I risultati della ricerca coordinata dai docenti Alan Hatton e Kripa Varanasi e pubblicata sulla rivista “Energy and Environmental Science”: individuato un meccanismo di rimozione efficiente e poco costoso, che potrà essere installato negli impianti di desalinizzazione, sulle navi o sulle piattaforme offshore
È possibile catturare e rimuovere l’anidride carbonica non soltanto dall’aria, ma anche dall’acqua. Questa pratica potrebbe essere più conveniente ed efficiente di quella tradizionale, e dare un contributo importante all’abbattimento dei gas serra che provocano i cambiamenti climatici: sono proprio gli oceani, infatti, ad assorbire una quota variabile tra il 30 e il 40% dei gas serra emessi dall’uomo.
Ad arrivare a questa conclusione è uno studio recentemente pubblicato dalla rivista “Energy and Environmental Science”, realizzato da un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology coordinati dai docenti Alan Hatton e Kripa Varanasi, a cui hanno collaborato il postdoc Seoni Kim e i ricercatori Michael Nitzsche, Simon Rufer e Jack Lake.
Il progetto è in questa fase ancora a un livello iniziale, e per poter arrivare a una “messa a terra” che consenta le prime prove sul campo potrebbero essere necessari ancora un paio di anni. “Il problema dell’anidride carbonica è il problema fondamentale della nostra vita, della nostra esistenza – afferma il professor Varanasi – Quindi è chiaro che abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile”.
I risultati della ricerca
La caratteristica principale della soluzione individuata dagli studiosi del Mit è quella di essere particolarmente efficiente e poco costosa, fattori che potrebbero favorirne l’adozione anche su larga scala.
Il team, spiega la pubblicazione online “Mit News” dell’ateneo statunitense, ha ideato un processo reversibile che riesce a fare a meno di membrane e sostanze chimiche per le reazioni: si tratta di una tecnica che consuma molta meno energia rispetto a quelle utilizzate per catturare l’anidride carbonica dall’aria. Si tratta, in pratica, di un sistema elettrochimico a doppia cella: la prima serve per consentire agli elettrodi reattivi di rilasciare protoni nell’acqua di mare, trasformando i bicarbonati inorganici disciolti in anidride carbonica gassosa. Il gas viene così raccolto sottovuoto, e l’acqua si avvia nella seconda camera, dove il gruppo di celle con una tensione inversa recupera i protoni prima di rilasciarla di nuovo in mare.
“Periodicamente – spiega la pubblicazione del MIt – i ruoli delle due celle vengono invertiti, una volta che una serie di elettrodi è esaurita di protoni (durante l’acidificazione) e l’altra è stata rigenerata durante l’alcalinizzazione”.
Oltre alla cattura dell’anidride carbonica in acqua, questo metodo potrebbe consentire -almeno su scala locale – di invertire l’acidificazione delle acque causata dall’accumulo di anidride carbonica, e di mitigare così i danni che questo fenomeno crea – ad esempio – alle barriere coralline e agli ecosistemi marini.
Gli scenari di applicazione
Una volta catturata, l’anidride carbonica dovrà essere smaltita, ad esempio stoccandola in formazioni geologiche profonde sotto i fondali marini, mentre una piccola parte potrà anche essere utilizzata come materia prima.
L’idea dei ricercatori, almeno in una prima fase, è quella di provare questa tecnologia in impianti già esistenti, come ad esempio in quelli per la desalinizzazione: “Questo sistema è scalabile – spiega il professor Varanasi – quindi potremmo integrarlo potenzialmente nei processi esistenti che già trattano l’acqua dell’oceano o che sono a contatto con essa”.
Un’altra possibilità suggerita dal team di studiosi è di utilizzare il sistema sulle navi, che potrebbero così trattare l’acqua durante i loro spostamenti: “Potrebbe essere un modo per aiutare le compagnie di navigazione a compensare alcune delle loro emissioni e a trasformare le navi in depuratori oceanici“, sottolinea Varanasi. Ulteriori scenari, infine, potrebbero essere quelli delle piattaforme offshore o degli allevamenti ittici.