Ager Oliva, ulivi toscani salvati con l’adozione a distanza
Tommaso Dami, founder della startup, spiega il successo della sua idea: “Prendiamo in affitto i terreni e li curiamo grazie ai contributi dei nostri sostenitori: che potranno dare un nome alle piante e alla fine dell’anno avranno un litro di olio extravergine d’oliva biologico”
In Toscana ci sono circa quattro milioni di alberi d’ulivo abbandonati, che quindi non ricevono le cure di cui hanno bisogno e che rappresentano un enorme spreco per una delle produzioni d’eccellenza del Made in Italy, l’olio. Per sensibilizzare le persone e contrastare una tendenza che vede l’Italia perdere quota nel panorama internazionale dei produttori d’olio, Tommaso Dami ha deciso di creare una startup che propone a privati e aziende l’adozione delle piante abbandonate, che così possono tornare a essere curate e a produrre. Per dare un’idea della situazione basti pensare che negli anni ‘90 l’Italia era il primo produttore mondiale di olio d’oliva, con 2 milioni e 300mila tonnellate d’olio, contro le attuali 250mila (in confronto la Spagna oggi conta su una produzione di un milione e seicentomila tonnellate). In questa intervista Tommaso, 31 anni, originario di Modena e residente a Pistoia, laureato in economia a Firenze ed appassionato di agricoltura, racconta come è nata l’idea e quali sono le prospettive di Ager Oliva, che al momento conta già su tremila ulivi adottati e che entro la fine dell’anno si propone di arrivare a 5mila.
Di cosa parliamo?
Tommaso, come sei arrivato a fondare Ager Oliva?
Ho convissuto fin da bambino con la passione per l’agricoltura, da quando a cinque anni mi sono trasferito in campagna con la mia famiglia, dove abbiamo 170 ulivi. Produciamo olio da più di 25 anni, e ho sempre sentito dire che si tratta di un’attività molto bella ma anche molto impegnativa e costosa, senza un tornaconto economico. Tutti mi hanno sempre sconsigliato di intraprendere questa strada, ma in tutto il mio percorso ho sempre cercato la via per non arrendermi e trovare un valore aggiunto. Mentre stavo uscendo dall’università di Economia a Firenze, preparando la tesi, e mentre cercavo la strada migliore per iniziare il mio progetto studiando anche le produzioni super intensive, mi sono imbattuto nella notizia che in Toscana esistevano 4 milioni di ulivi abbandonati. La cosa mi ha colpito molto, perché si tratta per la maggior parte di piante secolari. In ogni caso, dopo la laurea ho fatto qualche esperienza all’estero, in Cina e in Messico, dove sono rimasto due anni. Sono rientrato dopo la seconda grande scossa di terremoto, quella del settembre 2017, che si è verificata proprio a Puebla, dove vivevo. Tornato in Italia ho pensato ad una proposta che mi avevano fatto, e ho partecipato all’apertura di una startup a Firenze, legata al mondo food-tech, che è stata per me una palestra molto importante per mettermi alla prova sulle strategie di comunicazione tramite i social e Google e sulla gestione di un’azienda dinamica come una start-up. L’esperienza si è conclusa con l’emergenza Covid, e in quei momenti di riflessione sono tornato a pensare alla questione degli ulivi abbandonati.
Come sei riuscito a passare dalla teoria alla pratica?
Qual è il vostro modello di business?
Perché le persone o le aziende scelgono di adottare gli ulivi abbandonati?
Nel caso dei privati si tratta di persone legate al territorio, che vogliono farsi un regalo green e personalizzato, o farlo a una persona cara. Accade per matrimoni, compleanni, ricorrenze di ogni genere. Il regalo consiste in un ulivo numerato, a cui si può attribuire un nome, e per il quale ogni anno si riceve una bottiglia dell’olio extravergine di oliva biologica prodotto proprio sul territorio prescelto. Ogni anno inoltre organizziamo un pic-nic in Toscana a cui sono invitate tutte le persone che partecipano al progetto, a formare una sorta di community. Il pic-nic di quest’anno lo abbiamo fatto poche settimane fa sotto gli ulivi di Leonardo Da Vinci.
Le aziende lo fanno come segno di attenzione per il territorio in cui operano, impegnandosi a salvaguardare la biodiversità e a fare qualcosa di concreto e di improntato alla sostenibilità. E’ un tipo di sensibilità in aumento, dal momento che le imprese sono sempre più attente e orientate verso l’ESG. Le adozioni vengono utilizzate come regali di Natale per i clienti o i dipendenti. E l’interesse anche di gruppi importanti sta iniziando a crescere, come nel caso di Sorgenia, che ci ha accolto nel catalogo della community dei Greeners e che ha adottato 500 ulivi.
Avete in mente di estendere questa iniziativa anche al resto d’Italia?