“Salviamo le tartarughe anche con la divulgazione”: il lavoro degli instancabili volontari del Lampedusa Turtle Center

Scritto da La Redazione di Sorgenia

L’ospedale del Lampedusa Turtle Center ha chiuso ma i volontari continuano a fare divulgazione e a recuperare le tartarughe che arrivano a Lampedusa

“Ce l’abbiamo messa tutta, abbiamo chiesto aiuto ma i miracoli non può farli nessuno”. Così il Lampedusa Tartle Rescue ha chiuso il suo ospedale, un ricovero dove venivano curate le tartarughe che riportavano ferite o problemi. Alla base della decisione dei volontari questioni economiche e costi di gestione troppo elevati. Ma le attività del centro di Lampedusa non si sono fermate. “Noi continuiamo a prenderci cura delle tartarughe marine, a fare sensibilizzazione, a recuperare gli animali che vengono trovati per verificare se sono in salute”. A raccontarcelo è Daniela Freggi, fondatrice del Centro Recupero Tartarughe Marine di Lampedusa e la presidente dell’Associazione Caretta Caretta.

 

Di cosa parliamo?

Da quest’anno il Lampedusa Tartle Rescue ha chiuso il suo ospedale. Ma le attività del centro continuano.

Purtroppo, i costi di gestione dell’ospedale superavano le nostre possibilità. Ora non abbiamo più un reparto però l’esperienza c’è, l’abbiamo fatta sul campo, insomma sappiamo vedere se l’animale sta bene o male. Il recupero delle tartarughe malate o ferite continua ma non vengono più curate sull’isola, vengono trasportate in Sicilia, il centro più vicino è quello di Cattolica Eraclea (AG). Questo, naturalmente, dilata i tempi ma di più non possiamo fare. E poi facciamo tanta divulgazione. Andiamo in spiaggia e parlare con le persone, offriamo collaborazione al personale dell’area protetta e al personale nella riserva naturale. D’altronde un ospedale è solo una delle attività necessarie per fare conservazione. Anche se il nostro era l’ospedale più famoso di tutto il Mediterraneo e qui venivano veterinari da tutto il mondo per imparare nuove tecniche chirurgiche.

Il vostro centro ha rapporti con le università?

Sì, ogni anno ospitiamo ricercatori. Io stessa sono una biologa marina e, insieme ai volontari, assistiamo direttamente i giovani ricercatori vengono qui a fare raccolta dati per la loro tesi per il loro dottorato. A questo si affianca lo sviluppo di altre ricerche, come le indagini sulle microplastiche e le strategie di divulgazione per le tartarughe marine.

Quali sono i rischi maggiori che corrono le tartarughe? Quando vengono recuperate quali problemi presentano?

Si tende a credere che la plastica sia il loro peggiore nemico invece nel Mediterraneo nessuna tartaruga marina, sinora, è morta per la plastica. Questo purtroppo succede in Brasile, ingeriscono così tanta plastica che tutto il loro intestino risulta intasato e non ci passa nient’altro. Nel Mediterraneo, invece, non solo a Lampedusa le tartarughe marine muoiono essenzialmente per la pesca. Gli strumenti di pesca possono, purtroppo, essere fatali per le tartarughe, ad esempio nelle reti possono annegare. Un altro pericolo è la lenza da pesca, lunga 5 o 6 metri, a cui è attaccato l’amo con cui vengono pescati pescespada o tonni. Può capitare che accidentalmente una tartaruga abbocchi a un amo, che è ancorato a una lenza, quando il pescatore si rende conto che non ha pescato un pesce ma una tartaruga taglia la lenza che viene risucchiata nell’intestino della tartaruga marina, lo affastella completamente, si creano delle lesioni e l’animale in 7 – 12 mesi muore. È una morte ritardata, dunque non viene facilmente riconosciuta, ma il 90% degli animali che arrivavano da noi avevano subito danni dovuti alla pesca o a quello che la pesca abbandona il mare come cordame, reti e lenze. Le tartarughe rischiano di morire anche a causa della spazzatura che viene buttata da chiunque, se è filiforme si aggroviglia alle pinne, crea le necrosi che mandano in cancrena le pinne che possono staccarsi e far morire l’animale.

Quali sono le azioni positive che si possono mettere in atto? Chi frequenta il mare da turista, o da pescatore, cosa può fare per non danneggiare e aiutare la vita delle tartarughe marine?

Questa è proprio la nostra filosofia. Gli aspetti negativi li conosciamo già, inventiamoci i punti positivi.
Tutti possono fare qualcosa: da raccogliere una bottiglia di plastica sulla spiaggia a evitare di lasciare nella sabbia i mozziconi di sigarette. Certo, non dico che i turisti debbano passare col retino a raccattare tutto quello che c’è in mare, perché non si fermerebbero mai. Però insomma, anche raccogliere dieci oggetti al giorno significa eliminare dieci nemici per le tartarughe.

Azioni che si possono aggiungere alla divulgazione?

Parlare serve moltissimo perché la consapevolezza è ciò che trasforma le azioni. Per esempio, possiamo lavorare sulla consapevolezza che avere una spiaggia spianata significa rischiare di distruggere gli eventuali nidi di tartaruga. Oppure possiamo provare a cambiare un po’ ciò che mangiamo, possiamo affiancare al pesce spada e al tonno, tanti altri pesci e sviluppare quella pesca che magari è meno impattante sugli animali. Possiamo fare divulgazione e parlare di quanto è importante avere questi animali che mantengono gli equilibri dei nostri oceani. Il rischio è di ritrovarci con una distesa di meduse che impedirà gli scambi gassosi. Non avremmo più turismo, non avremmo più ossigeno in mare: non è un’eredità che possiamo lasciare alle nuove generazioni.

Quali sono le attività divulgative delle quali vi state occupando?

Lo facciamo continuamente anche online. Ho da poco tenuto una lezione agli studenti del Guatemala, da remoto. Abbiamo rapporti con tante scolaresche anche elementari, le maestre sono eccezionali. D’inverno ogni settimana, nonostante le difficoltà di connessione dell’isola, teniamo lezioni con alcune classe. C’è stata anche un’azienda genovese che prepara i pranzi per una scuola inglese che ha dedicato una settimana all’isola di Lampedusa e alle sue tartarughe marine. Sulle tovagliette sulle quali serviva i pranzi c’erano informazioni su cosa fare per le tartarughe marine e poi c’è stato un incontro in cui gli studenti, dai tre ai sei anni, potevano farci le domande. Purtroppo, è più facile interessare i bimbi, i ragazzi crescendo non si interfacciano con questo mondo.

I turisti possono fare la differenza?

Assolutamente sì, se ne continuano a parlare. Le cose possono sempre cambiare, non rimangono mai fisse, dipende solo da noi come farle cambiare. Io ricevo ogni giorno moltissime telefonate da persone interessate a vedere le tartarughe. Per il momento questa opportunità non c’è più però noi volontari raccontiamo a ogni persona interessata cosa può fare, prima o poi anche i grandi cambieranno e cominceranno guardare alle tartarughe non solo come un’attrazione turistica.