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La Foresta del Gariglione: un habitat rinato in meno di un secolo

Il bosco era stato distrutto tra il 1930 e il 1950 per commercializzarne il legname. Oggi faggi e abeti rossi sono alti fino a 40 metri, e gli studiosi dell’Università della Tuscia hanno ricostruito il processo che ha portato questo ecosistema a rigenerarsi

Quali sono i meccanismi che portano una foresta a tornare all’antico splendore nell’arco di pochi decenni dopo essere stata distrutta?
Per rispondere a questa domanda gli studiosi dell’università della Tuscia, in collaborazione con i loro colleghi dell’Università della Calabria, dell’Accademia Nazionale di Scienze Forestali e del Parco Nazionale della Sila hanno condotto uno studio sulla Foresta del Gariglione, recentemente pubblicato dalla rivista specializzata “Science of the total Environment”.

L’obiettivo della ricerca

Agli occhi degli studiosi la Foresta del Gariglione, all’interno del Parco Nazionale della Sila, si è presentata come un “laboratorio a cielo aperto” interessante per capire di più sulla resilienza delle foreste nell’area del Mediterraneo e sul percorso che porta alla loro rinascita dopo essere state sottoposte a cambiamenti radicali a causa degli interventi dell’uomo e della sua attività di sfruttamento delle risorse naturali. Capire la dinamica della rinascita delle foreste, infatti, può dare informazioni estremamente importanti per chi oggi è impegnato nel recupero degli ecosistemi e della biodiversità.

“La sfida odierna – spiega Jordan Palli, ricercatore del dipartimento di scienze biologiche ed ecologiche dell’Università della Tuscia, in un articolo di presentazione sulla ricerca pubblicato sul sito Phys.org – è quella di ripristinare gli habitat e gli ecosistemi primordiali attraverso l’attuazione di strategie di recupero efficaci, basate sulle reali dinamiche di recupero compositivo, strutturale e funzionale. Tali conoscenze sarebbero fondamentali per raggiungere gli obiettivi di conservazione della biodiversità e di mitigazione dei cambiamenti climatici”.

La storia della Foresta del Gariglione

Area di vegetazione rigogliosa all’interno del Parco Nazionale della Sila, caratterizzata da faggi e abeti rossi, la Foresta del Gariglione è stata segnata da un ventennio di distruzione tra il 1930 e il 1950, con un disboscamento che ha portato a tagliare il 91% della biomassa per fornire legname all’industria. Alla fine di questo periodo, l’area “è stata gestita con pratiche di conservazione – spiega Palli – e poi condotta a un rewilding passivo”, fino ad arrivare oggi a una struttura alta, con alberi fino a 40 metri.

L’obiettivo dello studio coordinato dai ricercatori dell’università della Tuscia è stato di ricostruire la storia della ricrescita di questa foresta, evidenziando le relazioni tra clima e crescita e le serie temporali della dominanza di crescita degli alberi. Tutto questo per arrivare a comprendere il meccanismo di resilienza delle specie e degli ecosistemi a quelle che lo studio definisce “perturbazioni su larga scala”.

Il confronto con il periodo pre-1930

“La presenza di documenti storici che descrivono la Foresta del Gariglione prima dell’intenso taglio del legname, insieme a una documentazione dettagliata sulle operazioni di taglio, ha offerto un’occasione unica per ricostruire e analizzare i modelli di recupero della biomassa forestale dopo un disturbo esteso e intensivo”, argomenta Gianluca Piovesan, professore di Selvicoltura e Pianificazione forestale ecologica all’Università della Tuscia e coordinatore dello studio.

Gli studiosi sono riusciti così a stabilire che per la “rinascita” della foresta hanno svolto un ruolo fondamentale i pochi alberi sopravvissuti al disboscamento:

“La presenza di due specie co-dominanti, il faggio e l’abete, ha sostenuto una rapida rigenerazione del bosco spiega Michele Baliva, dendrocronologo dell’Università della Tuscia e primo autore dello studio – La rigenerazione dell’abete dopo il disboscamento ha avuto un ruolo chiave nel ripristino dell’ecosistema”.

Il ruolo dei cambiamenti climatici

Nell’analisi delle tendenze a lungo termine lo studio ha puntato a capire quale sia l’influenza dei cambiamenti climatici sulla crescita degli alberi.

“Sorprendentemente – scrive Pallile foreste situate a quote più basse hanno mostrato una crescita media crescente negli ultimi decenni, mentre le foreste di alta montagna hanno mostrato una crescita notevolmente stabile e poco oscillante”. Oltre a questo, la ricerca ha evidenziato che gli alberi grandi e vecchi mostrano un’acclimatazione della crescita nonostante l’aumento dell’aridità – conclude – dimostrando l’importanza degli ecosistemi naturali complessi nell’affrontare i cambiamenti globali”.

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