Site icon Sorgenia UP

Poche emissioni ma grandi danni dal climate change: il caso della Mongolia

Gli inverni sempre più freddi si alternano a periodi di siccità da record, mettendo in difficoltà l’economia locale e gli allevamenti, da cui dipende il 40% della popolazione locale. Il report di Save the Children: 80mila bambini hanno bisogno d’aiuto

I cambiamenti climatici stanno mettendo in seria difficoltà l’economia della Mongolia e il benessere dei suoi abitanti. Le ultime annate sono infatti caratterizzate da estati calde, lunghi periodi di siccità, e inverni in cui le temperature scendono sotto i valori medi del periodo, creando gravi danni alle comunità locali e alle famiglie di pastori in montagna, che si trovano ad affrontare una eccezionale moria del bestiame, le carenze alimentari la difficoltà a far fronte alle spese di base, come quelle per la scuola, l’igiene e l’assistenza sanitaria.

A lanciare l’allarme è Save The Children, che attraverso la propria rete ha raccolto testimonianze sul posto che permettono di farsi un’idea della gravità della crisi causata dal climate change. Per ironia della sorte, queste conseguenze severe sulla popolazione si registrano in un Paese che da solo contribuisce in maniera minima alle emissioni di CO2 in atmosfera, totalizzando meno dell’1% delle emissioni globali.

Le conseguenze dello “Dzud”

Secondo i dati di Save The Children la Mongolia ha dovuto affrontare durante la scorsa primavera un fenomeno chiamato “Dzud” che consiste nel verificarsi, in rapida successione, di nevicate abbondanti e freddo estremo in inverno e di periodi di siccità prolungata in estate.

Lo Dzud avrebbe interessato nel 2023 una parte importante dell’intero territorio della Mongolia, per l’esattezza 13 delle sue 21 provincie, più della metà. Le conseguenze di questo fenomeno sono l’insufficienza dei pascoli e quindi la moria del bestiame. E se tra il 1940 e il 2015 lo Dzud si verificava in media due volte all’interno dello stesso decennio, dal 2015 in poi la frequenza è aumentata velocemente, fino a verificarsi ormai ogni anno.

Considerando il 2023, la colonnina di mercurio è scesa durante l’inverno fino a -40° C, e il freddo ha causato la morte per fame o per congelamento di un gran numero di animali, da cui dipende a sua volta la sussistenza di circa 200mila famiglie che vivono dell’allevamento di capre, pecore, bovini, yak e cammelli. Secondo le stime più recenti circa il 40% della popolazione della Mongolia dipende dal bestiame per la propria sussistenza.

Stando al parere degli esperti citati da Save The Children a causare la frequenza e la gravità dei dzuds contribuisce in maniera rilevante la crisi climatica: le temperature in Mongolia stanno aumentando a una velocità doppia rispetto alla media globale, con un riscaldamento di oltre 2°C e un calo deciso delle precipitazioni registrato tra il 1940 e il 2015.

80mila bambini a rischio di malattie e malnutrizione

Nella scorsa primavera Save The Children stimava che a causa delle conseguenze del cambiamento climatico 213mila persone, e tra queste 80mila bambini, abbiano bisogno di aiuti umanitari, dal momento che non riescono a far fronte a una situazione aggravata anche da un aumento esponenziale dell’inflazione nel Paese.

“Durante uno dzud, i bambini al di sotto dei cinque anni sono ad alto rischio di malnutrizione, malattie respiratorie e ferite – spiega l’associazione – poiché chi si prende cura di loro fatica a permettersi attenzione e assistenza sanitaria”.

– Bayan-Altai Luvsandorj, Country Manager e rappresentante del Programma Mongolia di Save the Children Giappone

Exit mobile version