaciale aumenti drasticamente con il riscaldamento delle acque.

“Nessun ghiacciaio è al sicuro da questo processo – spiegano i ricercatori – qualsiasi ghiacciaio esposto ad acque sufficientemente calde sperimenterà questo drammatico feedback. Abbiamo mappato quali ghiacciai dell’Antartide potrebbero essere vulnerabili a questo processo, e siamo in grado di considerare solo il loro rischio relativo, cioè quali sono più vulnerabili di altri: Pine Island è altamente suscettibile a questo processo, mentre Thwaites lo è meno”.

“Le nostre migliori proiezioni attuali dell’innalzamento del livello del mare – concludono gli studiosi – non includono questo meccanismo. Ciò significa che il futuro innalzamento del livello del mare causato dalle calotte antartiche e groenlandesi potrebbe essere molto più elevato di quanto pensiamo”.

L’adattamento climatico

“I risultati ottenuti finora hanno anche rafforzato il messaggio che la mitigazione dei cambiamenti climatici non è facoltativa e ci darà più tempo e più opzioni per l’adattamento – conclude Gael Durand, il coordinatore del progetto Protect e membro del Cnrs – Semplicemente non possiamo proteggere l’intera costa. Dobbiamo agire subito, e seguire l’Accordo di Parigi è l’opzione migliore che abbiamo di fronte. Ciò che accade in Antartide, in termini di scioglimento dei ghiacci, non rimarrà solo in Antartide”.